La verità della vita d’amore [di Giulia Clarkson]
Degli inganni dell’amore ai tempi del consumismo e dello svilimento della parola mi ha parlato Massimo Recalcati durante l’intervista per la Nuova Sardegna. Intervista lunga, rilasciata con qualche reticenza, per la pregressa esperienza di vedere stravolta le proprie dichiarazioni, in pur importanti quotidiani. Oggi il pezzo è sulla pagina stampata, ma tagliato di alcune domande, per fare spazio alla pubblicità. Un paradosso esplicativo di come le esigenze del mercato taglino sempre la parola, siano anteposte al tentativo di comprensione ed approfondimento. Ho apprezzato la fiducia, il tempo, l’impegno che mi è stato concesso da uno dei più stimati psicoanalisti italiani, come un dono. Ormai ero entrata nello spirito del suo libro, appena terminato di leggere, “Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa”. Fatema Mernissi, in un saggio sull’amore, cita l’esperto andaluso sul tema, Ibn Hazm (994 d.C). La sua idea di amore quale apertura cosmica verso l’altro come essere umano, a partire dalle emozioni più profonde, è contrapposta alla “indecente, radicale manipolazione delle emozioni umane” creata nel e per il consumo (con la conseguente esaltazione del narcisismo e dell’egotismo, ovvero all’eccessiva attribuzione d’importanza a se stessi (come spiega John Berger). Tutt’altro che un lavoro di verità. Ibn Hazm chiede invece di spezzare le barriere egoistiche dell’io con l’esperienza della fiducia nell’altro: “aprirsi emotivamente all’altro, cercando la sua intimità, nonostante il rischio di un rifiuto”. Qualcosa di molto simile a quel che racconta Recalcati, di cui pubblico qui le risposte mancanti sulla carta. Lei è un lacaniano, quale è l’apporto del pensiero di Lacan sull’amore? Lacan ha introdotto l’importanza del dono. Per Freud l’amore riguarda lo specchio: vedo in chi amo la rappresentazione ideale di me stesso. Dico che amo me stesso attraverso te, dunque l’amore è un gioco narcisistico dell’Io. Lacan introduce la formula: amare significa dare quello che non ho. È il dono di mostrarsi mancanti. Il buco nero dei sentimenti, il senso della mancanza affettiva; come riempirlo? Bisogna essere attrezzati, per affrontare l’incertezza? Riconoscere la nostra vulnerabilità è il primo passo verso l’amore. Un idolo fasullo del nostro tempo è il mito dell’autonomia: ci dicono che è maturo che difende la propria indipendenza, mentre la psicoanalisi mostra che la vera maturità è il riconoscere la propria insufficienza. Si esaltano la cultura della libertà intesa come capriccio individuale, il fantasma dell’autogenerazione. L’amore rovescia questa logica e mostra che la vita umana senza l’altro è niente. La condivisione si fonda nel riconoscimento della nostra insufficienza. |