Sarà vero che “con la cultura non si mangia”? [di Carla Deplano]
Come annunciato Sardegna Soprattutto pubblica anche articoli di approfondimento mediamente più estesi. Consentono di entrare nel merito di problematiche di pubblico interesse. E’ il caso dell’articolo in questione che tematizza l’insegnamento della Storia dell’arte e la decisione di ridimensionare il monte ore nei curricoli scolastici fino, in qualche caso, a farla sparire (NdR). Il paradosso italiano: ruolo, funzione e valore della Storia dell’arte nel Paese che vanta un patrimonio di beni culturali unico al mondo. Dopo la Riforma Gelmini a forte vocazione “tecnicista” la Storia dell’arte è stata completamente cancellata negli Istituti Professionali e ha subìto una radicale riduzione in quelli Tecnici, che formano i futuri operatori nel campo del turismo; la chiusura dell’indirizzo Beni culturali al Liceo artistico ha comportato una contrazione delle ore di insegnamento da sette a tre; sono sparite sperimentazioni collaudate che prevedevano la Storia dell’arte fin dal primo biennio dei Licei classici; la soppressione degli Istituti d’Arte ha definitivamente tarpato le ali ai giovani che si cimenteranno nei campi del turismo, della grafica, dell’artigianato e della moda così caratterizzanti, a livello identitario, per il nostro Paese. Diversamente dalla massima di un ex ministro (della vergogna) secondo cui “con la cultura non si mangia”, una Riforma dell’Istruzione che potenzi la Storia dell’arte apporterebbe considerevoli benefici non solo sul piano civico-formativo, ma anche e proprio su quello economico-occupazionale, quant’è vero che sopratutto in Italia si dovrebbe necessariamente poter investire su un patrimonio di beni culturali unico al mondo! Nel resto d’Europa l’hanno capito bene, e qualcuno più sveglio di noi ci ha già pensato concretamente. Tanto per fare un esempio, dal 2008 nella vicina Francia, paradossalmente proprio sull’esempio della scuola italiana pre-Gelmini, si è reso obbligatorio l’insegnamento della Histoire des Arts in tutti i livelli e ordini di studio. La road map per l’Educazione artistica dell’Unesco, ampliata dalla Convenzione di Lisbona del 2006, insiste sulla portata formativa dell’educazione all’arte nella sua dimensione storico-culturale e creativa sin dalla prima infanzia, coerentemente con quanto dimostrato dalla Pedagogia più aggiornata. Mentre la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa del 2005, rivista nel 2011, afferma che “la conoscenza e lo studio del Patrimonio storico-artistico rientrano nel diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale e al lavoro, come definito dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo”. Da anni anche da noi l’Associazione nazionale degli insegnanti di Storia dell’arte (ANISA) si fa promotrice del curriculum continuo, che prevede l’insegnamento della Storia dell’arte fin dalla scuola elementare senza interruzioni; i tagli indiscriminati e scriteriati delle ore previste per questa disciplina nelle superiori interrompono, infatti, un percorso formativo organico in cui all’educazione all’immagine propria delle scuole elementari segue l’educazione artistica delle medie. Lo scorso 12 aprile, una “storica” seduta al Senato ha esaminato attentamente la Mozione per la Storia dell’arte nella scuola presentata da Rutelli e fortemente caldeggiata dall’ANISA che chiede, sostanzialmente, di «reintegrare le ore eliminate dai nuovi ordinamenti della scuola secondaria superiore […], di riattivare l’indirizzo “beni culturali” nel percorso dei licei artistici […], di introdurre l’insegnamento della storia dell’arte nel ginnasio […], di inserire l’insegnamento della storia dell’arte nella scuola primaria […], di includere la comprensione e la conoscenza del patrimonio storico-artistico nell’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza […], di salvaguardare e sostenere la specificità professionale e didattica dei docenti di storia dell’arte […], di incoraggiare la fruizione del patrimonio storico ed artistico nel corso dell’intero periodo formativo di tutti gli studenti italiani, favorendo il dialogo con le istituzioni territoriali del Ministero per i beni e le attività culturali, con musei e gallerie pubblici e privati, con le competenti istituzioni regionali e locali del territorio[…]». Ma nonostante l’approvazione della mozione a larga maggioranza in Senato, il Decreto Carrozza è rimasto inflessibile rispetto alle direttive della riforma Gelmini inerenti alla Storia dell’arte. E anzi, nel Liceo Sportivo recentemente legittimato dal MIUR l’insegnamento di Disegno e Storia dell’arte è stato soppresso, quando prima della riforma era parte integrante del piano di studi! Così alcuni mesi fa ha iniziato a circolare sul web una petizione funzionale alla reintegrazione dell’insegnamento della Storia dell’arte nelle scuole sottoscritta, tra gli altri, dall’attuale Ministro Bray, da Salvatore Settis, Adriano La Regina, Cesare De Seta e Rosi Fontana. Speriamo bene, come si dice in questi casi … E c’è un problema anche a valle, che riguarda la stessa formazione dei nuovi docenti. Malgrado innegabili difetti intrinseci, la S.S.I.S. stava infatti perlomeno formando tante valide figure professionali in grado di far fronte agli enormi disagi della società in trasformazione (in involuzione), dotandole di una solida preparazione psico-socio-pedagogica, oltre che didattica, secondo i rigorosi parametri qualitativi individuati in Europa nel campo della formazione scolastica. Le nuove aree della professionalità del docente della Scuola secondaria sono individuate nella capacità di progettare, nell’assicurare il coordinamento delle attività didattiche, nella gestione delle attività d’aggiornamento, nella capacità di documentare e produrre materiale didattico innovativo. Ciò implica saper lavorare in gruppo su specifici ambiti tematici, non unicamente legati alla sola “trasmissione dei saperi”, ma tesi a sviluppare una “competenza evolutiva” che legittimi la funzione di “ricercatore e progettista”. Si forma, quindi, un insegnante in grado di sviluppare processi di riflessione, autovalutazione e rinnovamento del proprio operare, capace d’interpretare le dinamiche della comunità di riferimento (territorio) per coniugarle con la funzione formativa, capace, inoltre, di progettare e di gestire in ambito educativo, percorsi di ricerca didattica su problemi aperti e su domande legittime della categoria. Questa formazione professionale è stata mortificata dal provvedimento autolesionista presentato dal ministro Gelmini nel dicembre 2010 in Consiglio dei Ministri.Quello che era il tipo di istruzione pensato per garantire dopo due anni di specializzazione il titolo abilitante, quindi l’ingresso ufficiale nella scuola, è stato chiuso perché ci si è sostanzialmente ritrovati di fronte ad un surplus di docenti condannati al precariato, alla faccia delle tanto sventolate garanzie. Ora, più che altro, bisogna verificare la qualità dei percorsi formativi alternativi, perché non siano impoverenti per la preparazione storico-artistica e al tempo stesso dotino degli strumenti adeguanti per insegnare. Soprattutto se si considera il nuovo approccio proattivo per competenze formulato nel Decreto Legislativo in vigore dal 2 marzo 2013, in cui si richiedono ai docenti capacità di pianificazione del lavoro individuale ed una iniziativa progettuale che possa sensibilmente contribuire al Piano dell’Offerta formativa dell’Istituzione scolastica. Competenze e capacità organizzativa, logistica e progettuale, cioè, che superano abbondantemente il ruolo storicamente assegnato dalla scuola fino a ieri e che richiedono tempo, risorse, strumenti e una continua coordinazione intra/interdisciplinare. C’è una preoccupazione condivisa per la situazione attuale di crisi del mercato per un lavoro ad alto specialismo come quello storico artistico: una crisi che riguarda i professionisti affermati, ma soprattutto i giovani che, in possesso di un curriculum lungo e complesso, si vedono al momento chiusa ogni prospettiva nel settore pubblico, e al tempo stesso si trovano soli a fronteggiare un mercato professionale di difficile individuazione all’interno delle professioni intellettuali codificate. La didattica della Storia dell’arte progetta trasversalmente organizzando percorsi didattici multi e interdisciplinari secondo un quadro di interpretazione organico e coerente che sviluppa la capacità logica e osservativa dei discenti. Stimolando un atteggiamento quanto più creativo e trasversale possibile – nel fornire spunti e riferimenti afferenti alla filosofia, alla letteratura, alla storia, alla fisica, alla matematica, alla biologia, alla religione – è possibile offrire un ampio panorama di motivi di riflessione da coltivare autonomamente ed un metodo di indagine a vasto raggio grazie al contributo sinergico delle diverse discipline, al di là della quanto mai anacronistica e manichea divisione tra ambito scientifico e umanistico. Lo studio della Storia dell’arte si rivela fondamentale per sviluppare un atteggiamento cosciente, critico e costruttivo nei confronti della comunicazione visiva; maturare comprensione e sensibilità verso l’oggetto d’arte in quanto patrimonio culturale personale e collettivo, testimonianza della civiltà e della diversità con valore non solo estetico, ma anche storico, intellettuale ed economico; sensibilizzare gli alunni ad esperire l’esteticità delle opere d’arte; cogliere la matrice storica, antropologica, letteraria e filosofica che determina le diverse espressioni artistiche. Un’ora alla settimana è poco più che niente. È quasi utopistico pensare che una materia possa creare competenze valutabili con un’ora settimanale, che oltretutto viene spesso a cadere per festività e manifestazioni di vario genere. È veramente difficile, se non impossibile, svolgere un qualsiasi programma completo e esaustivo con una collocazione così marginale. Considerando la vastità di quello della Storia dell’arte, in particolare, si può comprendere come insegnare in modo così superficiale e in una situazione di mancanza di continuità non lasci segno, non crei relazioni culturali condivise. Pensare di poter trasmettere agli studenti conoscenze e competenze in questo stato è semplicemente ridicolo e prefigura più che altro la cancellazione totale della disciplina dai curricola scolastici. D’altra parte risulta improbabile gestire diciotto classi, impossibile conoscere gli alunni e valutarli: sarebbero migliaia le verifiche da correggere in un solo anno. Il forte ridimensionamento della già scarsa presenza dell’insegnamento della storia dell’arte è il prodotto di un processo in atto nella scuola e nella società. Le scelte che si fanno in materia di istruzione rispecchiano la società che si vuole per il futuro, e la riduzione delle ore di Storia dell’arte e di molte altre discipline si inserisce in un contesto più generale di dequalificazione della scuola, con l’unico obiettivo di risparmiare su di essa e svilirla a vantaggio di quella privata. «È un fatto che quanta importanza si dà nelle scuole alla storia della letteratura, tanto poca se ne riconosce alla storia dell’arte, a quell’arte che è certo la più grande gloria artistica d’Italia»: questa considerazione, fatta da Marangoni nel 1932, appare quanto mai attuale in tutta la sua drammatica evidenza. Attraverso l’educazione al patrimonio si infondono valori fondamentali di educazione civica, di sensibilizzazione alla tutela, alla salvaguardia e valorizzazione dei beni storico artistici, ma il Governo di turno, invece di impegnarsi nella formazione di futuri operatori culturali sempre più competenti, sembra assecondare l’inesorabile processo di “lobotomizzazione” delle nuove generazioni. Se vogliamo che i cittadini di domani difendano i principi enunciati nell’art.9 della Costituzione (secondo cui la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione), è necessario che conoscano il patrimonio dei beni culturali che saranno chiamati a salvaguardare. Il paradosso, poi, è che oggi più che mai come in passato si assiste ad una fame di arte che si manifesta in tanti modi: dalle lunghe attese di fronte agli ingressi delle mostre, alla proliferazione di documentari e trasmissioni televisive, ad un’infinità di pubblicazioni divulgative di pregio acquistabili ormai anche in edicola e alla portata di tutte le tasche. È evidente, inoltre, l’interesse costante per la disciplina attestato dal numero di alunni che si iscrivono a Facoltà ad indirizzo storico-artistico e dalla mole di giovani laureati che frequentano i corsi di Specializzazione post-universitari per ottenere l’abilitazione all’insegnamento della disciplina. Ma proprio laddove la formazione artistica, accanto a quella letteraria e matematica, dovrebbe essere presente ovunque esprimendo un irrinunciabile sapere di base, le cattedre di Storia dell’arte appaiono drasticamente limitate nelle scuole superiori italiane. Il protocollo d’intesa firmato da Gelmini e Bondi nel 2010, con cui si dava il via al programma Alla scoperta del tuo Paese, risultava dedicato «alla promozione degli scambi culturali, della conoscenza della storia nazionale e delle culture locali nella scuola italiana attraverso i viaggi di istruzione nel nostro Paese, per portare i ragazzi a riflettere sul senso e sul significato contemporanei dell’essere italiani anche attraverso la conoscenza più approfondita del territorio nazionale». Ora, in un momento di crisi generale e culturale senza precedenti, questa mi era parsa una mossa francamente propagandistica, quanto ipocrita e paradossale. Se, infatti, quella classe politica esaltava retoricamente il primato quantitativo e qualitativo del patrimonio artistico e il prestigio che per questo l’Italia ha nel mondo proclamandone il ruolo fondamentale anche per le nostre prospettive economiche, i tagli drastici delle ore di insegnamento della Storia dell’arte mostrano una certa dissonanza schizofrenica. In questo modo, più che altro, si è preclusa alla disciplina ogni possibilità di arrivare a quell’approfondimento dei contenuti che sarebbe più che auspicabile in una realtà come quella italiana in cui è necessario valorizzare e potenziare lo studio critico e consapevole della dimensione artistica, storica e culturale del territorio, senza trascurare la doverosa opera di educazione alla tutela ed alla conservazione che proprio dalla scuola dovrebbe partire. Ma forse è proprio questa consapevolezza che si vuole cancellare. In un mondo sempre più globalizzato e a rischio della propria memoria, che ha bisogno per crescere di un terreno comune sul quale confrontarsi e dialogare, proprio la Storia dell’arte per il suo contenuto necessariamente trasversale (non soltanto perché interseca tutta una serie di discipline, ma ovviamente perché travalica i confini nazionali) dovrebbe rivestire un ruolo di primo piano. Certamente parlando di arte contemporanea non ci si può fermare soltanto all’Italia. Da questo punto di vista, Josè Jimenez auspica un’osmosi culturale per cui «più che una storia, si tratterebbe di abbozzare un quadro di manifestazioni antropologiche strutturalmente ricorrenti, benché differenziate nella loro specificità e che coinvolgono dimensioni cruciali delle culture umane. Ciò significherebbe mostrare i tratti radicali o primari (nel senso dell’origine, della loro provenienza, e non della semplicità) della dimensione estetica da un punto di vista antropologico. Il che, evitando posizioni metafisiche, renderebbe possibile avvicinarsi alla questione delle radici dell’arte, ossia al retroterra antropologico, comune a tutte le culture umane, da dove scaturisce ciò che la tradizione culturale dell’Occidente ha istituzionalizzato, sin dall’antichità classica, come arte»[1]. Il parallelismo che si instaura con l’antropologia consta fondamentalmente nell’interesse diffuso per la varietà culturale, che soppianta la storica percezione dell’altro secondo modalità fortemente etnocentriche proprie della cultura occidentale. In tal senso, il concetto di cultura del XX secolo, combinato con l’esperienza etnografica, con il relativismo e con il pluralismo (relativismo culturale), toglie l’alterità dal passato e presentifica la differenza nella contemporaneità. Grazie alla differenza il mondo dell’altro diviene misurabile, comparabile e l’altro, lungi dall’essere un oggetto risulta, piuttosto, una proiezione. Al riguardo la figura professionale del curatore subisce un’evoluzione: da semplice promoter di artisti a sorta di antropologo culturale attento al contesto sociale e politico. Invero, il pregiudizio per cui la presunta intoccabilità dell’arte, che sarebbe espressione (evocativa, intuitiva, irrazionale, intangibile) e non comunicazione (sottoposta a regole e criteri interpretativi), si è rafforzato con l’assegnazione di una dimensione intellettuale all’artista e si nutre del convincimento dell’irriducibilità dell’esperienza estetica ad un pensiero verbale, della contrapposizione tra logica scientifica, razionale e analizzabile, ed esperienza estetica. A parte l’infondatezza di tali credenze, tutto può essere insegnato, ed è bene che si venga iniziati proprio allo studio dell’arte figurativa fin dalla più tenera età, in virtù della portata del suo alto contenuto pedagogico e culturale. Relativamente al pregiudizio per cui l’arte sarebbe da intendersi come espressione e non come comunicazione, si rileva piuttosto come “la comunicazione non si limita all’uso della sola parola, scritta e orale, che con le sue varie forme costituisce il cosiddetto “linguaggio verbale”, […] ma si esplicita anche nel linguaggio gestuale, o uso dei gesti con il volto, le mani e il corpo, nel linguaggio musicale, o uso delle note per cantare, suonare e comporre musica e, infine, nel linguaggio figurativo […]. Il linguaggio figurativo è il linguaggio con il quale l’uomo comunica o si esprime per mezzo di figure o immagini visive, eseguite e presentate in una quantità di forme diverse così considerevole da uguagliare, se non superare, quelle del linguaggio verbale. Per “figure o immagini visive” si intende, in senso generale, ogni cosa che l’uomo produce o realizza direttamente con le sue mani allo scopo di esprimere sentimenti o stati d’animo, di manifestare le proprie capacità creative, di comunicare un’idea, di interpretare esigenze del mondo in cui vive… »[2]. Interrogandosi sul perché studiamo la Storia dell’arte, Laurie Schneider Adams definisce l’arte come aspetto vitale e persistente dell’esperienza umana: «noi studiamo le arti e la loro storia perché ci insegnano le nostre espressioni creative e quelle del nostro passato. […] L’arte è un aspetto vitale e persistente dell’esperienza umana. Ma dove ha origine l’impulso artistico? Noi possiamo vedere che esso è innato quando osserviamo i bambini, che fanno immagini, sculture e costruzioni prima che imparino a leggere o a scrivere. I bambini tracciano immagini nella polvere, costruiscono pupazzi di neve e castelli di sabbia, e decorano pressoché ogni cosa, dalla loro faccia ai muri della loro casa. Tutte queste attività sono tentativi di imporre ordine al disordine e di creare forma dall’assenza di forma. Sebbene possa essere difficile porre in relazione una piramide egizia o un tempio greco con un castello di sabbia o una torre-giocattolo di un bambino, tutte queste cose esprimono l’impulso naturale a costruire» [3]. Recenti lavori nel campo della ricerca sui primati hanno mostrato come tra di essi gli uomini siano particolarmente inclini al’apprendimento mimetico[4]. Non si tratta di un’acquisizione sorprendente per lo scienziato della cultura: già Aristotele, infatti, aveva riconosciuto nella facoltà di apprendere mimeticamente e nel piacere degli uomini verso i processi mimetici una disposizione tipica dell’uomo[5]. D’altra parte che l’arte derivi dall’impulso al gioco riflettendo un legame ancestrale e fisiologicamente connaturato all’uomo è noto a Freud[6] quanto a Huizinga, laddove la definizione di homo ludens inerisce all’aspetto ludico di tutte le manifestazioni della cultura, dal linguaggio all’arte alle istituzioni della società ecc[7]. Ribadisco la necessità, anzi l’urgenza, di questo insegnamento per la società contemporanea. Come si può, infatti, pensare di non dotare i giovani nella società della conoscenza e dell’immagine degli strumenti per decodificare le immagini, da cui oggi – attraverso la tecnologia – sono colpiti e sedotti come mai è capitato in passato? Al riguardo, Werner Bush considera come «l’offerta eccessiva di immagini che ci provengono dai media porti a una progressiva incapacità di concentrarsi su una singola immagine. Con l’uso e il consumo frenetico delle immagini, sembra crescere il bisogno di immagini autentiche, vere (qualsiasi cosa con ciò si intenda), di immagini su cui valga la pena soffermarsi, e che anche dopo che le si guarda la seconda e la terza volta non diventino vuote. Immagini di questo tipo devono fare di più: confermare, confortare, elevare o scandalizzare, guidare, sostenere o – formulato psicologicamente o filosoficamente – noi restiamo in attesa della loro esperienza di sé e determinazione ontologica. Tutto questo e molto altro ancora si esige in modo particolare dall’arte» [8]. D’altra parte «le immagini sono indispensabili per acquisire nuove conoscenze e per sviluppare l’intelligenza. Anche se sono molto diverse tra loro, esse sono costruite con gli stessi elementi del linguaggio visivo (linee, punti, colori, superfici, effetti luminosi) e rispondono a regole precise» [9]. Il disegno si configura quale mezzo didattico fondamentale per sviluppare il pensiero visivo, per cercare di far cogliere la struttura degli oggetti, rendere visibile il non visto immediatamente. Arnheim sottolineava che «insegnare il disegno per la promozione della conoscenza del mondo attraverso il mezzo visivo è quello che si dovrebbe fare in maniera molto più generale, cioè non utilizzare il disegno soltanto nelle lezioni d’arte, ma anche nella scienza, nella biologia, ecc. Se poi esponi questi disegni è un po’ come fare l’esposizione dei disegni degli architetti. Si dice: come è bello!, molto belli quei disegni di Le Corbusier. Mentre invece lui li faceva per far vedere un edificio. È un po’ la stessa situazione» [10]. L’integrazione tra attività teorica ed attività sperimentale è espletabile in classe attraverso momenti di laboratorio; sono contemplabili taluni percorsi operativi che, oltre ad abbellire, o quanto meno ravvivare, un ambiente scolastico percepito generalmente come freddo ed estraneo, fanno maturare negli studenti un certo stile ed una certa tecnica avvicinandoli, d’altra parte, alla comprensione del manufatto artistico. All’effetto educativo si aggiunge il fatto che il lavoro espletato in classe, autonomamente ma a stretto contatto con i compagni, favorisce il confronto e la soluzione di problemi intervenienti in corso d’opera con l’attuazione di strategie derivanti dall’esperienza diretta e tangibile delle diverse tecniche. Si tratta, in tal senso, di un lavoro socializzante, che stimola la conoscenza e la reciprocità attraverso la condivisione di compiti simili ma autonomi gli uni dagli altri. Tale attività operativa appare d’altra parte significativa circa la maturazione di una coscienza identitaria da parte degli studenti, che si sentono (una volta tanto) protagonisti attivi e costruttori di qualcosa che rimarrà loro per sempre, al di là dell’esperienza laboratoriale contingente. L’autogratificazione che ne deriva comporta, altresì, automaticamente una sensibilizzazione ed una incentivazione allo studio e all’approfondimento di una materia come la Storia dell’arte, che diversamente potrebbe per loro rimanere solo virtuale. La realizzazione di manufatti è espletabile in un breve arco temporale e non richiede un alto livello tecnico, trattandosi di pratiche indicate per una esperienza didattica scolastica. Questo tipo di sperimentazione laboratoriale giova alla comprensione ed alla problematizzazione di tutti quei procedimenti sottesi alla pratica artistica e così fondamentali, che generalmente rimangono peraltro oscuri allo studente, non rientrando nell’ambito del programma più ortodosso della Storia dell’arte. La didattica laboratoriale coniuga il sapere con il saper fare, promuove processi di apprendimento attraverso l’operatività e il lavoro cooperativo in cui ogni attività prende l’avvio dall’osservazione per formulare ipotesi, condurre esperimenti, interpretare dati, costruire modelli, formulare definizioni. Il laboratorio, pertanto, si configura come un luogo mentale (e non solo e necessariamente fisico), un ambiente di apprendimento stimolante in quanto consente l’integrazione tra attività teorica e attività sperimentale e ricopre un ruolo di primo piano nel processo di insegnamento/apprendimento per la sua importante valenza formativa, che rende gli studenti soggetti attivi e responsabili della propria crescita culturale. Lo scopo formativo sarebbe quello di fare acquisire competenze specifiche e abilità operative attraverso strategie trasversali di scoperta e di metodo, attraverso ipotesi e soluzioni nuove, procedure di intuizione e invenzione.In questo contesto, l’educazione all’arte e ai suoi molteplici linguaggi espressivi può essere l’asse privilegiato attorno a cui far muovere l’intero processo di apprendimento, stimolando nei bambini e nei ragazzi la capacità percettiva ed inventiva e veicolando conoscenza. Arnheim considerava come facendo ricorso ad entrambi gli emisferi cerebrali, quello sinistro della logica, e quello destro dell’intuizione, l’arte permetta sia l’intuizione percettiva che la standardizzazione intellettuale dei concetti. Oggi, dopo la fine della koiné ermeneutica, una nuova koiné culturale viene intravista nell’ambito delle neuroscienze. Nel campo delle discipline legate all’immagine, si è assistito all’elaborazione di una scienza neurale dell’arte o di una neuroestetica, il cui scopo ultimo è l’indagine della mente attraverso l’arte, e dell’arte attraverso la mente, cioè attraverso i processi fisiologici che guidano la creazione e la percezione dell’opera d’arte. Secondo il neurobiologo Luca Ticini, «di fronte ad un’opera d’arte di qualsiasi genere, ognuno di noi ha una diversa esperienza estetica. I sentimenti, i ricordi, il piacere che possiamo percepire, possiedono un forte carattere individuale poiché collegati a diverse componenti: genetiche, ambientali e formative. Mentre tale variabilità rimane ancora un campo pressoché sconosciuto, le ricerche hanno identificato il processo d’origine di alcune percezioni elementari e comuni in ognuno di noi. Esistono, infatti, diverse aree che si attivano in modo analogo in tutti gli esseri umani quando sono di fronte al medesimo oggetto. Questa base comune ci pone di fronte all’arte sullo stesso piano interpretativo, permettendo di comunicare impressioni ed emozioni profonde che talvolta non siamo in grado di esprimere a parole. In questo modo, un’opera come la “Pietà” di Michelangelo supera le barriere temporali e culturali diventando universale» [11]. In considerazione del fatto che oggi l’obiettivo prioritario nella formazione della scuola secondaria superiore viene individuato nelle competenze – non soltanto quelle disciplinari, ma anche quelle di cittadinanza – mi piace concludere con le significative parole di Argan, quanto mai pregnanti di questi tempi: «Il pregiudizio dell’inferiorità della storia dell’arte, come accessoria e ausiliaria, tuttora prospera. È un pregiudizio classista: il politico comanda, il letterato medita, l’artista pasticcia e s’imbratta con creta e colori, pratica tecniche manuali, è un operaio raffinato, ma sempre operaio, è popolo e il popolo non fa, subisce la storia. Non che la storia dell’arte sia socialmente pericolosa, ma intrigante e fastidiosa sì. La conoscenza dei patrimonio artistico e dell’ambiente porta all’idea che si tratta di beni di interesse pubblico anche quando sono di proprietà privata. È un concetto che gli storici dell’arte hanno affermato e la Costituzione della Repubblica ha sancito, ma non è entrato nella prassi della vita italiana. Non sopravviverà il patrimonio artistico se non sarà coltivata negli italiani la coscienza del suo valore. È grave che lo Stato non chieda alla scuola di alimentare in tutti i cittadini, cominciando dai ragazzi, la nozione e la coscienza di quei valori; l’ignoranza non è sempre innocente, anzi è a priori colpevole. L’indifferenza o l’assenza della scuola non preoccupa soltanto per il destino della civiltà storica italiana nel prossimo, poco promettente futuro; v’è qualcosa che tocca la salute psichica e morale dei singoli e della società. È arcinoto che molte psicosi e nevrosi dell’uomo moderno dipendono dalla difficoltà della sua integrazione nell’ambiente […] si moltiplicano paurosamente i fenomeni d’intolleranza, di rigetto, di volontario sfregio del volto urbano». […] «Il valore estetico, o il giudizio di esteticità che si dà dei fenomeni, è il diretto prodotto dell’arte; l’insegnamento della storia dell’arte è, oltre che cultura storica, educazione estetica. La scuola italiana non se n’è mai curata, ma son quasi due secoli che Schiller ha definito l’educazione estetica come educazione alla libertà: non in senso politico, ma nel senso di esperienza impregiudicata, genuina, laica, del reale»[12]. NOTE [1] Josè Jimenez, Teoria dell’arte, 2002, tr. it., Aesthetica, Palermo 2007, pp. 170, 172.
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bene Carla l’Argan da te citato che copio e incollo alla fine della mia condivisione del tuo intervento.
Mi piace ricordare a tutti coloro che hanno avuto la responsabilità dell’insegnamento, un piccolo estratto da un libricino di Lamberto Pignotti del 1973. (…) Tutti noi siamo coinvolti, consapevolmente o no, in quel progetto continuo che simboleggia nella sua globalità l’arte e la cultura do oggi. Esse in apparenza si realizzano in luoghi remoti: in realtà vanno svolgendosi sotto i nostri occhi, ci stanno toccando, vanno sperimentandosi dentro di noi. E’ bene sapere cosa sono. Maglio ancora sapere come agiscono, a cosa possono servire.
La consapevolezza può dar luogo alla partecipazione.(…)
da Lamberto Pignotti “nuovi segni” marsilio editori 1973
…significative parole di Argan: (…) Non sopravviverà il patrimonio artistico se non sarà coltivata negli italiani la coscienza del suo valore. È grave che lo Stato non chieda alla scuola di alimentare in tutti i cittadini, cominciando dai ragazzi, la nozione e la coscienza di quei valori; l’ignoranza non è sempre innocente, anzi è a priori colpevole. L’indifferenza o l’assenza della scuola non preoccupa soltanto per il destino della civiltà storica italiana nel prossimo, poco promettente futuro; v’è qualcosa che tocca la salute psichica e morale dei singoli e della società. È arcinoto che molte psicosi e nevrosi dell’uomo moderno dipendono dalla difficoltà della sua integrazione nell’ambiente […](…).
Articolo che potrebbe essere interessante ma che con i vari e troppi copia e incolla rischia di risultare solo un noioso polpettone. Non si capisce se l’intento è quello di difendere il posto di lavoro di insegnanti precari della materia o di andare a parare altrove. Non si propongono nemmeno delle valide soluzioni al problema.
Mi dispiace di averti annoiato, Anna, mi rendo conto che la mole dello scritto è considerevole, proprio perché l’intento è quello di fare luce su una questione delicata che ci riguarda un pò tutti da vicino, e non tanto quello di “andare a parare altrove” che non si capisce, francamente, cosa significhi al di là dell’insinuazione gratuita … tant’è!
Per quanto riguarda il secondo punto, relativamente al fatto che “non si propongono nemmeno delle valide soluzioni al problema”, mi pare abbastanza evidente (nonché ridondante) la richiesta di potenziare la Storia dell’arte nella scuola.
Poi, vedi, io più che tentare di approfondire criticamente un determinato problema, non posso fare: non mi trovo nella “stanza dei bottoni”, e come docente precaria di Storia dell’arte posso solo fare degli auspici che chiunque abbia un minimo di buon senso può facilmente cogliere.
Buona giornata
Galla Placidia
bravissima Carla ! ho letto con attenzione, ma chi cancella la Storia dell’Arte in nome del Popolo Italiano (che non è consultato ) non legge e se lo fa è ben consapevole che la cultura genera libertà e anche lavoro e questo è un problema serio. In Italia i nostri amici tedeschi (e non solo) vengono perché c’é arte e bellezza e non perché si investe nei rimborsi elettorali !!! Bisogna costituire una rete di protesta in senso democratico, altrimenti i tagli alla cultura sembrano la medicina agli occhi di pochi che ci credono per un Paese che deve perdere la memoria..
Condivido la preoccupazione o forse meglio dire l’ indignazione per la scandalosa politica scolastica cui purtroppo neppure la ministro Carrozza ha saputo ,potuto o voluto dare nuovo impulso nonostante le promesse del dopo insediamento! !