La cava-prigione di Sant’Efisio [di Maria Antonietta Mongiu]

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L‘Unione Sarda 11/06/2014 .(La città in pillole- N’ell’ipogeo di Stampace piacque immaginare la detenzione del martire). “Chi ha l’occhio, trova quel che cerca anche a occhi chiusi “ avverte Italo Calvino nel Marcovaldo. Lo avevano quelli che trasformarono una cava nell’ipogeo di s. Efisio. Vi si accede con un’inquietante scala. Allora con un passaggio sotterraneo. Il tratto visibile è in opera vitata mixta: blocchetti alternati a mattoni bipedali di spoglio, documentata dal IV secolo.

In quel luogo di pena piacque immaginare prigioniero Efisio, prima del viaggio a Nora per esservi decollato come Dionigi che da Montmartre andrà nel suburbio dove sorgerà il pantheon dei re di Francia. Anche a Nora sorgerà una chiesa concessa, nel sec. XI, dai giudici ai monaci di s. Vittore di Marsiglia insieme al martyrium di Saturnino.

Nel carcere di Efisio, a Stampace, il popolo di cavatori risparmiò nella roccia le colonne che disegnano, in un vano sub quadrangolare, tre navatelle chiuse da un’absidiola a volta ribassata e breve pastoforio con colonna martiriale. Vi si legge la koinè linguistica riconoscibile in tutto il Mediterraneo che contraddice pretese nostre esclusioni dai circuiti di mode, martiri, reliquie.

Se si mettono in forse l’autenticità della passione e persino lo stesso Efisio, è certo il via vai delle sue reliquie, vere o presunte, ed il ruolo di garante di Saturnino, patrono di Cagliari, nella geografia martiriale della Sardegna altomedievale. Fase in cui, nella cripta, un calatoio a forno sarà l’accesso dall’esterno. L’apparecchiatura ha episodi eclatanti in città.

La connessione tra chiese e domus rupestri, tra cui la famosa grotta Marcello, dotate di cisterne e pozzi conferma la particolare urbanistica del castrum. In caso di aggressioni la civitas mimetizzata nella roccia prevaleva tanto da giustificare le fonti arabe che raccontano Cagliari spopolata. “Chi non ha l’occhio” e l’aggredisce perde. Da sempre.

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