28 giugno 1914 [di Franco Masala]
Nessuno ha cantato, e nel vero senso del termine, la fine dell’Austria felix come loro. Sono due musicisti, entrambi di cognome Strauss ma senza nessuna parentela. Il primo, Johann Strauss jr (1825-1899), ha ritratto una Vienna gaudente dove viveurs, ballerine, mariti in fregola danno vita a trame spumeggianti, annaffiate da fiumi di champagne fino a una riflessione amara : “Felice è chi dimentica ciò che non può cambiare”. E’ la morale del Pipistrello (Die Fledermaus, 1874) che chiude gli occhi per non dover vedere il progressivo sfacelo politico e sociale dell’Impero austro-ungarico. L’altro, Richard Strauss (1864-1949), ha ricreato una Vienna settecentesca ai primi del Novecento, ammantandola di nostalgia per il tempo passato, suggerito anche attraverso la malinconia della protagonista che vede sfiorire la sua giovinezza. E nella reinvenzione anacronistica del walzer è tutto il senso di una città ormai in decadenza, bene rappresentata nel Cavaliere della rosa (Der Rosenkavalier, 1911). La prima esecuzione dell’opera ebbe luogo tre anni prima del fatidico 28 giugno 1914 coincidente con l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, erede al trono d’Austria, e di sua moglie a Sarajevo. Pretesto assai labile che fu il detonatore dello scoppio della prima guerra mondiale tanto sanguinosa da provocare centinaia di migliaia di morti in tutta Europa. Fu l’inizio di quel secolo breve che, una dopo l’altra, collezionò la rivoluzione sovietica, la grande crisi del ’29, le dittature fascista e nazista, la seconda guerra mondiale, la Shoah, la guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, in un crescendo che, considerato oggi, non può che sorprendere per la densità e la gravità degli avvenimenti. A cento anni di distanza è il caso di meditare sull’idea di Europa unita che, nonostante i molti errori e passi falsi, continua a garantire una stabilità sconosciuta in precedenza. E nel momento di inizio del semestre di presidenza italiana nell’Unione Europea, forse, val la pena di ripensare in grande al comune destino dei popoli europei. Ulrich Beck sostiene, su la Repubblica dell’11 giugno 2014, che “l’Europa come tale non esiste. C’è soltanto un processo di europeizzazione … L’Europa dall’alto non basta, dobbiamo creare un’Europa dal basso, un’Europa dei cittadini.”. E’ questa la sfida che ci attende nei prossimi tempi.
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