Pompei, ecco i nuovi tesori svelati [di Marisa Ranieri Panetta]
L’Espresso,16 maggio 2014. Dipinti spettacolari. Mosaici mai visti.
E tre nuove case.
Il più famoso dei siti archeologici risponde alle critiche ampliando l’offerta di meraviglie aperte al pubblico Il salone della casa di Frontone I riflettori tornano a essere puntati su Pompei. Questa volta però non si tratta di muretti di contenimento o di pezzi di intonaco finiti a terra, né di frane causate dal maltempo: tre abitazioni, uscite da lunghi restauri, sono pronte a raccontare al pubblico le loro storie. Che riguardano l’arte e la vita quotidiana dell’epoca, ciascuna con le sue particolarità, le sue vicende pubbliche e private, come quella appartenuta a Marco Lucrezio Frontone. Era un esponente dell’upper class cittadina che vantava una “domus” di quasi 500 mq e affreschi così raffinati del cosiddetto “terzo stile” da far invidia alla stessa Roma. Colpiscono infatti per ricercatezza tematica ed esecuzione le scene di mito poco usuali, i quadretti con ville marittime appese a candelabri fantastici, come fossero cartoline, i nastri di originali motivi geometrici che corrono lungo le pareti, i medaglioni con ritratti di giovani: forse i figli dello stesso Frontone che dormivano in una stanza dal fondo giallo oro. A famiglie molto in vista appartenevano anche le domus di Trittòlemo e di Romolo e Remo, mai aperte finora. In età repubblicana queste due abitazioni erano unità immobiliari distinte, poi negli ultimi anni di Pompei finirono nelle mani di un solo proprietario, che poteva così esibire pavimenti in mosaico a cubi prospettici, a riquadri colorati come tappeti persiani, e due schiere di animali in ogni dimensione dipinti sulle pareti che racchiudevano i giardini interni (“viridaria”). Come è accaduto per le abitazioni scoperte in passato, anche queste due nuove case prendono il nome dai soggetti degli affreschi più importanti, ma abbiamo notizia anche di chi vi abitava. In una stanza della domus di Romolo e Remo sono state ritrovate cinque vittime, una delle quali stringeva nella mano destra un sacchetto di monete d’oro e d’argento e alla sinistra portava un anello di bronzo con una sigla che rimanda all’importante famiglia romana Fabia. Sappiamo che da questa famiglia provenivano i sacerdoti che organizzavano le feste per celebrare le origini dell’Urbe, e così si potrebbe spiegare il riferimento pittorico ai gemelli più famosi. L’élite cittadina, che viveva in queste dimore – proprietari terrieri, commercianti, uomini politici, facoltosi liberti (ex schiavi che avevano fatto fortuna) – conduceva uno stile di vita che si potrebbe paragonare a quello dei senatori romani: amava il teatro, gli spettacoli gladiatori, si rilassava nelle terme, leggeva, viaggiava, intratteneva gli ospiti in ambienti eleganti, e apprezzava l’arte, facendo ornare le proprie dimore ad artisti e artigiani di alto livello. Le belle abitazioni di Pompei sono tante: erano lo status symbol del proprietario, e dovevano celebrarne l’importanza sociale in modo ben evidente. Già dalla porta aperta sulla strada, il passante poteva percepire ricchezza e lusso con un solo colpo d’occhio perché gli ambienti più importanti erano disposti in asse: prima c’era l’atrio, dove si esponevano le opere d’arte di maggior valore, e anche il forziere di famiglia; il “tablino”, lo studio dove il padrone di casa accoglieva clienti, colleghi di lavoro, questuanti; infine il giardino interno, più o meno grande: spazio per il relax e le cene estive, con fiori, aiole, statue e fontane. Era questa la pianta della cosiddetta “domus ad atrio” di origine ellenistica, che a Pompei, grazie al clima, svolgeva al meglio il suo compito. Se la competizione elettorale – “Vota Lucrezio Frontone perché è onesto”, recita un dipinto vicino alla sua casa ora aperta al pubblico, oppure “Vota Giulio Polibio perché produce pane buono” – e l’esibizione della ricchezza mostrano accenti simili in ogni tempo, ben diversa era l’organizzazione della vita domestica. I romani, e i pompeiani, non riempivano le stanze di mobili, non avevano camere da letto spaziose. Non tutte le case avevano il bagno, e se c’era una latrina si trattava di un ambiente striminzito. Anche gli abitanti delle case più ricche, che godevano gli agi di piccole terme private, per le necessità personali facevano uso di recipienti che gli schiavi si affrettavano a portare anche agli ospiti durante i banchetti. Tra le novità più rare in arrivo per chi visita Pompei, c’è anche una grande stanza adibita a bagno come lo intendiamo oggi: siamo nella Casa dei Dioscuri, dove fervono i lavori per ripristinare la copertura. Si tratta di una domus enorme, che nell’ultima fase della vita della città ne aveva inglobate altre due vicine. Poco però è rimasto dei dipinti parietali: l’affresco con i due mitici fratelli che le dà il nome si trova al Museo Nazionale di Napoli. Dalla scoperta, la casa dei Dioscuri è stata protagonista di due vicende che ne hanno una esaltato, l’altra rovinato il ricordo. Nel 1829 il re Ludwig I di Baviera rimase così colpito da questo edificio che, una volta tornato in patria, volle farne costruire uno simile ad Aschaffenburg, il famoso “Pompejanum”. Nel 1943, invece, la domus fu bombardata dagli Alleati, che procurarono rovine in diverse zone della città, colpendo in pieno tra e altre anche la Casa di Romolo e Remo. Gli altri cantieri in corso a Pompei riguardano abitazioni molto rovinate non dalle bombe, ma da nemici altrettanto implacabili: piogge acide, alluvioni, vento, piante infestanti, terremoti devastanti come quello del 1980. Entro un anno potremo entrare negli ambienti ripristinati di diverse domus: quelle di Sirico, delle Pareti Rosse, del Criptoportico, del Marinaio. Già quest’estate invece saranno agibili le Terme suburbane e potrà mostrarsi in parte la famosa dimora dei Vettii, che è chiusa da diversi anni. Tra le case che saranno riaperte al pubblico, quella del Criptoportico è unica: lungo tre lati del giardino interno corre un portico sotterraneo che era decorato con scene ispirate all’Iliade. Molto belli sono i pavimenti conservati negli ambienti termali che il proprietario, all’epoca dell’eruzione, aveva chiuso con un muro: aveva infatti ridimensionato l’abitazione, che in precedenza comprendeva anche quella confinante. Parte della casa, oggetto nella zona posteriore di un restauro nel 1967, è stata coperta con travi di legno, che ad alcuni organi di stampa sono sembrati “da pizzeria”, ma in realtà riprendono quello che accadeva nell’antichità. Al suo interno, gli archeologi stanno ricomponendo le decorazioni parietali: un lavoro certosino che, in alcuni casi, sembra un vero e proprio puzzle. Ma a che punto è il programma previsto dai finanziamenti della Ue? Il Grande Progetto Pompei, diretto dal generale dei Carabinieri Giovanni Nistri, porta avanti i cantieri aperti lo scorso anno, concentrati sul restauro architettonico di singole abitazioni. Il piano però è molto più vasto e riguarda – con una serie di interventi mirati e complessivi – tutti gli Scavi (vedi riquadro in queste pagine). Grazie a questi fondi, entro maggio si procederà a ripristinare gli apparati decorativi della Casa della Venere in Conchiglia, della Fontana Piccola e di Paquio Proculo. I prossimi mesi saranno fondamentali per i restauri: sono stati aggiudicati definitivamente i progetti che riguardano la messa in sicurezza delle murature e dei relativi mosaici e affreschi in tre delle Regioni in cui è divisa la planimetria di Pompei (VI, VII e VIII): in tutto sono circa 250.000 mq, oltre la metà dell’area archeologica. Altri lavori in via di ultimazione sono finalizzati invece a evitare nuovi rischi di dissesto idro-geologico attraverso la sistemazione di un pianoro per irregimentare le acque. A ruota, seguiranno le gare per il consolidamento di altre tre Regioni (IV, V e IX), e per la revisione della recinzione e dell’illuminazione perimetrali dell’intero sito. Si tratta di lavori che dovranno essere completati entro il 2015, come prevedono le direttive europee. Ce la faremo? Il soprintendente Massimo Osanna, professore lucano di Archeologia classica, entrato in carica da due mesi, è moderatamente ottimista: «L’attività del personale della Soprintendenza procede a ritmo serrato, ce la stiamo mettendo tutta». Entro l’estate sarà pure bandita la gara per risolvere l’annoso problema degli Uffici, che saranno trasferiti in una sede più idonea, e per ottimizzare i percorsi di visita. Niente più affollamenti negli stessi punti e maggiori opportunità per ristorarsi: il soprintendente annuncia anche l’allestimento di un ristorante-bar con terrazzo finalmente degno della bellezza di Pompei. Ma tante case, a restauro finito, restano chiuse, tra le proteste dei visitatori. È vero che gli ambienti più pregiati, quelli ricoperti di dipinti, sono in genere molto piccoli, e spesso senza finestre: non potrebbero reggere l’afflusso di migliaia di visitatori al giorno. La soluzione trovata finora, e destinata a continuare, è quella di chiudere e aprire e case alla visita a rotazione: questo consente di garantire la durata dei restauri e allo stesso tempo, con il variare dell’offerta, dovrebbe stimolare il pubblico a ulteriori visite. Intanto, con due milioni di euro, si sta restaurando il celebre mosaico “Cave canem” della domus del Poeta tragico, e si stanno mettendo a posto i luoghi interessati dai crolli più recenti. In attesa che diventi operativo il progetto che Finmeccanica metterà a disposizione per la salvaguardia del sito: tecnologie d’avanguardia, modellate sulle esigenze della soprintendenza, che per tre anni farà così un monitoraggio continuo delle strutture più a rischio. A breve dovremmo quindi vedere ovunque lavori in corso. Ma per Pompei non è una novità: anche nella sua prima vita la città brulicava di operai che cercavano di sistemare i danni provocati dai frequenti terremoti, anche prima di quello disastroso del 62 dopo Cristo. Intanto, nonostante critiche e polemiche, visitatori continuano ad arrivare qui da tutto il mondo, soprattutto dal Giappone, per una “full immersion” nella romanità. E non c’è capo di stato, sovrano, artista, letterato, che si sia sottratto al fascino di Pompei. Da Pio IX, l’ultimo “papa re”, che nel 1849 pranzò nelle Terme del Foro, a Le Corbusier, che disegnò dal vero diverse domus; da Giuseppe Garibaldi, che volle essere immortalato in una foto, alla recente visita della Cancelliera tedesca Angela Merkel, che però a differenza di altri ospiti illustri, si è pagata il biglietto da sola e si è aggirata a lungo fra templi e “thermopolia” come ha meglio creduto.
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