Pubblichiamo un racconto lungo in diverse puntate tra loro autonome ma legate da un filo rosso. Le precedenti parti sono state pubblicate il 13, 19, 26 maggio (NdR).
-X LA CODA DEL GATTO TIGRATO
10.1. Il gatto ha un nome si chiama Brusco. Brusco purtroppo è sparito e mentre spariva ha perso la coda. La coda di Brusco è rimasta molti giorni, vicino al muretto dietro casa, poi un giorno non l’ho più vista. Credo che Brusco si è accorto di non avercela dietro e allora è tornato a riprendersela. Forse la coda gli serve come ricordo. Come mamma tiene una mia foto nel portafogli o nonno che per ricordo ci racconta della guerra e dell’Africa. Ma come mai mamma si deve ricordare di me anche se non sono già passata come la guerra, questo ancora non l’ho capito. E credo che mamma come Brusco con la coda non si vuole separare di una cosa che prima era del suo corpo, quando ero dentro la pancia ed ero la stessa cosa di una coda di gatto e ancora non potevo andare da sola sopra l’astronave. E questo è un pezzetto di me che appartiene solo a mamma e che io non conosco bene come il resto. Dentro però anche se tutti gli io sono diversi siamo fatti come il mare perchè da tutti i buchi esce l’acqua: lacrime, sputo, saliva, pipì.
10.2. E questo mare non è sempre uguale ma con il tempo l’acqua cambia e quella di prima va da un’altra parte per lasciare posto ad altra acqua e se poi sputiamo o facciamo la pipì un po’ di acqua se ne va. E questo è vero in special modo per le lacrime che a un certo punto finiscono quando l’acqua vecchia è tutta andata via. Certe volte pero’ il mare si ferma e dentro diventiamo duri come la pietra. Ma comunque io capisco Brusco che si è ripreso la sua coda.
-XI- GRILLO E ALTRI PIANTI
11.1. Il cane invece si chiama Grillo. Ma grillo purtroppo non è solo sparito come Brusco, Grillo è morto. è successo mentre nonno faceva marcia indietro con la macchina, Grillo era dietro e nonno lo ha investito, io ho urlato, ma non ho urlato prima, ho urlato dopo quando ho visto che Grillo era tutto coperto di sangue e non era steso a terra, era seduto come stanno seduti i cani e aveva il naso in sù come se voleva annusare, era fermo.
11.2. Allora ho urlato tanto fino a che non mi hanno portato dentro per calmarmi, e ho capito che non potevo curare Grillo e nessuno poteva curarlo e ci sono cose che nemmeno piangendo vanno via, perchè l’acqua del dolore non si cambia nemmeno con le lacrime. E quindi ho pensato a Grillo per molto tempo, per trovare un senso alla sua morte ma il senso non c’era.
11.3. Accanto al cancello dell’orto camminano le formiche nere e rosse, ci ho messo la mano sopra e ho aspettato, la mano si è riempita di formiche ma non mi hanno punto, forse perchè la mia mano stava ferma oppure perchè le formiche sanno quando devono difendersi e non hanno padrone. Perchè se un animale ha un padrone allora ubbidisce, e si dimentica di mordere o pizzicare e forse Grillo doveva mordere ma non lo ha fatto per ubbidire. Ho provato a schiacciare una sola formica con l’altra mano e mi hanno punto tutte anche se io per loro sono un gigante.
-XII- L’ENIGMA DEL NOME
12.1. Il mio nome è un nome che non ho ancora imparato a scrivere. Mia sorella mi ha spiegato che le parole esistono quando vengono scritte perchè solo in questo modo qualcuno le può leggere e imparare a memoria. Dal momento che il mio nome esiste se lo scrivo ho fatto scrivere tante volte il mio nome a mia sorella grande. Poi il foglio l’ho conservato.
12.2. Io credo che il mio nome è un nome corto che si può scrivere senza fermarsi come un respiro o un sasso lanciato lontano.E se il nome atterra da qualche parte allora vuol dire che l’urlo era molto forte ed arriva precisamente dalla persona che sta chiamando, l’urlo è come un volo nell’aria è a volte veloce a volte lento, quand’è lento si perde e quand’è veloce attraversa lo spazio che divide due persone; ma non sempre io mi giro, a volte lo lascio cadere, l’urlo che chiama con il mio nome, e allora mi accorgo che se le parole non vengono ascoltate allora è più facile pensare. Ed è per questo che a forza di pensare si diventa sordi.
12.3. La cosa che mi fa diventare più sorda di tutto è pensare che anche senza di me il mio nome esiste e questo vale per tutte le cose che hanno un nome anche le più piccole; ma se poi penso che questo vale anche per bambine che hanno il mio stesso nome e sono lontane e abitano in un altro luogo, allora mi confondo e non capisco come uno stesso nome può appartenere a più persone. Dato che io non assomiglio a nessuno e mamma mi ha già detto tante volte che sono unica. Ma credo che il nome alla fine è come un desiderio, come quando nonna dice che vorrebbe farsi un bagno al mare e poi non ci va mai, è il desiderio di essere uguale a quel nome ci fa pensare di essere unici.
-XIII- FUGHE
13.1. Sono fuggita un giorno con il mio amico più piccolo d’età e che sta sotto in paese; un giorno che mi sembrava che questa cosa andava fatta. Sono stata io a trascinarlo, lui non voleva. Ci siamo arrampicati per la salita che porta alla campagna, lasciando le case delle famiglie alle spalle, un giorno che sono scesa con i bambini della mia età per imparare a girare nella piazza.
13.2. Siamo arrivati al recinto delle capre e abbiamo preso le cacche più nere e tonde per farci i fiori con i sassi, poi abbiamo saltato il cancello e siamo andati a farci rincorrere dalla scrofa che mangia e morsica anche lo straccio di nonna. E siccome la scrofa non arrivava allora siamo andati alla fontana dove dentro la vasca vanno a morire gli animali, e allora ho spiegato al mio amico che gli animali muiono se bevono troppa acqua e che nessun animale si trasforma in un altro; tranne le lucertole che possono nuotare e scivolare sotto terra fino al mare.
13.3. Lui ha avuto paura e voleva tornare giù in paese, allora ho preso un legnetto e ho giocato con lui alla piccola altalena sul muro e questo; perchè l’altalena se è piccola dondola senza la fune e senza nessuno sopra e serve per far passare presto il pianto. Poi ho guardato da dietro il mio amico e ho pensato che per un po’ io sono la sua mamma, fino a che non torna dalla sua, perchè se voglio posso pettinarlo con le mani e nutrirlo con il latte delle capre e poi farlo entrare nei buchi del recinto delle capre a sudare latte e a stare vicino ai suoi fratelli; per non pensare più alla vasca d’acqua e addormentarsi ciucciando ancora il mio pezzetto di dito.
-XIV- BAMBINE DI CARTA
14.1. Mia nonna costruisce bambine di carta fatte di giornali e queste bambine sono tutte attaccate per le braccia. Lei dice che si tengono per mano ma io le mani non le vedo. A me le bambine di carta fanno paura; le tengo tutte dentro una scatola con i fiori azzurri dipinti, dove prima c’erano i biscotti. Può essere che di notte le bambine di carta si svegliano e così allacciate e senza mani vanno a fare un giro dove c’è abbastanza spazio per la loro ombra, che diventa lunga oppure larga appena c’è un po’ di luce.
14.2. Ma questo succede solo di notte quando le luci servono per illuminare qualcosa e l’ombra può giocare a diventare molte cose diverse. Io credo che tutto di notte diventa diverso. Perchè al buio c’è più libertà e la libertà dipende dallo spazio che abbiamo e da chi ci sta guardando. Di notte nessuno vede niente perchè gli occhi si spengono per dormire e quindi siamo più liberi, e dato che c’è buio una stanza può sembrare più grande di quello che è e abbiamo più spazio. Le bambine di carta che stanno chiuse nella scatola e non hanno mani non possono aprire il coperchio e anche se io ho paura della loro libertà, di notte le tengo aperte così possono fare il girotondo vicino al soffitto e se c’è un po’ di luce posso vedere nel muro l’ombra che cambia forma e poi scompare.
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