Non arriva nessuna notizia da Cagliari [di Umberto Cocco]
Cosa ne sarà del mio paese, e in che condizioni è la scuola, se 10 ragazzi sono stati bocciati o si sono ritirati, di 17 che hanno finito le medie un anno fa e si erano iscritti alle superiori. Comunque venga classificato questo esito, come dispersione o mortalità, sembra poco reversibile. Intanto Renzi che aveva promesso 10mila cantieri aperti a giugno nelle scuole, il 15 del mese ha pubblicato alcune slides: bei titoli (scuolebelle, scuolesicure, scuolenuove….) e una promettente grafica, ma il decreto no, e nessuno di noi sa se il proprio è fra i comuni ai quali sarà consentito di spendere soldi (propri, di avanzo di amministrazione), e quanto almeno press’a poco per poter dire ai tecnici prepariamo questo progetto, di corsa, per poter chiamare l’impresa al lavoro appena le risorse sono messe a disposizione e realmente spendibili. Dalle slides si capisce che il governo mette in campo 1 miliardo di euro (non è chiaro se di risorse proprie o di spazi finanziari concessi ai Comuni, con la facoltà di spendere quote del proprio avanzo di amministrazione bloccato dal patto di stabilità interno) in gran parte per scuolebelle, manutenzioni, arredo, decoro. Si tratterebbe, a fare una divisione elementare, di 25mila euro a scuola. Grazie, questi non sono nemmeno cantieri. Possono esserlo quelli intitolati scuolesicure e scuolenuove, ma in Sardegna ne sono annunciati pochi nell’un caso e nell’altro e, sempre a dividere la somma a disposizione per le due tipologie di intervento, si tratterebbe di 133mila euro per ciascuna scuola da mettere in sicurezza (eliminando l’amianto, abbattendo le barriere architettoniche) e 600mila euro per costruirle nuove, 400 in tutta Italia, qualcuna, sembrerebbe, solo qualcuna in Sardegna. E’ così? Nemmeno il buon Pigliaru ce la farà per quest’anno, non arriva nessuna notizia da Cagliari, e l’impressione è che non potrebbe che arrivare la notizia che per quest’anno non ce la si fa. E’ stato chiesto ai sindaci di compilare alcune schede sulle esigenze comune per comune, sembra che alcuni abbiano usato un formato anziché un altro e che questo sia causa di ritardi. La Regione ha messo 93 milioni di euro a disposizione, uno sforzo c’è ed è evidente, ma aspettiamo di sapere come muoverci, dall’anno prossimo, che sembra l’anno dei miracoli che farà piazza pulita di quello presente, abbastanza horribilis. Insomma, la scuola che è stato il tema forte della campagna elettorale di Pigliaru, per Renzi il tema degli impegni appena diventato presidente del consiglio, perde un altr’anno, si boccia, sta ferma un altro giro. Non pare che stiano nemmeno discutendo sul tema quel mondo e le classi dirigenti, in Sardegna e altrove. Al pensiero che in Sardegna stia succedendo quel che è accaduto a Sedilo quest’anno, che più della metà dei ragazzi che hanno cominciato le scuole superiori ne sono espulsi, c’è da essere meno ottimisti sul futuro e da guardare con rimpianto il passato, anche questo presente. Non soltanto un problema di future classi dirigenti si propone, ma di elementare capacità di stare al mondo e in una democrazia, illudendosi che non sono necessari titoli di studio per vivere, tanto su facebook si può appassionatamente partecipare e anche insultare il prossimo, senza subalternità, e anzi con l’ebbrezza che dà l’arroganza. E lavorare non lavorano i laureati, perché studiare? E se non fosse un dato regionale, ma solo delle zone interne? Non conforta nemmeno questo. Le zone interne, le aree e le comunità rurali hanno in Sardegna un passato magari mitizzato ma nel quale davvero le famiglie dei pastori sono riuscite per alcuni decenni dal secondo dopoguerra, a fare studiare e laureare almeno un figlio e una figlia, con orgoglio emancipativo, magari sì anche piccolo borghese, ma è diventata un’antropologia. Sedilo vanta poco meno di 200 laureati fra i 2.200 residenti, in maggioranza donne. Ora non solo non funziona più quel modello culturale, ma far studiare i figli è un investimento costoso per famiglie i cui redditi sono più incerti di quelli dei contadini e dei pastori negli anni ’60 e ’70. Andare e tornare in pullman a Nuoro e Oristano da Sedilo per fare la scuola costa 8 euro al giorno a un ragazzo, all’università a Sassari e a Cagliari intorno ai 20 euro. Mi piacerebbe fare la battaglia e vincerla, insieme ai sindaci degli altri paesi di questa estesa periferia che è la Sardegna centrale, per affermare anche un principio: che quanto più lontano da scuola sei, e quanti più chilometri fai per raggiungerla, meno paghi. Non ci resta che questo, se non si può parlare delle grandi cose, scorrendo le slides di Renzi. *Sindaco di Sedilo |
Ho scritto l’articolo sulla scuola prima che i giornali pubblicassero lo studio del Censis del quale forse è utile allegare la seguente sintesi, tratta dal Corriere della Sera di oggi:
Sale la sfiducia degli italiani nella scuola che non funziona più da «ascensore sociale». È quanto emerge da uno studio del Censis presentato giovedì mattina: se una volta si studiava per migliorare la propria posizione, oggi il sistema educativo sta perdendo la tradizionale capacità di garantire opportunità occupazionali. Di più: la scuola è percepita come inutile: si lavora o non si lavora indipendentemente da quanto si è studiato. Anzi: meno hai studiato più hai possibilità di lavorare. Anche perché i lavori non qualificati sono gli unici ad essere aumentati negli anni della crisi, dal 2009 a oggi (+16,8%). Per contro, quelli che richiedevano una qualificazione media (per esempio il diploma) sono scesi del 3,9% e quelli per soli laureati del 9,9%. Un diplomato su tre che abbia un’occupazione, fa un lavoro dequalificato rispetto al suo titolo di studio e la percentuale sale a quasi il 37 per i laureati.
Ascensore in discesa
Al primo ingresso nel mondo del lavoro, dice il Censis, solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984, è salito nella scala sociale rispetto alla condizione della sua famiglia; il 29,5% è invece sceso sotto quel livello di partenza: l’ascensore è andato in giù. Questa una delle ragioni del preoccupante calo di laureati in Italia: tra i 30-34enni sono il 20,3%, contro una media europea del 34,6%. E l’andamento delle immatricolazioni non dà segnali di miglioramento.
Matricole in calo
Rispetto all’anno precedente, nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%). Il tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni è sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Anche tra chi si iscrive all’università emergono presto segni di stanchezza e disaffezione. Nel 2011/2012 ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno il 15,4% degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo uno studente su quattro arriva a conseguire il titolo alla fine dei tre anni canonici e il 43,6% si laurea in un corso diverso da quello di immatricolazione. La quota di immatricolati che arrivano a conseguire il titolo triennale è ancora molto bassa, intorno al 55%, mentre nei Paesi dell’Ocse si arriva in media al 70%. Come se non bastasse, chi può permetterselo, all’università si iscrive sì, ma all’estero: tra il 2007 e il 2011, il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è aumentato del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580.
Abbandoni
Crisi e frustrazione determinano la fuga anche dai gradini più bassi del percorso di studi. Nell’anno scolastico 2013/2014 risulta «disperso» nell’arco di un quinquennio il 27,9% dei ragazzi «in formazione», cioè all’interno di un percorso scolastico: circa 164mila giovani. E tra medie e superiori ad abbandonare gli studi sono soprattutto i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate: l’abbandono scolastico tra i figli dei laureati è un fenomeno marginale (riguarda solo il 2,9%), ma sale al 7,8% tra i figli dei diplomati, e interessa quasi uno studente su tre (il 27,7%) se i genitori hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. La scuola fallisce insomma anche la sua funzione di riequilibrio sociale. Complessivamente, si può stimare che la scuola statale ha perso nel giro di 15 anni circa 2,8 milioni di giovani, di cui solo 700mila hanno poi proseguito gli studi nella scuola non statale o nella formazione professionale, oppure hanno trovato un lavoro.
Dall’asilo
La fiducia verso il sistema scolastico è in crisi, tra gli italiani, già a partire dall’asilo: solo il 55% dei comuni ha attivato servizi per l’infanzia (asili nido e servizi integrativi), arrivando a soddisfare appena il 13,5% dell’utenza potenziale. Nei comuni capoluogo di regione la domanda insoddisfatta è pari al 35,2%. I comuni con i dati peggiori sono Palermo (71,9%) e Roma (67,3%), mentre sul versante opposto ci sono Torino (che riesce a soddisfare l’intera domanda effettiva) e Milano (solo il 4,9% di domanda insoddisfatta).