Eva canta [di M.Tiziana Putzolu]
Ada, dove sei? Lei la chiama ad alta voce, perché sa che non ha sentito il rumore della sua auto giunta al cancello. Sono arrivata! le dice alzando il tono per farsi sentire. La chiama anche Eva. Mamma! Forse è nell’orto, andiamo. Finalmente si accorge di Lei e la saluta con la mano. Vieni pure bambina, ma stati attenta a non sporcarti, le dice. Ti stavo aspettando. A dopo, dice Eva, mentre si congeda. Ada è china su un filare di insalate. Come si chinano le donne che mettono il corpo saldamente in equilibrio appoggiando il gomito e una parte dell’avambraccio sulla gamba corrispondente, flessa. Sembrano sedute. Ma in quella posizione la mano libera si muove con più sicurezza sulla terra. Si fa meno fatica e la schiena ne trae giovamento. Si riesce a stare curve per più tempo. E a procedere chine senza risollevare la schiena. Sai, un po’ fa male, le dice. Perché la terra è in basso. Ma ha ancora bisogno della cura delle mani, qualche volta. Per piantare, per togliere quei ciuffi d’erba inutili e impertinenti. A volte per accarezzare insalate e foglie di melanzane viola, cogliere pomodori dorati e profumati. Per scrutare dentro un cespo di cavolo da cui non nascono più i bambini. Guarda là, vedi? Quelli sono fagioli, le dice indicandoli con la mano, li abbiamo piantati una decina di giorni fa, con Eva. Hai visto come vengono su bene? I piselli sono andati male, purtroppo. I profumi dell’orto sono già intensi. Lei coglie una foglia di pomodoro e se la porta alle narici. Annusa in profondità. Questo profumo è una delle cose più belle della vita, pensa. Ora ci prepariamo un thè, ti va? Coglie delle bietole en passant. Queste sono tenerissime, farò polpette di verdure per cena, le dice. Si solleva e si avviano insieme verso casa. Ada le propone un giro un po’ più largo intorno alla tenuta. Così ti faccio vedere la serra, bambina, le dice. In una stiamo riprendendo a coltivare qualcosina e piano piano riusciamo a mandare un po’ di prodotti al nord. Completamente naturali. Lì sono apprezzati. L’azienda ora è in mano a Eva. Dopo tutte le traversie l’ha rilevata lei. Io l’aiuto, per quello che posso, nel raccolto, ma io sono stanca, guarda le mie mani. Gliele mostra, facendole notare le dita attaccate dall’artrosi. Si è alzata molto presto perché le cose di campagna si fanno all’alba e nel tardo pomeriggio. Dovrà cavarsela da sola, Eva, d’ora in avanti. Sai che Eva canta? Ti ha fatto sentire le cose che fa con il suo gruppo? No, risponde Lei, non ne ho avuto modo. Fanno molti concerti. Dice Ada. Eva canta. Pare sia davvero molto brava. Ada è visibilmente stanca. Si avviano lungo i vialetti che portano verso la casa camminando lentamente e chiacchierando. Arrivano a casa, con calma. E’ costruita su un unico piano, immersa nella tenuta di tre ettari di terra. Tre ettari e mezzo, ora. Precisa. Di campo ed alberi di ulivo, il più. Dove campeggiano le serre grandi ormai abbandonate. Dentro le serre vasi rotti e attrezzature varie male in arnese, impianti di irrigazione aerea penzolanti. La tenuta è posta in una ampia pianura dove il Campidano si affaccia sul Sulcis. Delimitato da quelle alture grigie in lontananza dietro le quali, chi lo vuole immaginare, sa che c’è il mare. Terra che per secoli ha dato frutti alla sua gente. In quel mondo idilliaco le piane e le paludi erano fertili, i monti ricchi di pascolo e fonti. Il cibo non mancava neppure negli anni di carestia. …dovemmo imparare a coltivare i frutti e le erbe, perché quella era una scelta, non una imposizione della vita. Perché noi agricoltori non eravamo, dice Ada. Ma tuo marito non lavorava già in agricoltura? Chiede Lei. No. Lui vendeva prodotti per l’agricoltura, e questa terra fu un regalo dei suoi genitori. Quanti soldi investiti nell’acquisto della terra, per farne serre piene di lattughe, pomodori, fagioli, cavoli, ortaggi di ogni tipo. E di erbe aromatiche. Olivi per olio. Piante da frutto. Quando entrò in quella casa per la prima volta anni fa Lei ne rimase molto impressionata. Per la distanza che dimostravano arredi ed oggetti rispetto alla vita che, fuori da quelle vetrate, conducevano Ada ed i suoi figli. Una vita modesta con retrogusto borghese. Schiena dritta e qualche lettura. Alcuni tratti della storia di Ada Lei li conosce. Raccontati di sfuggita nella frequentazione di molti anni, ormai. Sa da dove provengono mobilio e protagonisti di alcune fotografie ormai sbiadite. E’ forse la storia di un’altra vita, passata. Le chiederà di raccontargliela, più avanti. Ada e la sua famiglia appartengono ad un pezzo di storia dell’isola della Rinascita. Ma questa è, appunto, un’altra storia. In Sardegna la sua famiglia arrivò per gli affari. Ma si erano innamorati, tutti, di questa terra e alla fine ci rimasero anche quando la sorte divenne avversa. Del benessere originario della sua famiglia le rimane l’educazione impartita e l’abitudine, propria di chi dalla terra è venuto, di vivere con normalità. Per fortuna, dice Ada. E questo ci salvò. Non ci fecero mai capire cosa di grave era successo. Lo capimmo solo da adulti. Il pane era fatto in comune da tutte le donne maiores e minores eccetto le dodici prescelte che cantavano i nomi delle stelle. Ada ed Eva vivono da sole in questa campagna. Che hanno voluto strenuamente tenere in vita, anche se con grandi difficoltà. Un riscatto, una rivincita, una sfida nei confronti di un destino che suggeriva loro, in qualche modo, lasciate perdere. Ed un ennesimo sogno, anche, da vivere insieme al canto di Eva. Che canta nel tempo libero. Il suo futuro potrà essere nei frutti di quella terra. Perché sanno di poter contare, insieme, i suoi segreti. Le donne conservano il segreto di quel pane. Ada ha imparato a vivere con poco. Ma quel poco le viene dai suoi campi, che coltiva con le sue mani. Ha insegnato ad Eva e agli altri figli a coltivare. Nessuno potrà levare loro il cibo, mentre per molti la lotta per il cibo, per il grano, per il pane potrebbe diventare una lotta che non hanno imparato a combattere. Del molto ci sono bei mobili, antichi argenti e foto ricordo. Forse vivere con meno sarà il loro risarcimento. Sarà il nostro risarcimento. Perché Cantare, suonare, danzare, coltivare, raccogliere, mungere, intagliare, fondere, uccidere, morire, cantare, suonare, danzare era la nostra vita. La riaccompagna al cancello, attorniata dai suoi cani festanti. Ciao bambina. Torna a trovarmi. Mi racconterai Ada? le chiede Lei. Ma certo. A presto allora. Postfazione. L’Istat ha reso noto a metà aprile 2014 i documenti e le riflessioni sull’evoluzione, in un’ottica di genere, dei fenomeni economico-sociali legati al settore agricolo e alle attività che interagiscono con esso, a partire dai dati dei Censimenti dell’Agricoltura e della Popolazione e Abitazioni. Per tutto ciò si rimanda al sito www.istat.it. Le frasi in corsivo nel testo sono tratte da Passavamo sulla terra leggeri, di Sergio Atzeni. Ho scritto ascoltando musica di Franco Piersanti *Eva canta è dedicato a tutte le donne sarde che lavorano oggi con fatica in agricoltura.
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Meraviglioso, grazie Tiziana. Sono convinta che questa terra culla e alleva la semplicità e può essere la risposta politica e morale da dare in esempio. Io che Ada ed Eva le immagino perfettamente, vivono,forse insieme alla stanchezza e alla fatica, ma vivono nel rispetto per se stesse che li risveglia ogni giorno con la musica dentro.
Interessante. C’è il sapore della vita rurale, della semplicità e, ciò che più conta, c’è la consapevolezza che l’agricoltura resta una delle attività più nobili cui una persona possa dedicare la propria vita.
Eva canta perchè così esprime la sua gioia di vivere. Gioia che nel sacrificio si esalta. Gioia che trascende le fatiche di tutti i giorni e si annida nell’anima delle persone buone e semplici.
Grazie per questo articolo che ci aiuta.