Io ti salverò: una donna governa la politica monetaria degli USA [di Antonella Crescenzi]

Janet-Yellen

Non era mai accaduto, nella storia degli Stati Uniti. Una donna, Janet Yellen, 67 anni,  economista di fama internazionale, democratica, Presidente del Consiglio degli esperti economici della Casa Bianca sotto Clinton, è stata nominata da Obama Presidente della Federal Reserve, organismo dove già ricopriva una delle massime cariche, quella di vice dell’attuale Presidente Ben Bernanke. La nomina dovrà essere approvata dal Senato e diventerà operativa alla fine di gennaio 2014.

L’evento, secondo molti opinion maker, è di quelli che potrebbero segnare una svolta nella conduzione della politica economica della prima potenza del mondo, ovvero di quelli che potrebbero influenzare l’evoluzione dello sviluppo globale dei prossimi anni, avviando un processo di riequilibrio tra gli eccessi della finanza creativa e la debolezza dell’economia reale e lasciando, così, finalmente alle spalle una crisi che non ha avuto eguali da quella del ’29.

Ma quali sono le ragioni che possono giustificare una tale aspettativa? Quali sono i fattori che suscitano questa speranza? Molteplici, possiamo dire. Una prima risposta è abbastanza semplice: induce all’ottimismo la novità rappresentata dalla nomina di una donna ad una funzione così importante e delicata. Si sostiene, infatti, da più parti, che per ritrovare la via della crescita ci sia bisogno di un nuovo approccio culturale e politico, di cui le donne sono portatrici. E’ dimostrato, infatti, che le aziende con più donne nel proprio management hanno risultati finanziari migliori, che un maggiore equilibrio di genere è un indicatore importante di innovazione, che le donne hanno maggiori capacità rispetto agli uomini di inquadrare le decisioni in contesti più ampi. Perché dunque questo non dovrebbe valere anche per la conduzione della Fed?

La Fed, ovvero la politica monetaria degli Stati Uniti, è stata guidata sempre da uomini, appunto. In particolare, il mitico Alan Greenspan, nominato da Reagan nel 1987, succeduto a Paul Volker (democratico), confermato da Bush padre, da Clinton e da Bush figlio, espletò ben 5 mandati consecutivi. Poi, nel 2006 gli subentrò Bernanke, nominato da Bush e confermato in seguito da Obama.

Greenspan, strenuo difensore del laissez-faire, nella prima metà dello scorso decennio, lasciò che l’economia americana fosse progressivamente inondata di liquidità, favorì l’espansione dei mutui a tassi facilitati, in parole povere aprì le porte alla speculazione e a una gigantesca bolla immobiliare, preparando il terreno alla crisi finanziaria del 2007/2008. A Bernanke non restò che gestire la situazione, in una prima fase, la più drammatica, affrontando il credit crunch con operazioni straordinarie e, in una seconda fase, quando già l’economia americana era ripartita, alimentando la ripresa con strumenti monetari non convenzionali, tenendo comunque a bada l’inflazione. Una politica che prosegue tuttora, ma che non potrà essere portata avanti all’infinito, pena il ricadere nello stesso errore del passato decennio. A Yellen, toccherà questo difficile compito: continuare a sostenere l’economia ritirando gradualmente gli stimoli monetari.

Ora, sappiamo che alla base della crisi non ci sono stati solo le storture della finanza e gli errori della Fed, ma anche fattori strutturali, quali gli squilibri macroeconomici fra le diverse aree del mondo e l’aumento delle disuguaglianze all’interno dei paesi avanzati. Certamente, però, i fattori scatenanti sono stati l’avidità e la miopia.

Uomini che sbagliano, economisti incapaci di prevedere l’arrivo della crisi, premi Nobel che si perdono nei loro giochi di equazioni e modelli, incantati dalla loro bellezza, speculatori che vogliono ricavare denaro dal denaro, senza alcun contatto con la produzione di beni e servizi reali. Ecco, la finanza un mondo prettamente maschile, lasciato a se stesso, senza regole, ha fallito, trascinando nel disastro le economie di tutto il mondo.

La crisi – che ha prodotto recessione e disoccupazione ovunque, che ha portato l’Europa sull’orlo del default, che ha aggravato la povertà, che ha riportato il livello di sviluppo del nostro Paese indietro, indietro, così indietro che non basteranno 10, forse 15, anni per recuperare il terreno perduto e a patto, naturalmente, di fare riforme serie – finora è stata “manovrata” e “depotenziata”, sia negli Stati Uniti, come si è appena visto, che in Europa (non dimentichiamo la svolta impressa all’azione della Bce dal nuovo Presidente Mario Draghi) ma anche in Giappone e nel resto del mondo, con politiche monetarie più efficaci, con strumenti innovativi, con un maggior grado di coordinamento internazionale. Essa mantiene, tuttavia, pericolosamente intatte alcune delle sue più profonde ragioni, ovvero quelle legate alle disparità di reddito, all’iniquità sociale, al degrado morale, all’immutato prevalere della finanza sull’economia reale. Ed è proprio qui che si innesta la seconda risposta al nostro iniziale interrogativo sulle ragioni per cui la nomina di Yellen suscita così grandi aspettative.

Janet Yellen ha nelle proprie corde di economista gli insegnamenti di Keynes, ha condiviso importanti studi e riflessioni con Stiglitz e Akerlof (entrambi Premi Nobel all’economia, il secondo è anche suo marito) nel ritenere necessario non solo regolamentare più efficacemente mercati finanziari divenuti sempre meno trasparenti, ma anche esplorare filoni di pensiero alternativi, che tengano conto della complessità del sistema economico e dei nessi con aspetti sociali e psicologici.

Il suo interesse accademico rivolto da anni ai temi della disoccupazione, le sue prime dichiarazioni rilasciate dopo la nomina (“La Fed deve aiutare tutti, perché ognuno abbia un’opportunità di lavorare e avere una vita migliore.”), la consapevolezza, espressa nella dure parole di Stiglitz che “la crisi ha rappresentato per i fautori ad oltranza del libero mercato quello che la caduta del muro di Berlino ha rappresentato per il comunismo”, la convinzione, quindi, che il mercato può funzionare meglio con opportuni correttivi da parte dello Stato, sono tutti elementi che possono confortare l’ipotesi di un nuovo approccio all’economia.

Certo, sarà importante per Yellen stabilire una alleanza di ferro con un’altra donna molto potente, Mary Jo White, che negli Stati Uniti guida dall’aprile scorso la Sec, l’organismo che controlla la Borsa, e che ha già fatto intendere alle grandi banche che l’aria a Wall Street è cambiata.

Infine, la terza risposta. In questa speranza, forse si cela qualcosa di più profondo, di ancestrale, il riporre fiducia nella donna come elemento protettore e salvifico dell’esistenza, un archetipo molto diffuso. Certo, Yellen avrà successo solo se agirà concretamente, mettendo a frutto le sue capacità in coerenza con le sue idee.  Ma perché negarci di immaginarla come Ingrid Bergman in “Io ti salverò” di Hitchcock guidata dalla forza del suo amore e del suo intuito?

*Economista

 

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