SOS Sardegna: una terra depredata [di Mario Lilli]

 

cementificazione

L’isola, che conserva un patrimonio storico-artistico-archeologico diffuso, si trova a dover fare i conti con i guasti provocati ai suoi territori da politiche sbagliate. Che l’hanno illusa, lasciando ampie porzioni delle sue superfici urbanizzate scriteriatamente. Altre ingombre di industrie senza futuro. Politiche che hanno accresciuto in troppi casi lo iato tra coste e interno. Riequilibrare questi squilibri, pianificando ragionevolmente gli sviluppi dei centri urbani e l’utilizzo delle campagne, appare quindi una priorità. Improcrastinabile.

Sul sito online della Regione Sardegna esiste una ricca serie di opzioni tra le quali scegliere. Tra cui il Sardegna Turismo a cura dell’Assessorato Turismo Artigianato e Commercio. Tra i tematismi proposti al navigatore del momento e potenziale viaggiatore di domani, “Sardegna Attiva” e poi, a seguire, quella “Benessere”, e poi quella “Cultura”, “Gusto”, “Eventi”, “Mare”, “Natura”, “Paesi” e “Tradizioni”. La carrellata di immagini e di descrizioni, un invito alla visita. Tanto più che ce n’è per tutti, come si dice. Dai grandi complessi nuragici alle celebri necropoli. Dalle città ai piccoli paesi. Dalle coste ai territori dell’interno. Paesaggi straordinariamente complessi, perché stratificati. Dalle antiche testimonianze del Neolitico alle urbanizzazioni recenti. Una sovrapposizione che sembra essersi realizzata in armonia con l’ambiente. Nella realtà dei fatti sappiamo che lo status quo è ben diverso da quello raccontato, osservando il molto bello e quasi provando ad ignorare il tanto “brutto”. Maligna degenerazione di politiche inadeguate. Differenti gli elementi di questo caos in molti casi incontrollato.

I disastri delle recenti alluvioni, provocate dall’irragionevole tentativo di sovvertire le leggi della natura. Costruendo anche nelle aree di esondazione dei corsi d’acqua, dove almeno il buon senso avrebbe dovuto sconsigliare l’edificazione. Il consumo di territorio impressionante e ingiustificato. Nuove cubature si sono fatte prepotentemente largo, nonostante la decrescita demografica ne indiziasse chiaramente l’inutilità.

Le coste occupate da residence e strutture alberghiere che hanno alterato profili litoranei, fino a stravolgere paesaggi, quasi incantati. In nome del turismo si sono cancellati luoghi, qualche volta mettendo anche a repentaglio importanti siti archeologici. Antonio Cederna già negli anni Settanta parlava di “soluzione finale per le coste sarde”, alludendo al rischio di una totale invasione di nuove costruzioni. Nei 377 comuni dell’isola, si registrano 802.149 case, di cui il 57,31% sono ubicate nei comuni costieri. Dove insiste il 73,43% delle case vuote oppure occupate per poche settimane. Quest’aggressione è evidente come abbia comportato un progressivo assottigliamento degli spazi destinati alle pratiche agricole.

Proprio alla luce di queste criticità, il Piano paesaggistico regionale approvato nel 2006 appariva uno strumento efficace di salvaguardia dell’esistente. Capace di tutelare luoghi e persone. La qualità dei primi e la sicurezza delle seconde. Insieme. Insomma sembrava che la Regione avesse iniziato, responsabilmente, a tentare un’inversione di rotta nell’uso del suolo. Sensazione questa avvalorata, nel marzo 2013, dal protocollo siglato fra il Ministero dei Beni culturali e del turismo e la Regione Sardegna, riguardo alla parziale revisione della normativa del Ppr vigente.

Così la Regione ha riconosciuto il ruolo che spetta alla Stato, avviando nel rispetto delle procedure, una corretta procedura di copianificazione. Proprio perché era chiara la valenza positiva di questo riferimento normativo, il nuovo Pps approvato dalla giunta Cappellacci il 25 ottobre 2013, al termine del suo mandato, è apparso da subito come un pericolo. Fortunatamente scampato dopo il recentissimo atto della giunta Pigliaru, la delibera proposta dall’Assessore regionale all’urbanistica Cristiano Erriu, con la quale si blocca il precedente Pps.

D’altra parte il paesaggio sardo è costretto a fare i conti non solo con l’urbanistica selvaggia. L’illusione di uno sviluppo industriale ha prodotto i poli petrolchimici e della chimica di base. Era il 1957 quando l’ingegnere milanese Nino Rovelli presentava le prime richieste di finanziamento per uno sbarco nell’isola con un piano industriale impegnativo, sostenuto dalla finanza pubblica. Nascono allora la Sarda Industria Resine, la Etb e la Stiral, le Officine di Porto Torres e, infine, l’Alchisarda. Si continua anche dopo. Alla fine degli Anni Settanta dopo i poli di Cagliari, Sassari e Portoscuso si mira alla Barbagia. Ad Ottana, in particolare. Spazi importanti hanno occupato anche le servitù militari. L’isola è gravata del 66% di quelle italiane, 24 mila dei 40 mila ettari nazionali. Con il 95% di questi 24 mila ettari occupata dai tre poligoni permanenti terrestri, aerei e navali di Quirra, disteso su 12.700 ettari, di capo Teulada di 7.200 ettari e di Capo Frasca, di 1.416 ettari.

Criticità rilevanti riguardano anche l’istallazione di impianti di produzione energetica delle diverse fonti disponibili. Centinaia quelli che da Nord a Sud stanno devastando l’isola e il suo paesaggio. Almeno altrettanti quelli che stanno per essere autorizzati o sono oggetto di richiesta di autorizzazione. Insomma l’aggressione ai suoli dell’isola è selvaggia. I danni al territorio, alle aree agricole e a numerose zone naturali di pregio, forse irreparabili. Al punto che recentemente è stata consegnata al ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, una richiesta di moratoria firmata, tra gli altri, da sindaci e comitati del Nord Sardegna. Nella richiesta anche l’avvio di un censimento degli impianti già istallati e di quelli autorizzati. Elemento tutt’altro che trascurabile nell’elaborazione del Piano energetico e ambientale regionale.

Cultura e turismo possono costituire più strutturate occasioni, anche di fare impresa, nell’isola. L’importante è che non costituiscano l’ennesima occasione per incidere in maniera irrispettosa sui territori e sui loro equilibri. Le politiche urbanistiche non possono delinearsi autonomamente da quelle culturali. Le une come le atre si rappresentano attraverso modi difformi, ma hanno la necessità di dialogare. Per evitare di entrare in conflitto. Come accade troppo spesso.

*Salviamo il Paesaggio – Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio. Maggio 2014.

 

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