Marchio d’autore [di Carla Deplano]
Il marchio McDonald’s è diventato col tempo un’icona conosciuta in ogni angolo del pianeta, sinonimo dell’imperialismo e del capitalismo americano, nonché della globalizzazione in senso lato. La famosa doppia M disegnata da uno dei fratelli McDonald viene inserita, a partire dal 1961, nel nuovo logo aziendale fondato negli anni ‘40 e finisce per diventare l’emblema di un’architettura distintiva caratterizzata da due grandi archi stilizzati. I Golden Arches sono potenti stimolatori visivi dell’appetito, gialli come la felicità e l’ottimismo sul campo rosso della passione e della vitalità. La svolta “eco-friendly” atta a bypassare strategicamente gli attivisti ambientali europei caratterizza da qualche anno il nuovo campo verde, quale sinonimo di rispetto per l’ambiente in Paesi sensibili come Germania, Svizzera, Inghilterra e Francia. Rimane invece assolutamente invariata la forma degli archi, che secondo alcuni richiamerebbe inconsciamente il seno materno e nutriente. Freud a parte, pochi sanno che il logo McDonald deve più propriamente la sua forma raddoppiata al Gateway Arch di St. Louis che domina il Mississippi, opera dell’architetto finlandese naturalizzato americano Eero Saarinen dedicata a Jefferson, realizzata tra il 1961 ed il 1966. La lezione di Saarinen si manifesta evidentemente nel Margaret Hunt Hill Bridge di Dallas progettato da Santiago Calatrava, archistar incaricato di ridisegnare alcune porzioni della città attraverso la pianificazione urbanistica e progetti infrastrutturali di forte impatto, nell’ambito di una qualificazione territoriale volta alla più generale ridefinizione identitaria e culturale texana. Anche i tre ponti dello stesso Calatrava realizzati a Reggio Emilia tra il 2002 ed il 2007 diventano, con le loro immense forme paraboliche debitrici della visionarietà di Saarinen, un sorprendente elemento del paesaggio che va oltre la loro semplice funzione. E l’interesse per la connettività attraverso il design e l’ingegneria d’effetto approda anche nell’Isola dei nuraghi con il primo, costosissimo, ponte sardo strallato ad arpaventaglio con scappellamento a destra. La Tour Eiffel nostrana ad “Y” rovesciata con becco forato in acciaio inox, inaugurata nel 2009 nella desolata landa della periferia tra Sestu e Monserrato, costituisce oggi un importante riferimento geografico con spettacolari effetti scenografici notturni, paragonabili solo agli archi di Bagdhad con spade incrociate noti come “Le mani della vittoria”. A ciascuno il suo marchio cultural-territoriale!
|