Il cavallo dei Sardi [di Leonardo Mureddu]

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Fu un amico americano a parlarmi per la prima volta del passo del cavallo sardo. Veniva in Europa di tanto in tanto per tenere dei corsi di matematica e per assorbire come una spugna lingue e tradizioni. In Sardegna avrebbe voluto vedere “donne che portano acqua su di testa” e “cavalli che cammina come cammelli”. Io lo portavo in giro con la mia vecchia Alfa Romeo fino in cima al Gennargentu, ma non riuscii mai ad accontentarlo: l’acqua viaggiava sulle “Api” in bidoni di plastica e i cavalli camminavano come tutti gli altri.

Da allora però sono sempre stato attento al passo del cavallo e ho sempre chiesto agli esperti. Così ho scoperto che il mio amico aveva ragione: la civiltà dei Sardi ha sviluppato una cavalleria d’eccellenza, tecnicamente comparabile con le grandi tradizioni degli Arabi e di qualche popolazione del Centro Italia. Una cavalleria basata però su una grande crudeltà e su metodi punitivi e coercitivi, come d’altra parte avviene in Sardegna con tutti gli animali: niente è “naturale” in questo nostro rapporto col cavallo. A partire dalla domatura e dall’addestramento. Per finire col passo caratteristico del cavallo sardo: il “passo portante”, o ambio, la stessa andatura, appunto, dei cammelli.

Non ho ancora trovato alcun testo sardo sull’educazione dei cavalli. Evidentemente la tradizione orale in questo settore è sempre stata più che sufficiente per tramandare l’antica disciplina. Posso riportare però due brani di autori inglesi dell’800, appartenenti a quella schiera di funzionari mandati in Sardegna per studiare territori e popolazioni – a scopo di rilevamento delle coste o ricognizione mineraria – e compilare delle relazioni.

“Sebbene viaggiare in Sardegna non sia ancora facilitato da buone strade, il piacevole ambio lento dei cavalli sardi favorisce moltissimo l’esercizio equestre. L’ambio è chiamato “passo portante” e differisce tanto dall’ambio naturale che alcuni cavalli, a causa della sua difficoltà, non raggiungono mai l’andatura corretta, cadendo piuttosto in un trotto trascinato. L’addestramento è condotto duramente con una vera e propria armatura di corda, e richiede da tre settimane a un mese; ma il “portante”, una volta raggiunto, non si perde più. Nel muoversi i cavalli sollevano successivamente le zampe di una stessa parte e poi quelle dell’altra, in modo che in uno stesso momento si mantengono in piedi o con le due zampe destre o con le due zampe sinistre. Essi mantengono questo ambio per parecchie ore; sebbene non sia aggraziato, mentre viaggiavo nell’isola l’ho trovato molto comodo. Questa qualità è un argomento di grande interesse per i signorotti di campagna; una volta, mentre stavo cavalcando con il signor Mameli, in Campidano, incontrammo un suo conoscente la cui prima domanda, com’è usuale durante questi incontri, riguardò la salute del bestiame, e poi chiese:

 – Hai ancora il tuo grande cavallo rosso?

 – Sì.

 – Ha già appreso il portante?

– No.

 – Allora perché te lo tieni, quello stupido?”

(William Henry Smith: “Relazione sull’Isola di Sardegna”, Ilisso 1998 – titolo originale Sketch of the present state of the Island of Sardinia, London 1828).

“Suppongo che, dovunque, la pratica di domare un cavallo non risulti dolce e piacevole per l’animale. In Sardegna – a dire il vero – questa pratica sembra inutilmente crudele. La cosa procede così. Il puledro scelto per la domatura vien prima separato dalla madre che pascola in libertà sui vasti prati. Viene preso al laccio nel modo consueto e quindi legato strettamente e costretto a correre finché non diventa completamente esausto. Giunto a questo stadio, esso si lascia condurre in stalla. Il giorno successivo si ripete lo stesso esercizio e di notte la bestia stanca viene di nuovo condotta in stalla senza che faccia resistenza. La cosa si protrae per alcuni giorni e non è tutto. Durante il periodo di grande fatica cui viene sottoposto, il puledro soffre la fame e quando il suo ardore e la sua forza fisica vengono fiaccati dalla fatica e dal digiuno, allora accetta qualsiasi cibo. Così ha termine il primo stadio. Una volta abituato a prendere la biada, ha inizio il secondo. Il domatore, in groppa ad un cavallo vecchio, porta il giovane a rimorchio finché viene sellato. I due cavalli stanno sempre legati l’uno all’altro ma, col passare dei giorni, la cavezza viene allungata finché, alla fine, il puledro procede da solo. Ora non resta altro che insegnargli l’uso dello sprone e della briglia. È probabile che, anche successivamente ricordi la durezza del suo addestramento per la durezza del morso che porterà per il resto della vita. Quando, infine, avrà imparato l’esecuzione del passo portante (una specie di andatura lenta ed obliqua, gradevole come il dondolio di una gondola), la sua educazione potrà dirsi compiuta. Si deve riconoscere che in Sardegna l’equitazione è molto piacevole grazie a questo sistematico addestramento. Gli animali non sono pigri e non è senza ragione che il Cetti, uno studioso sardo, definisca il particolare movimento del passo portante: «La cosa più bella del mondo, paragonabile al veleggiare in mare col vento propizio».” (Charles Edwardes: “La Sardegna e i Sardi”, Ilisso 2000 – Titolo originale Sardinia and the Sardes, London 1889)

*Tecnologo presso l’INAF

One Comment

  1. grazie Leonardo

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