Lost Citizen. Abbracciamoci [di M.Tiziana Putzolu]

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Al rientro a tarda notte alla fine della proiezione del bel film documentario di Carla e Sebastiana Etzo presentato venerdì 23 maggio a Carbonia, alla presenza di una gremitissima sala piena di lavoratori e delle loro famiglie e di poche autorità una serie di emozioni si accavallano.

Il film documentario restituisce la visione drammatica degli ultimi anni delle proteste di quelli che prima di essere operai sono stati e sono ancora minatori. E che erano minatori prima ancora di essere classe operaia. Prima che le relazioni di quel mondo del lavoro vero si chiamassero ‘industriali’. Quando ognuno ordinatamente svolgeva il suo ruolo. C’era chi faceva il padrone e l’imprenditore, chi giocava il ruolo istituzionale, fosse Consiglio Comunale, Regionale o Governo, chi faceva il Sindacato. Le banche facevano le banche e non finanza globale. Dentro quel territorio che, senza enfasi, può rappresentare l’archetipo e l’epilogo di ogni cosa ci sono tutti i simboli di una società all’apice della crisi. Il più povero tra i poveri. Denso di drammaticità sociale. E’ racconto dei padri, di quelli ancora giovani, di quelli più anziani, dei loro figli. Tristi i primi. Sfiduciati e depressi i secondi. Stretti nel cosiddetto abbraccio generazionale.

 Il film attraversa i tratti delle lotte più dure. Riporta verso la fine le scene quasi tragiche degli scontri alla fine dell’incontro con i Ministri Passera e Barca avvenuto lo scorso anno. I quali venuti con le pur migliori intenzioni, fuggono con gli elicotteri in un cielo denso di fumi da incendi e rumori coperti dalle rivolte. Fuggono dai lavoratori inferociti come in Fuga da Saigon. Il film si interroga sull’affievolirsi delle lotte operaie. Sui rapporti sempre più inesistenti con le controparti di quelle lotte.

Va visto Lost Citizen. Perché rappresenta uno dei tentativi, purtroppo sempre più vani, capaci di attirare attenzione sociale sul lavoro che non c’è. Insieme all’altro recente A pugni chiusi di Fiorella Infascelli. Che portava la storia degli operai della Vinyls autoreclusi all’Asinara presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2011. Vicenda che diede vita al reality l’Isola dei cassintegrati, l’unico reality reale, messo in piedi dai figli di quegli operai. Anche ai lavoratori della Vinyls era rimasta un’ultima ribalta: quella di sfilare sul tappeto rosso del Lido di Venezia a pugni chiusi. 

Il tema dell’abbraccio generazionale è, di tutto il docu-film, il tema. E’ solidarietà? E’ compartecipazione al lutto del lavoro? E’ lotta insieme? E’ affetto estremo? E’ generazione tradita? E’ tutto, ovviamente.

Ma come per quelle sincronie casuali o forse no,  davanti al primo caffè della giornata leggo su La Repubblica di sabato 24 maggio una risposta a quell’appello emotivo provato dopo la visione del film Lost Citizen.  ‘Il patto tradito tra padri e figli’, di  Gustavo Zagrebelky. Da cui estrapolo un concetto che è capace di sottolineare tutto il senso del tradimento dell’antico patto generazionale. Soprattutto sul piano politico. ‘La gioventù è portatrice d’un carisma che l’autorizza a rivendicare la guida della società. E’ fresca, spregiudicata, disinibita. Ha occhi ridenti e fuggitivi, soprattutto rapidi. Gli anziani sono conservatori, appesantiti dalle tante cose che hanno visto e vissuto, legati a idee che vengono da lontano, incompatibili con il mondo che cambia. Hanno gli occhi appannati, intristiti, fissi.’

Lost Citizen lancia lo sguardo spesso verso la bellezza del suo territorio. Sono gli unici momenti di tutti i 45 minuti di proiezione nei quali si tira un sospiro di sollievo. Ed è proprio il paesaggio che suggerisce le letture dei fenomeni, a volte. E’ la natura stessa. Nel Sulcis, in questo territorio magnifico, i resti della civiltà mineraria si spingono fino alle spiagge, dove si insabbiano le vecchie rotaie dei carrelli che trasportavano i materiali estratti. Si incuneano nelle valli. Perforano minuziosamente le colline. Con i ruderi delle vecchie laverie, dei pozzi dismessi, la macchia mediterranea e gli alberi con forti radici hanno lavorato fino a compenetrarsi in questi manufatti.

Tanto che tutti questi elementi paiono ora naturali, monocromi ed armonici, compenetrati indissolubilmente gli uni negli altri. Abbracciati per sempre. Fino a scomparire. Come i disperati naufraghi in fondo al mare, dentro una miniera in Turchia, tra i resti di un aereo caduto, a Pompei,  nel dipinto di Klimt. Come un regista che vince un premio. Come un siriano che abbraccia il bambino per proteggerlo dalle bombe. Come una madre abbraccia un figlio giornalista prima di partire in Ucraina. Un padre che lo accoglie dopo un lungo viaggio. Come due amici al binario 2 di Stazione Termini. Come due bambini che giocano. Come gli amanti. Teniamoci stretti, abbracciamoci, forte, per gioco, per amore e per paura. Ma a volte, forse,  anche no.

 Lost Citizen, di Carla e Sebastiana Etzo, fotografia e montaggio di Vincenzo Rodi, musiche di Marco Messina (99 Posse), durata 45 minuti, 2014

One Comment

  1. Antonello Farris

    Vorrei vederlo questo film, ma dove lo trovo? Mi commuove l’immagine di: “…… una sala gremitissima di lavoratori e delle loro famiglie e di poche autorità…..”. Leggendo l’articolo ho subito pensato che film del genere dovrebbero essere proposti nelle nostre scuole, e discussi, commentati. La dignità di quegli operai, minatori e uomini pieni di dignità. Le loro lotte, la lotta operaia…s’è un po’ persa…Ah, come vorrei che tornasse, in questi tempi con meno tutele e meno diritti, in questi tempi precari, e in definitiva bui. Un abbraccio alla classe operaia.

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