Centro di Documentazione delle Donne [di Agnese Onnis]

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Quale imbarazzo per l’ostentato richiamo a tutte le iniziative di”Cagliari-capitale europea della Cultura 2019” che sta facendo in questi mesi il nostro Comune con l’Assessorato alla Cultura…A quel richiamo ideologico non corrispondono sempre i fatti, quelli reali , come nel caso specifico del Centro di Documentazione delle Donne che potrebbe chiudere l’attività se non sarà sostenuto da un finanziamento pubblico che permetta di proseguire l’esistente progetto dove la storia delle donne non possa essere decurtata, esclusa, cancellata.

La cultura non è una bandiera da sventolare soltanto in un periodo o in una stagione politica. La nostra Città- Cagliari capitale europea della cultura 2019 và sostenuta anche attraverso la cultura di genere. La cultura è fatta di rispetto e di salvaguardia per le risorse che esistono, riconosciamo dunque quel che c’è e alimentiamo l’esistente quando ha valore, quando è condiviso, quando è diventato nel tempo un luogo e un punto di riferimento culturale, appunto! e non soltanto per le idee che sortiscono novità da creare o da inventare e magari per essere dimenticate…

E’ bene sottolineare che il rispetto della memoria è la vera bandiera della cultura.
Quando questa è assente o scricchiola si palesa una miopia di valore verso qualunque progetto o patrimonio della città da conservare e da arricchire. Patrimonio che và supportato naturalmente da un piano di tutela e di cura, valorizzato nell’ordinaria adeguatezza perchè diventi patrimonio di tutti, di riferimento al manifesto politico di “Futuro Prossimo” della “Città europea 2019 ”, nel quale ‘riscrivere il territorio’ non significa stravolgerlo

A questo punto è d’obbligo un richiamo al ruolo e all’identità della nostra ‘giovane classe politica’ che ci governa a Cagliari , al loro impegno politico-sociale e culturale : non si disperda il bene pubblico della città: Biblioteche, Teatri, Fondazioni, Associazioni , Centri e Istituti di Ricerca.

Dunque quale Cultura in città se dobbiamo competere in ‘cultura’? Quella senza la documentazione e la ricerca di genere? Una risorsa come il Centro di Documentazione e Studi delle Donne si può mandare al macero con queste operazioni molto simili alle orribili politiche di altri governi che hanno falciato e cancellato tanti Istituti e Fondazioni di Cultura?

Attenzione ad errori come questi annullano l’entusiasmo di chi ha creduto ad un cambiamento, le donne hanno bisogno di questo luogo di incontro e di dibattito pubblico, di studi e ricerca. Diamo una Sede, in città- e lo sappiamo in molti – esistono scuole vuote e luoghi chiusi di proprietà del Comune. Magari rinunciamo a qualche ‘notte colorata’ ma diamo locali alle Associazioni e a Centri come questo.

Utilizziamoli gli spazi, non facciamoli ammuffire! Non se ne pentirà certo l’Amministrazione della città di Cagliari, avrà una risorsa in più quella della Storia delle Donne.

 

4 Comments

  1. Antonello Farris

    Qualcuno (un ministro della Repubblica Italiana) di recente ha detto che con la cultura non si mangia. Se le difficoltà in cui si trova il Centro di Documentazione delle Donne fosse stato uno stadio di calcio i soldi si sarebbero trovati. Chissà quanti enti pubblici e quanti cittadini si sarebbero interessati alla cosa. Invece…molti italiani danno ascolto alle sciagurate parole del ministro.
    Fatte una petizione o lanciate una raccolta di denaro. Chissà.

  2. silvia martelli

    Quando cominciano a scomparire i luoghi del pensiero e’ tutto un paese che sta male e rischia di morire. Cagliari e’ una citta’ che ha bisogno di cultura, ha bisogno non solo di grandi eventi ma soprattutto di strumenti culturali per nuove idee. Il Centro di documentazione lo e’.

  3. savina dolores massa

    1978. È il periodo dei miei vent’anni e di molti vent’anni, venticinque o trenta. È il periodo di una generazione di donne mentre imparano a voltarsi da un agire impostato e imposto, e fu sorpresa e anche botte materne in attesa dietro una porta notturna, per un ritardo esagerato oltre l’orario di decenza nel rientro a casa, per una ragazza. Botte, poi discussioni, minacce, ricatti, infine una specie di invidia in una resa di chi il treno della ricerca della libertà l’aveva perduto. Le nostre madri, avessero provato davvero a rinchiuderci, ci avrebbero spento la voce, e con la nostra, la loro. Finsero di arrabbiarsi ma ci lasciarono andare. Non ci dissero, Vai anche in nome mio, ma nel ’78 le ragazze sapevano leggere il pensiero. Ora non so. Non so cosa possono comprendere di noi e del nostro ’78, delle strade che abbiamo contribuito ad aprire loro, di altre che – può essere – abbiamo dipinto di confusione. Non posso neppure parlare della solitudine che di tanto in tanto colpisce tutte, ma della determinazione di alcune sì. Sapevo, nel ’78, che a novanta km. dalla sottoscritta un gruppo di ragazze aveva inventato la Libreria delle donne. Le immaginavo uguali a me, con gonne a fiori e intelligenze ridenti. Tra i libri e tra i sogni. Ho scoperto recentemente, cioè pochi giorni fa, che quelle donne da me stimate senza averle mai incontrate, negli anni avevano trasformato il loro coraggioso progetto nel Centro di documentazione e studi delle donne. Quelle donne “sconosciute” accanto ai miei vent’anni le ho incontrate fronte contro fronte adesso, e amate tanto, senza sapere che fossero loro. Sono donne pensanti che accolgono con volti di vent’anni, lo giuro, e con una gioia vitale che contagia e incatena benevolmente. Ogni giorno non ostentano sicurezze, ma insieme (che parola arcaica!) aprono a tutte e a tutti, come un dono, la porta del loro vissuto e di un futuro non temuto nella sua costruzione. Fare un torto a tanta bellezza attiva, e ricerca, e conservazione di memoria sarebbe danno irrimediabile. Come accoltellare un aquilone, come sparare al sole.
    Tutte possiedono un nome e un cognome: Centro di documentazione e studi delle donne. È un nome collettivo, frutto – come un grappolo d’uva – di insieme. Ora si vorrebbe radere al suolo una vigna? Che incauti, e in nome di che cosa? Di frutta insapore ma più appariscente? Di frutta che non lascerà ricordo di sé nella bocca di alcuno?
    Per un momento, uno solo e spero non ne occorrano altri, ricordo a voi che ora con disinvoltura minacciate potature, che di queste donne siete i figli. E se ne siete i figli dovreste solo ritornare alle loro gonne a fiori e inchinarvi, con vergogna.

    Savina Dolores Massa

  4. Federica

    VOGLIONO IMPEDIRCI DI SAPERE.
    CONTRO Il RISCHIO DI CHIUSURA DEL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE STUDI DELLE DONNE DI CAGLIARI.

    “Anche tra le donne più represse e depresse, nelle sacche di miseria più disperata, io andavo cercando e trovando una luce di rinascita, un rifiuto alla rassegnazione, una carica di energia non domata da umiliazioni e sventure.”*

    Donne che cercano di guardare dentro di sé per capire chi sono.
    Non smettono di interrogarsi nella loro ricerca dei perché.
    Donne che si chiedono cosa sia identità e vogliono scoprire, toccare con mano le radici. Quello che eravamo per quello che siamo per quello che saremo.
    Bisogno di guardare quello che le altre prima di noi hanno tracciato e seminato.
    E trovarsi stupite e commosse davanti alle loro storie.
    Epigoni di un passato per un moto di ribellione del presente. Ora, non domani.
    Per se stesse e per le altre.
    Noi possiamo riscriverla la storia, ma lo dobbiamo volere più di noi stesse.

    Attraversare un’Isola

    “scheggia di un continente antico,
    eroso rugginoso
    come una spada dimenticata
    che nessuno raccoglie”**

    la nostra Terra, Sardegna, isola ancestrale dove in tempi bui, non so se peggiori o migliori di questi una maestra elementare sfidava il fascismo accendendo la luce di una candela quando le tenebre inghiottivano e assalivano. Il lume è fioco, ma è un barlume che permette di leggere, di nutrire la propria anima e non consegnarla all’Oscurità.
    Rivolta di donna in nome di un popolo.

    “La sera lessi e rilessi quelle pagine consolatrici al lume di una debole lampada , quando d’un tratto udii rumori nella scala, come di corpi pesanti che cadessero dall’alto. Cacciai i foglietti sotto il cuscino , spensi la luce e uscii sulla terrazza , mentre i proiettili continuavano a cadere. Erano dei sassi: i fascisti andavano per le strade per controllare l’oscuramento”***

    E’ storia di eroine e donne mortali.
    Dee in nome del coraggio, persone comuni che rompevano le regole dello straordinario.
    Quando era proibito scrivere, loro scrivevano. Quando era proibito studiare , studiavano. Quando era proibito parlare e pensare, parlavano e pensavano.
    Non è vero che donne e uomini sono uguali, agli uomini è sempre stato tutto concesso in nome di una presunta superiorità di specie che voleva delegittimare il potere che loro per natura non hanno: saper dare la vita.
    E scusatemi se è poco.
    Vita è eternità e non solo proseguimento della specie.
    Senza le donne, partita chiusa e fine dei giochi.
    Le guerre mondiali come parto senza fine per ottenere tutto quello che gli uomini avevano senza sforzo nascendo. Solo un piccolo grido di spavento e poi se sei maschio tutto in discesa. A patto che tu abbia cervello, ma questo vale anche per le donne ed è tutta un’altra storia.
    Poesia e racconto continuo, perpetuo che ora è utile più che mai.
    In un presente dove l’uguaglianza è una certezza sancita dalla legge, ma utopia in pratica.
    Dove ancora ti chiedono di firmare dimissioni in bianco, dove la politica a Roma è cosa per donne, ma non in Sardegna, patria di grandi pensatrici e di donne leggendarie, di donne che tutti i giorni, in ogni luogo, lottano e non si arrendono. Coriacee e determinate, argute e selvagge. Creative e passionali. Donne e ancora donne.
    In via Roma a Cagliari, nell’ ecomostro di cemento che è il Palazzo della Regione, lasciatemelo dire triste e brutto, non per niente simbolo del Potere maschio, “gli uomini colti “ in conclave segreto hanno liquidato la legge sulla doppia preferenza senza alcun senso di colpa e pazienza se sugli scranni del Consiglio Regionale ci sono solo quattro donne.
    Non gettiamo la spugna facilmente.
    Striscioni e scarpette rosse, flash mob e manifestazioni.
    Tutte senza paura devono far sentire la propria voce per l’ennesimo atto di sfregio.

    LA CHIUSURA DEL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE DELLE DONNE DI CAGLIARI.

    Nato come Libreria delle Donne nel 1978 poi, grazie alla cooperativa La Tarantola, evoluto nel centro di Documentazione e studi delle donne. Riconosciuto dal ministero dei Beni Culturali e dell’Istruzione come eccellenza per il suo interesse storico culturale particolarmente rilevante, ma non dal Comune di Cagliari e dalla Regione Sardegna che hanno lasciato in balia di loro stesse le volontarie che con passione e sacrificio mandano avanti il centro.
    Senza alcun tipo di finanziamento o supporto.
    Il centro-fonte sistema bibliotecario Opac- è vigile custode di quello che significa essere donna.
    “Il Centro di documentazione raccoglie il materiale documentario sulla memoria, la politica, la cultura e la storia delle donne; la legislazione regionale, nazionale ed europea che riguarda le donne.
    Offre servizi di consultazione gratuita e prestito a domicilio di libri, riviste e documenti posseduti dal Centro. Informa sul materiale documentario della base-dati nazionale LILITH, la rete di centri di documentazione, archivi e biblioteche delle donne; sul materiale librario specializzato posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Cagliari; sul materiale librario specializzato posseduto dalla Biblioteca Comunale Is Bingias; sul materiale documentario del Centro di documentazione della Commissione Regionale Pari Opportunità; sui programmi televisivi realizzati sulle donne e da donne registe della sede regionale RAI .
    Fornisce inoltre servizi specializzati nel settore della documentazione. “

    Il centro ha bisogno di una collocazione non all’interno di una biblioteca, ma in autonomia perché è passato che è presente segnante, sapere che deve essere circolante, base imprescindibile per prenderci tutto.
    Non si può ignorare,
    Ora le serrande rischiano di essere abbassate e la mia ricerca su Joyce Lussu bloccata.
    Ma non è una considerazione egoista, da donna che è affamata di sapere.
    No è dolore e profonda ingiustizia, perché dentro il centro ci siamo noi, il nostro sangue, tracce di quella memoria che è importante che le tenebre non catturino.
    Sono conscia che è il mio è un debole lume, ma tante fioche luci fanno un bagliore accecante.

    “E cercavo di analizzare il fondo più oscuro del dramma quotidiano, appunto perché da quel fondo bisognava risalire, e non ignorarlo o coprirlo con romanticismi, populismo o schematismi di partito.”****

    Se ci siamo, facciamoci sentire. Non possiamo continuare a subire. E non parlo di femminismo stereotipato dal mondo maschile che l’ha sminuito, ma dell’essere differenti, semplicemente donne, fiere e degne di esserlo.
    Continuiamo a scrivere , pensare. Dobbiamo farlo sempre. Nessuno ci può impedire di sapere.

    “E’ nostro dovere ora. Pensare, pensare, dobbiamo.
    In ufficio; sull’autobus; mentre tra la folla osserviamo l’Incoronazione e l’investitura del sindaco di Londra; mentre passiamo accanto al Monumento ai Caduti; mentre percorriamo Whitehall; mentre sediamo nella tribuna riservata al pubblico della Camera dei Comuni; nei tribunali; ai battesimi, ai matrimoni, ai funerali. Non dobbiamo mai smettere di pensare: che ‘civiltà’ è questa in cui ci troviamo a vivere?”*****

    Federica Ginesu

    *Joyce Lussu, L’Olivastro e l’Innesto, La Biblioteca della Nuova Sardegna-Edizione Speciale
    **Joyce Lussu, L’Olivastro e l’Innesto, La Biblioteca della Nuova Sardegna-Edizione Speciale
    *** Mariangela Maccioni, Pensatori Sardi-La Biblioteca dell’Identità Unione Sarda
    ****Joyce Lussu, La Biblioteca della Nuova Sardegna-Edizione Speciale
    *****Virginia Woolf Le tre ghinee,Feltrinelli

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