Israele siamo noi [di Nicolò Migheli]
Jeffrey Goldmann in un articolo pubblicato da Linkinchiesta scriveva che nel fine settimana del 27 luglio, mentre gli sguardi del mondo erano rivolti all’orrore di Gaza, in Siria erano state uccise altre 700 persone in una guerra civile dove ne sono morte già 170.000. Il giornalista si aspettava che la notizia fosse riportata dai mezzi di comunicazione internazionale, ma non è stato così. Goldamann si chiedeva come mai il dramma dei palestinesi ci coinvolga così tanto mentre altre guerre ed altre vittime non siano degne di attenzione. La risposta che dava era che sia Israele che la Palestina di Abu Mazen ricevono finanziamenti americani, di conseguenza l’interesse della grande stampa. A giudicare dal mio piccolo osservatorio telematico, ho avuto la stessa sensazione di un coinvolgimento totale dei più su Gaza. Mi è capitato di leggere “In questo momento l’antisemitismo è l’ultimo dei miei problemi”. “Non parteciperò mai più alla giornata del ricordo dell’Olocausto”, “ Tutti gli anni a scuola abbiamo ricordato il 27 gennaio, non so se in futuro lo farò”. Alcuni, siccome gli israeliani per l’82% – secondo i sondaggi- sono d’accordo con l’operato del governo, adombrano la responsabilità collettiva. Responsabilità che non esclude gli altri ebrei. Il clima antigiudaico, perché di questo si tratta, sta montando in tutta Europa. Secondo Newsweek, il 30% degli ebrei sta pensando di emigrare dai paesi europei; scappare negli Usa o in Israele. Dalla Francia nel 2013 sono emigrati in Israele 3.386 ebrei, per quest’anno a Tel Aviv ne sono attesi 6.000. A Wuppertal è stata incendiata la sinagoga. Il capo della comunità ebraica tedesca dichiara che sente aria di anni ’30. Eppure il 18% degli israeliani è contrario all’assedio di Gaza, la scrittrice americana Naomi Wolf dichiara :”Gaza assomiglia sempre di più al ghetto di Varsavia, tocca a noi ebrei dell’estero schieraci”. In Italia Moni Ovadia ha pronunciato parole di fuoco contro Netanyahu. Nessuno ricorda che i primi avversari del sionismo sono stati pensatori e comunità ebraiche. Gli stessi sopravvissuti ai campi di sterminio vennero accolti in Israele con vergogna, erano i perdenti, quelli che non avevano voluto resistere al nazismo. Solo dopo il processo Eichmann ci fu il riconoscimento. Non si considera che le persecuzioni degli ebrei europei sono funzionali alla politica di Netanyahu, che vorrebbe il ritorno di tutti gli ebrei per concludere la colonizzazione della Palestina. Resta però la domanda: perché le sofferenze dei palestinesi ci coinvolgono così tanto? Solo perché è una guerra che dura da 66 anni? In realtà da 100, da quando ci furono i primi insediamenti ebraici in Palestina. La risposta è molto più complessa, ci tocca nelle viscere, è alla fonte del nostro essere europei. Il nostro fondo culturale comune – anche quello dei laici- è una eresia ebraica ibridata con il pensiero greco romano. Se oggi proviamo compassione, patiamo insieme, per il popolo palestinese lo dobbiamo alla Bibbia, il primo racconto di chi è vittima. Se fossimo rimasti greco-romani, proveremmo ammirazione per il vincitore. Lo sconfitto avrebbe solo la damnatio memoriae. Il pensiero ebraico è uno dei fondamenti di quel che siamo, il concetto di progresso, il socialismo ed anche il pensiero liberale vengono da loro. Così molta psicanalisi e fisica, per citare solo alcune dottrine. Quel che oggi viene definito come cultura occidentale è frutto del nostro incontro con loro. Israele nel bene e nel male è la nostra proiezione. Allo stesso tempo sugli ebrei ha pesato l’anatema di essere gli uccisori di Cristo, banchieri dediti allo sfruttamento della cristianità, orditori di trame per il dominio del mondo. Un rapporto conflittuale che non ha escluso un reciproca inseminazione di idee che hanno fatto in modo che quel popolo prendesse dall’Europa virtù e difetti. Anche loro hanno vissuto la ricerca della libertà per la loro nazione solo a spese delle altre, così come si è visto troppe volte in Europa. In questo Israele si è comportata come noi con il colonialismo e le apartheid realizzate per il mondo. Gli ebrei sono stati per secoli un popolo senza terra, emarginato e violentato. Quelli che poi sono diventati Israele hanno dovuto fare i conti con l’essere un paese come tutti gli altri. Il loro bisogno di sicurezza li ha spinti verso una società escludente per chi non fosse ebreo. Una ripetizione tragica delle loro sofferenze. L’abusato che diventa abusante, non avendo altri modi per relazionarsi con il diverso, visto come aggressore. Adriano Sofri raccontava di un militare che rivolgendosi ad un suo coetaneo palestinese che gli lanciava dei sassi, lo apostrofava con un: “Vuoi altro gas?” senza rendersi conto di quanto in quell’espressione ci fosse rovesciamento semantico del destino del suo stesso popolo. Israele ha scoperto che dentro il sionismo poteva nascondersi un nazionalismo tanto estremo da essere fascista come quello professato da Vladimir Jabotinskij. ll resto del mondo come nemico, perché quella è la sua storia. In questi giorni terribili Tel Aviv ignora gli avvertimenti Onu, quelli degli stessi Usa, macchiandosi di atti che sono crimini di guerra. Tutti quei morti, quei laghi di sangue, quelle distruzioni non sono solo israeliane, ci appartengono. Sono la storia dell’Europa e della sua relazione con il resto del mondo. Israele paese normale per molti è un sollievo, relativizza l’Olocausto che diventa, ai loro occhi, uno dei tanti avvenimenti della storia. Allo stesso tempo il dramma palestinese diventa il nuovo senso di colpa, quello legato ai colonialismi europei. Sensi di colpa e sollievo perché questa volta i responsabili degli eccidi sono le vittime di un tempo. Ora dopo decenni di paci negate sia per responsabilità israeliane che arabe, l’unica speranza resta che in qualche oscuro carcere del Negev vi sia un Mandela palestinese che sappia ricostruire i fili spezzati, che si faccia promotore del perdono reciproco. Se continuerà la guerra perpetua, il futuro potrebbe essere tremendo per tutti: israeliani, palestinesi ed anche per noi europei, vissuti dalle pubbliche opinioni arabe come complici. |
Apprezzo e sono d’accordo col punto di vista di Migheli su Israele, Si, Israele siamo noi -occidentali, Europei soprattutto- e quindi, vorrei in particolare precisare, siamo noi laici che abbiamo voluto, talvolta in nome del Vangelo, rinunciare alla discriminazione religiosa che vorrebbe far coincidere stato e confessione religiosa. Ricordo che i palestinesi di Gaza hanno voluto, al contrario di quelli di Cisgiordania, abbracciare con Hamas un credo vicino agli sciiti iraniani. Anche per questo ben venga la nascita di uno stato palestinese laico e indipendente, stato che finirebbe presto o tardi per rifiutare la tragica ripetizione di atti di odio per dedicarsi finalmente alla salvifica costruzione di un’economia di pace, come ha di recente auspicato un giornale francese di sinistra come l'”Express”.