Com’era e dov’era, con la variante Libeskind. Per non dimenticare [di Carla Deplano]

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Dresda, la capitale del Regno di Sassonia detta la “Firenze sull’Elba” per la sua ricchezza monumentale e culturale, risorge pian piano dalle proprie ceneri come un’araba fenice. La ricostruzione accompagna diffusamente la tutela dei beni culturali fin da metà Novecento. Dopo un appassionato dibattito sulla legittimità della ricostruzione di edifici distrutti – che Cesare Brandi definirebbe falsi storici – gran parte del centro storico cittadino, raso al suolo nel 1945, è stata riedificata dopo la Seconda guerra mondiale sotto la DDR e i Sovietici ed, in particolar modo, dopo la riunificazione della Germania.

A differenza di Coventry, città con cui è stata gemellata e che oggi appare irriconoscibile rispetto al periodo pre-bellico, Dresda viene ricostruita filologicamente in modo non dissimile da Varsavia secondo il principio del “com’era e dov’era”, in base alle ricognizioni archivistiche cartografiche e fotografiche e alle celebri vedute del Canaletto.

Come altri monumenti risalenti ai fasti del Settecento barocco, la Frauenkirche, simbolo della città, considerata la più bella chiesa luterana della Germania, è stata terminata nel 2005 in occasione dell’ottavo centenario della fondazione della città. L’edificio mostra i segni tangibili della ricostruzione col caratteristico effetto patchwork a pelo di dalmata, indicativo del recupero delle pietre originali annerite per effetto della tempesta di fuoco sprigionata dalle migliaia di tonnellate di bombe esplosive ed incendiarie scaricate col chiaro intento di annichilire il popolo tedesco.

Di fatto, che piaccia o meno, non si (ri)costruiscono solo immagini della città, ma anche le vicende storiche che l’hanno caratterizzata in una nostalgia trasfigurata per il passato che ridà dignità e vigore monumentale alla capitale di un impero culturale, mutilata ma che non poteva scomparire. L’antico Museo di Storia militare voluto da Guglielmo I di Prussia rappresenta oggi un luogo della memoria e di opinione che insegna l’etica della pace ed indaga la guerra come fenomeno storico, culturale ed antropologico. Un radicale cambio di orientamento architettonico (e culturale in senso lato) è stato previsto con lo spettacolare ampliamento museale progettato dall’archistar Daniel Libeskind, inaugurato nel 2011.

L’immenso cuneo di metallo e calcestruzzo che sovverte le regole geometriche e trapassa lo storico edificio neoclassico rompendone l’equilibrata armonia compositiva esprime, letteralmente, l’idea della ferita quale metafora del vuoto e della cancellazione della storia. La nuova ala espositiva induce a riflettere sull’idea di come la guerra possa caratterizzare e sconvolgere le società e dialoga con l’itinerario cronologico della storia militare tedesca, intrecciando percorsi tematici sul valore della pace, la difesa dell’ambiente, la lotta contro la povertà e l’impegno comune contro la minaccia del terrorismo.

Gli anni delle devastazioni della Seconda guerra mondiale possono sembrare lontani alle giovani generazioni, ma la memoria non va cancellata e la Dresda ricostruita, particolarmente cara agli intellettuali di tutta Europa, è uno dei punti di forza di una nazione che mostra la sua capacità di riflettere in modo costruttivo e coraggioso sul proprio tragico passato.

Nessun bombardamento d’area (indiscriminato) e contro obiettivi civili può in alcun modo trovare giustificazione, ma dev’essere considerato un crimine di guerra. In questa direzione si è mosso il diritto internazionale dopo la fine del conflitto mondiale, sul monito che questo ed altri bombardamenti hanno dato all’umanità. Le devastazioni quotidiane cui assistiamo impotenti nel Medio Oriente mostrano peraltro come la strategia del bombardamento sia ancora ben radicata in ogni forza aerea. Mentre i danni contingenti, materiali e morali in termini di vite umane e di cancellazione della memoria e dell’identità culturale di un popolo diventano permanenti e travalicano i confini nazionali ripercuotendosi sulle nostre coscienze in una catena di orrore senza fine su cui occorre meditare profondamente e agire drasticamente.

In questo senso, la città di Dresda con le sue ricostruzioni filologiche e la nuova architettura decostruttivista avveniristica offre oggi più che mai, per dirla con Libeskind, “lo spazio per riflettere sulla violenza umana e allontanarci dalla continuità dei conflitti militari, ponendoci di fronte a questioni antropologiche di base”.

*Nella foto: Daniel Libeskind, Museo di Storia militare di Dresda

One Comment

  1. rosanna rossi

    Trovo l’articolo di una attualità precisa e condivido l’intervento.

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