I due manoscritti [di Raffaele Deidda]

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Quel giorno Gavino si alzò presto. Guardò fuori dalla finestra e vide le foglie degli alberi che si staccavano dai rami e volavano via, catturate dai mulinelli d’aria. L’estate cedeva ai chiari assalti dell’autunno. Scelse dall’armadio guardaroba un giubbotto nero, una camicia a quadri bianchi e marron e un pantalone beige di velluto. Pochi minuti dopo uscì dall’appartamento. Il taxi lo trasportò dalla vicina periferia londinese in centro città in poco più di 15 minuti. Scese al Fashion Café. Ordinò un cappuccino e se lo portò ad un tavolino all’esterno del locale. Stare all’interno gli dava un forte senso d’inquietudine. Aspettò l’arrivo del ragazzo contattato su facebook. Era emozionato e inquieto al pensiero che per duemila euro si sarebbe impossessato del manoscritto alla cui ricerca suo padre aveva dedicato tanti anni della sua vita, senza riuscire ad ottenerlo. William arrivò puntuale. Gavino lo riconobbe pur avendolo visto solo una volta in fotografia.

– Hai la …la cosa?
– Si certo. Sai, non avrei voluto disfarmi di questo manoscritto che immagino sia antichissimo. L’ho trovato in una cassapanca nella casa di mio nonno, non so lui da chi lui l’avesse avuto. Boh… Il fatto è che sono in difficoltà economiche, mi hanno licenziato dalla ditta dove lavoravo e ho bisogno di soldi.
– Quello che mi ha meravigliato è stato trovare questo manoscritto in vendita su internet. Tieni i soldi, contali.
– No, no, mi fido. E poi non è il caso di mettersi a contare i soldi qui, nella strada.

William prese quindi il manoscritto e lo tese a Gavino, che lo infilò nella tasca del giubbotto mentre pensieri terribili gli attraversavano la mente. E se questo ragazzo sapesse tutto e fosse stato incaricato dal professor Murtarak di controllarlo e di pedinarlo? Suo padre gli aveva raccomandato di guardarsi dall’archeologo egiziano. Capace, a suo dire, di ogni nefandezza pur di raggiungere il suo scopo, quello di scoprire per primo il mitico tesoro degli Shardana in Egitto. Le versioni degli storici sembravano essere concordanti: gli Shardana, guerrieri e navigatori, alla fine dell’età ramesside si erano amalgamati alla popolazione egiziana, dopo aver accumulato enormi ricchezze dai saccheggi lungo le coste del mediterraneo. Ricchezze che nessuno aveva ancora scoperto.

La morte del padre era ancora avvolta nel mistero. Broncopolmonite fulminante, avevano detto i medici del Saint Gabriel. A Gavino era però rimasto il tarlo del dubbio: non poteva essere stato certo il clima londinese a spezzare la tempra di un uomo forte e volitivo come suo padre, un vero sardo. Un intellettuale che aveva sempre sfidato intemperie e avversità di ogni tipo per soddisfare la sua sete di conoscenza. Il professor Murtarak doveva entrarci sicuramente con quella morte. Peraltro inutile visto che l’altro manoscritto, quello con la decodifica dei segni che il padre aveva trovato durante gli scavi a Crabarsa, era stato affidato in custodia a Gavino.

Fu un attimo. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni la piccola pistola a cui aveva messo un silenziatore e sparò. Il proiettile andò a conficcarsi fra gli occhi del ragazzo che cadde a terra. Accorse tanta gente, dall’interno del bar e dalla strada. Molti urlavano constatando che il ragazzo era morto. Gavino aveva approfittato della confusione e si era allontanato con passo veloce dal bar, fino alla più vicina stazione di taxi. Si fece portare a casa, aprì la porta che poi richiuse ansimando, con un doppio giro di chiave. Si sedette esausto in una poltrona.

Respirò profondamente, aveva bisogno di calmarsi per poter pensare freddamente a due cose: l’aver ucciso un uomo, un ragazzo, e l’essere entrato finalmente in possesso del manoscritto. Lo aprì affascinato. Si, era proprio lui! Conteneva mappe e disegni simbolici che sembravano proprio corrispondere alle decodifiche rappresentate in quello che gli aveva lasciato suo padre. “E’ qui babbo, ce l’ho!” Gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma non per la gioia. Si domandava che razza di mostro era diventato. Come aveva potuto uccidere un ragazzo così, a sangue freddo?

Era combattuto, tormentato dalla voglia di mollare tutto, di tornare una persona con una coscienza da essere umano, seppur compromessa per sempre da quell’omicidio. La notte dormì malissimo sognando William che gli gridava “assassino!”. Sognava di correre a casa, di prendere il manoscritto e di farne brandelli.

Gli apparve poi in sogno il padre che gli tendeva le braccia dicendo: “Gavino, fai che la morte di quel ragazzo abbia un senso”. Un senso, certo, bisognava dare un senso alle cose. Se non fosse riuscito a raggiungere il tesoro degli Shardana, la morte del ragazzo sarebbe rimasta senza senso. Si svegliò di soprassalto, erano le cinque del mattino. Fece la valigia e chiamò un taxi. Si fece portare all’aeroporto di Heatrow. Prese il primo volo per Il Cairo.

Nota dell’autore: Talvolta capita di ritrovare nei cassetti della memoria o in un file ormai dimenticato in un CD, una storia che abbiamo immaginato e scritto tanti anni fa, frutto anche di letture dell’età giovanile appartenenti alla narrativa di altri paesi, di altri continenti. Questo racconto breve, estrapolato da uno più lungo, è di pura fantasia e non contiene riferimenti a persone o fatti reali.

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