La cultura? Il massimo che potremmo concederci, sarà di organizzare un po’ meglio l’attuale baraccone [di Costantino Cossu]
Pubblichiamo la Comunicazione di Costantino Cossu nella Sezione Con la cultura si mangia? al Convegno Come creare lavoro? Quale e come? nella S’Ischola de su Trabagliu tenutasi a Pattada Venerdì 12 e Sabato 13 settembre, organizzata dall’Associazione culturale LAMAS. L’iniziativa diventata ormai un vero e proprio think tank o per dirla in italiano un serbatoio di pensiero e di idee si è occupata di analisi di politiche industriali, agricole, manifatturiere, della conoscenza e culturali. (NdR). Dovrei rispondere alla domanda: “La cultura produce ricchezza?”. Non è difficile dare una ri sposta, che è quella più ovvia: sì la cultura può produrre ricchezza. Basterebbero due esempi tra i più clamorosi: il bilancio del Louvre a Parigi e il reddito di una città d’arte come Venezia, che ormai proviene quasi interamente dalle visite quotidiane di decine di migliaia di turisti. Dovrei dire che investire in conoscenza, in ricerca scientifica e in alta informazione, è un potente fattore di stimolo per l’economia, specie nei paesi come il nostro ad industrializzazione matura, dove l’innovazione è un fattore di produttività e di redditività importante. Dovrei dire anche che in Sardegna la cultura produce in qualche maniera reddito, anche se in una misura che potrebbe essere superiore. E aggiungere che il difetto, in Sardegna, se con la cultura non produciamo abbastanza reddito, è che non sappiamo organizzarla, la cultura. Dovrei dire che i canali del finanziamento pubblico in Sardegna seguono mille rivoli, alla fonte dei quali troppo spesso ci sono motivi che con la cultura hanno ben poco a che fare e che invece hanno molto a che fare con le preoccupazioni elettorali di assessori e sindaci o con i riflessi condizionati di tipo clientelare che muovono le decisioni di troppi membri di consigli di amministrazione di questa o quell’altra fondazione. Dovrei dire, che noi in Sardegna, al contrario di quanto succede in altre regioni, non riusciamo a fare sistema, non riusciamo a coordinare la spesa pubblica in cultura secondo un progetto complessivo, finalizzato a premiare ciò che merita di essere proposto come segno della nostra identità e a consegnare finalmente all’oblio il tanto folklorismo di bassissima lega che ancora prospera e fa danni immani. Dovrei dire che spesa in musei, siti archeologici, biblioteche, scuole e manifestazioni pubbliche di cultura e di spettacolo andrebbe armonizzata in un unico progetto. Perché non si possono lasciare gli assessorati al Turismo e alla Pubblica istruzione e alla Cultura da soli a fronteggiare le domande di tanti famelici clientes apportando, per tacitarsi la coscienza, solo più o meno drastici tagli lineari. Dovrei dire che ottimi piani che giacciono nei cassetti vanno riportati alla luce e messi in pratica con il coordinamento oculato dell’assessorato al Bilancio e alla Programmazione. Per fare sistema, appunto, perché neppure un euro di spesa pubblica vada sprecato. Dovrei dire tutte queste cose, ma sento che, se le dicessi, in buona sostanza non avrei detto nulla. O meglio, avrei detto cose che rientrano in un discorso di governance, di buona amministrazione dell’esistente (questo è la governance) che tutti, da destra a sinistra, potrebbero condividere e di fatto condividono (anche se poi, più dicono di condividerlo e meno lo mettono in pratica, almeno in Sardegna). E in un momento come quello che stiamo vivendo i discorsi di buona amministrazione dell’esistente valgono poco. O, come dicevo, nulla. In un momento in cui è evidente che l’esistente non basta, che non funziona, che va superato (non riformato, superato) in problema non è quello di trovare i modi di usare la cultura per produrre reddito, ma di trovare i modi di fare della cultura una delle leve del cambiamento possibile. Se i nostri ragazzi perdono il senso della relazione sociale – immersi come sono in un contesto di valori in cui gli individui sono monadi che comunicano tra loro solo attraverso lo strumento del consumo – è più importante un festival letterario che mette in vetrina un piccolo spicchio dell’offerta di merci prodotte dall’industria editoriale o un buon insegnante che sulla base di buoni programmi metta da parte i test Invalsi ed educhi i suoi alunni alla cultura come pensiero critico rivolto alla comprensione di se stessi e del mondo che hanno intorno? Oppure, è più importante un festival che la sera raccolga un po’ di turisti ad ascoltare musica, più o meno buona, o una bibliotecaria che in paesi come Lula e come Orgosolo o in quartieri come Santa Maria di Pisa a Sassari e Sant’Elia a Cagliari si impegni a fare della lettura uno strumento di autocomprensione e quindi di emancipazione in realtà dove la dispersione scolastica è altissima per motivi strutturali (tagli all’istruzione) ma anche perché, troppo spesso, la cultura non è percepita come una risorsa, un’opportunità per se stessi e per la propria comunità? Io sto dalla parte del buon insegnante e della buona bibliotecaria. Sono loro che possono produrre anticorpi contro un ordine della cose che va cambiato. Gli altri fanno finta di opporsi, ma in realtà se ne stanno ben caldi nella cuccia del mondo così com’è. Cioè di un ordine economico e sociale dove la cultura è tollerata solo se produce reddito. Vorrei quindi che la cultura non servisse a produrre reddito, cioè ad alimentare il dominio delle merci che regge il mondo. Che cosa vorrei che fosse la cultura? Rispondo con le parole di Antonio Gramsci: “Cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri”. Gramsci assegnava ad un soggetto storico, la classe operaia, e alle sue espressioni politiche organizzate il compito di costruire questo tipo di cultura, nella convinzione che senza questo tipo di cultura nessun mutamento dell’ordine esistente sarebbe stato possibile. Per tutta una lunga fase in Italia quel compito è stato svolto. Oggi non più. Prevedo perciò che la cultura come a me piacerebbe che fosse, non sarà, e che per un tempo ancora molto lungo avremmo festival, premi letterari e insieme cavalcate e sagre del Redentore e delle panadas. E sì, il massimo che potremmo concederci, sarà di organizzare un po’ meglio (oh, la governance!) tutto questo baraccone.
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Come non condividere:
“…” Per tutta una lunga fase in Italia quel compito è stato svolto. Oggi non più. Prevedo perciò che la cultura come a me piacerebbe che fosse, non sarà, e che per un tempo ancora molto lungo avremmo festival, premi letterari e insieme cavalcate e sagre del Redentore e delle panadas. E sì, il massimo che potremmo concederci, sarà di organizzare un po’ meglio (oh, la governance!) tutto questo baraccone.”…”
Qualche lume splende ancora, anche se lontano. Dal dottor Costantino Cossu mi piacerebbe leggere se esistano spazi perché il flebile lume rischiari anche i quotidiani sardi. Magari al prossimo think tank.
Antonio Deias