Terzo settore: la volta buona? [di Enrico Trogu]
Mi son permesso di aggiungere un punto interrogativo allo slogan messo in campo dal primo ministro riguardo una possibile riforma del mondo dell’associazionismo e dell’impresa sociale. “È l’Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell’associazionismo no-profit, delle fondazioni e delle imprese sociali. Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo”. All’elenco manca una definizione basilare: è uno dei tanti ammortizzatori sociali e culturali informali presenti sul territorio nazionale; è lo strumento migliore, nelle sue forme più semplici ed economiche, per fornire alle comunità competenze di scambio e cofronto, possibilità di crescita intellettuale e ricreativa, il tutto nell’ambito del democratico low cost. È l’alleato principale degli enti locali nell’ambito dei progetti di tutela dei beni culturali, di inclusione delle classi svantaggiate, siano esse indigene o straniere, di controllo del territorio. È la manovalanza che s’accolla progetti di recupero scolastico, di formazione ambientale, di accoglienza negli ospedali. Il lato negativo son le strutture commerciali che sfruttano ragioni di interesse sociale per sviare controlli e imposizioni fiscali; basti un esempio su tutti: son fiorite negli ultimi anni le ONLUS che, in teoria, si dovrebbero occupare di attività ricreative per l’infanzia, ma nella pratica son delle agenzie che spediscono per feste di compleanno e comunioni animatori rigorosamente pagati in nero. La volontà riformatrice seguirebbe, al netto di una nuova leva volontaria non militare ma dal profumo di patriottico incenso, tre cardini: monitoraggio e ricognizione dell’esistente, interventi legislativi, semplificazione dei percorsi di registrazione, iscrizione agli albi, finanziamento mediante contributi volontari dei cittadini (in primis il 5 per mille). Si partirebbe dalla “riforma del Libro I Titolo II del Codice Civile, anche alla luce dell’articolo 118 della Costituzione”, articolo che verte sulle funzioni amministrative degli enti locali- in un’ottica di semplificazone e “controllabilità” degli enti. A seguire Legge 266/91 sul volontariato, con occhio di riguardo alla promozione dello stesso nel mondo della scuola, e revisione delle strutture territoriali, in primis attraverso nuovi albi, e Legge 328/2000 sulle associazioni di promozione sociale, con revisione di procedure di formazione, iscrizione e agevolazione fiscale. Si prevede inoltre -com’era prevedibile- la creazione di una Authority del terzo settore e un testo unico ad hoc. Queste, in generale, le linee di intervento. Poche domande per concludere. La volontà di riformare in chiave “efficientista” un mondo per natura a cavallo tra il formale e l’informale potrà sortire effetti positivi, o potrebbe essere sufficiente una stretta sui controlli nelle aree maggiormente a rischio -circoli in cui vi sia possibilità di somministrazione di cibi e bevande, associazioni di animatori o formatori-? Perché “giovani per la difesa della Patria”, piuttosto che un serio approfondimento del tema della leva militare, tema in Italia scabroso, ma nel resto del mondo occidentale più che affrontato? In Sardegna, terra ricca di esperienze, spesso con risalto extrainsulare per il valore espresso, cosa potrebbe cambiare? http://www.corriere.it/
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