Censis, la scuola è un ascensore sociale che va solo in discesa [di Il Corriere della Sera 27/06/2014]

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La ricerca: solo il 16,4% di chi ha studiato ha fatto un salto di qualità rispetto alla condizione della sua famiglia. Più abbandoni scolastici, sempre meno universitari

Sale la sfiducia degli italiani nella scuola che non funziona più da «ascensore sociale». È quanto emerge da uno studio del Censis presentato giovedì mattina: se una volta si studiava per migliorare la propria posizione, oggi il sistema educativo sta perdendo la tradizionale capacità di garantire opportunità occupazionali. Di più: la scuola è percepita come inutile: si lavora o non si lavora indipendentemente da quanto si è studiato. Anzi: meno hai studiato più hai possibilità di lavorare. Anche perché i lavori non qualificati sono gli unici ad essere aumentati negli anni della crisi, dal 2009 a oggi (+16,8%). Per contro, quelli che richiedevano una qualificazione media (per esempio il diploma) sono scesi del 3,9% e quelli per soli laureati del 9,9%. Un diplomato su tre che abbia un’occupazione, fa un lavoro dequalificato rispetto al suo titolo di studio e la percentuale sale a quasi il 37 per i laureati.

Ascensore in discesa. Al primo ingresso nel mondo del lavoro, dice il Censis, solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984, è salito nella scala sociale rispetto alla condizione della sua famiglia; il 29,5% è invece sceso sotto quel livello di partenza: l’ascensore è andato in giù. Questa una delle ragioni del preoccupante calo di laureati in Italia: tra i 30-34enni sono il 20,3%, contro una media europea del 34,6%. E l’andamento delle immatricolazioni non dà segnali di miglioramento.

Matricole in calo. Rispetto all’anno precedente, nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%). Il tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni è sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Anche tra chi si iscrive all’università emergono presto segni di stanchezza e disaffezione. Nel 2011/2012 ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno il 15,4% degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo uno studente su quattro arriva a conseguire il titolo alla fine dei tre anni canonici e il 43,6% si laurea in un corso diverso da quello di immatricolazione. La quota di immatricolati che arrivano a conseguire il titolo triennale è ancora molto bassa, intorno al 55%, mentre nei Paesi dell’Ocse si arriva in media al 70%. Come se non bastasse, chi può permetterselo, all’università si iscrive sì, ma all’estero: tra il 2007 e il 2011, il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è aumentato del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580.

Abbandoni. Crisi e frustrazione determinano la fuga anche dai gradini più bassi del percorso di studi. Nell’anno scolastico 2013/2014 risulta «disperso» nell’arco di un quinquennio il 27,9% dei ragazzi «in formazione», cioè all’interno di un percorso scolastico: circa 164mila giovani. E tra medie e superiori ad abbandonare gli studi sono soprattutto i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate: l’abbandono scolastico tra i figli dei laureati è un fenomeno marginale (riguarda solo il 2,9%), ma sale al 7,8% tra i figli dei diplomati, e interessa quasi uno studente su tre (il 27,7%) se i genitori hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. La scuola fallisce insomma anche la sua funzione di riequilibrio sociale. Complessivamente, si può stimare che la scuola statale ha perso nel giro di 15 anni circa 2,8 milioni di giovani, di cui solo 700mila hanno poi proseguito gli studi nella scuola non statale o nella formazione professionale, oppure hanno trovato un lavoro.

Dall’asilo.La fiducia verso il sistema scolastico è in crisi, tra gli italiani, già a partire dall’asilo: solo il 55% dei comuni ha attivato servizi per l’infanzia (asili nido e servizi integrativi), arrivando a soddisfare appena il 13,5% dell’utenza potenziale. Nei comuni capoluogo di regione la domanda insoddisfatta è pari al 35,2%. I comuni con i dati peggiori sono Palermo (71,9%) e Roma (67,3%), mentre sul versante opposto ci sono Torino (che riesce a soddisfare l’intera domanda effettiva) e Milano (solo il 4,9% di domanda insoddisfatta).

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