Quella foglia di fico dell’art.18 [di M. Tiziana Putzolu]

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Ne è rimasto un pezzetto di quella foglia. Di quella pianta meravigliosa che proprio a settembre spande quel profumo nelle nostre campagne e spesso tanti fichi fa cadere per terra. Un minuscolo pezzetto ne è rimasto. A coprire le pudenda. Ciò che è rimasto dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è questo. Possiamo chiamarlo anche perizoma, se vi va. Ma foglia di fico rende meglio.

Non si capisce per quale ragione, in un paese ed in un’isola che conta i licenziati a grappoli, singoli, collettivi e per gruppi, cassintegrati ed in mobilità in numeri crescenti, si continua ad associare l’articolo 18 al divieto di licenziare. Chi non ha un figlio, un vicino di casa, un amico che non sia stato licenziato? Dove era quel divieto? Perché non ha agito come Supeman? Forse che non sono stati licenziati i lavoratori autoreclusisi all’Asinara tempo fa? O le decine, le centinaia nel Sulcis? Nella piana di Ottana o di Tossilo quanti ne sono stati licenziati? Forse che i commercianti di Macomer non hanno licenziato i loro dipendenti quando hanno dovuto abbassare le serrante in quella cittadina che pullulava di gente e gioventù fino a pochi anni fa? Non si poteva licenziare, allora?

Se non è una forma di rimozione collettiva, questa, che altro è. Narcosi sociale? Da issare periodicamente sulle bandiere sempre più ideologicamente sbiadite di partiti che non sono più né di destra né di sinistra e di sindacati che tentano di fare un minimo sindacale di opposizione. Di un Governo che vuol fare Governo e Parlamento insieme, mentre tenta di smantellarne un ramo. Di un sistema parlamentare senza opposizione. Perché? Perché sanno, proprio loro, che non è rimasto più nulla da difendere, di quell’articolo. Non si fa uno sciopero generale per difendere il fantasma dell’articolo 18.

Perché mentre l’articolo 18 si credeva sfoderasse in pieno i sui superpoteri e riempisse di tutele alcune categorie di lavoratori ed altri no, a molti, ai più, è sfuggito che della sua originaria articolazione e funzione è rimasto poco. Pezzo dopo pezzo è stato smantellato. Ecco. L’articolo 18 è ormai questo. Quel che è rimasto dopo l’ultimo maquillage del 2012 della Signora Professoressa Fornero non è che un minuscolo orpello issato a bandiera in difesa del divieto di licenziare. Chi non ricorda tra qualche lacrimuccia quel che la Signora in questione andava ripetendo? Il tema del licenziamento discriminatorio rimane. Diceva lei. Ancora per poco. Ci pare di capire oggi.

Nato nel 1970 a seguito di grandi lotte dei lavoratori che fino ad allora allora venivano licenziati se appartenenti ad un sindacato piuttosto che ad un altro. Che alla Fiat a Torino venivano confinati nel reparto Stella Rossa dall’indomito Valletta. Scioperarono davanti ai cancelli delle grandi fabbriche di allora, di quella Italia industriale di allora, con i sindacati, i partiti e le opposizioni di allora.

Se qualcosa è rimasto da difendere, in realtà, non è il divieto di licenziare, che non è mai esistito. La giurisprudenza corposa lo conferma attraverso tantissimi casi, anche curiosi. Come conferma che i lavoratori ingiustamente licenziati, alla reintegrazione sul posto di lavoro scelgono, giustamente, l’indennizzo. Ma bisogna continuare a credere fino in fondo che sia ancora giusto il principio secondo il quale nessun imprenditore privato (così come il pubblico) possa licenziare a proprio piacimento, secondo i suoi gusti, preferenze o colore degli occhi. L’utilizzo ‘usa e getta’ di una lavoratrice o di un lavoratore. Senza continuare a pagare pegno. Questo vecchio da rottamare si avvia ad essere come quel dente del giudizio che il buon dentista deve cavare piano piano, facendo piccole leve. Sussurandoti nell’orecchio scusi spero di non farle male.

Per saperne… un po’ di più.
Inizialmente, erano i vari contratti collettivi ad introdurre, di volta in volta una serie di limitazioni al potere del datore di lavoro. L’accordo interconfederale (Confindustria/Cigl-Cisl-Uil) del 20 aprile 1965 introdusse ad esempio la possibilità, per il lavoratore licenziato, di attivare una procedura di conciliazione con il datore di lavoro e con la partecipazione del Sindacato, ovvero la costituzione di un collegio arbitrale per tutelare il suo diritto.

La prima legge sulla questione, la n. 604 del 1966, recepiva i vari accordi contrattuali in materia, che però valevano solo per gli iscritti alle associazioni sindacali che stipulavano gli accordi. In essa vennero introdotti determinati requisiti di forma e determinati presupposti di giustificazione del potere di recesso dell’imprenditore (con più di 35 dipendenti), dichiarando illegittimo il licenziamento non sorretto dagiusta causa o da giustificato motivo.

Importanti innovazioni furono inserite nell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Venne tutelato, attraverso la reintegrazione nel posto di lavoro, il lavoratore contro il licenziamento ingiustificato. Anche questa normativa ha però un campo di applicazione limitato, essendo circoscritta ai soli lavoratori dipendenti da imprese con più di 15 dipendenti.

Sotto le forti pressioni politiche degli ultimi anni ’80, fu emanata la legge n. 108 del 1990. Quest’ultima amplia ulteriormente la tutela in favore del lavoratore e consacra definitivamente il principio della giustificazione del licenziamento. Il datore di lavoro non può interrompere il rapporto di lavoro liberamente, ma deve fornire la motivazione del licenziamento, oltre al rispetto della forma scritta.

Il nuovo regime sanzionatorio
La Legge n. 92 del 2012, cioè la cosiddetta Riforma Fornero, ha profondamente modificato la disciplina delle tutele del licenziamento, passando dalle sanzioni previste nel vecchio art. 18 (reintegrazione o riassunzione accompagnate da un’indennità), a 4 diversi regimi sanzionatori, individuati in base alla gravità dei vizi del licenziamento. Le nuove sanzioni, in particolare, sono:
• reintegrazione con risarcimento integrale (pari a tutte le mensilità perdute ed ai contributi non versati); si applica in caso di licenziamento discriminatorio;
• reintegrazione con risarcimento limitato nel massimo di 12 mensilità; il lavoratore ha la facoltà di optare per le 15 mensilità al posto del reintegro; si può applicare, a discrezione del giudice, in caso di licenziamento disciplinare;
• indennità risarcitoria, tra le 12 e le 24 mensilità, senza versamento contributivo; si può applicare, a discrezione del giudice, in caso di licenziamento disciplinare;
• indennità risarcitoria in misura ridotta, da 6 a 12 mensilità.

 

One Comment

  1. Antonello Farris

    Questa dell’articolo 18 è una questione di schizofrenia di una certa destra. Ho letto: ” Sacconi fa i salti di gioia per l’abolizione dell’articolo 18 “. Ho rispetto per la persona, sono convinto sia in buona fede, ma nessuno mi toglie dalla testa che siamo in presenza di una grave patologia psicologica che andrebbe curata da analisti e psichiatri. Credere, come lui crede, che senza l’articolo 18 l’Italia cambierà volto e si porranno le condizioni per un nuovo sviluppo del mercato del lavoro, non è normale…Mi fa pensare ad un malato di tumore alla testa che si illude che il suo stato di salute dipenda dall’avere i capelli lunghi, e che perciò si rasi il cranio, e che ritenga in questo modo che il suo tumore sarà sconfitto.

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