Della Siria non si parla volentieri [di Gian Franca Fois]
La situazione della Siria è talmente complessa e gli interessi in gioco così intrecciati che è difficile prendere posizione come piace a chi vede il mondo diviso in due parti, da una parte i buoni dall’altra i cattivi. E’ forse per questo che per tre anni di Siria se n’è parlato poco e malvolentieri sebbene il vento delle così dette rivolte arabe scoppiate nel 2011 abbia soffiato anche a Damasco e abbia determinato una feroce repressione da parte del regime di Assad con incarcerazioni, violenze e torture. Contemporaneamente i manifestanti, che chiedevano libertà democratiche e interventi contro la profonda crisi economica, hanno cominciato ad armarsi, soldati dell’esercito hanno disertato schierandosi al loro fianco. E poi è iniziata l’infiltrazione degli jihadisti. Si determina in questo modo l’orrore che vede nei civili siriani le vittime, vittime del regime con arresti, uccisioni, bombardamenti, vittime degli jihadisti con esecuzioni, crocifissioni, rapimenti, vittime dei ribelli con autobombe, mitragliamento di villaggi.Questa situazione e le notizie spesso incomplete o manipolate dalle parti in causa e dall’informazione hanno impedito che l’opinione pubblica potesse venire a conoscenza di quanto effettivamente stesse succedendo. E’ stato perciò molto interessante seguire l’incontro organizzato nei giorni scorsi a Cagliari da Focus on Syria (una rete indipendente di persone che operano in quei territori per documentare l’impatto umanitario della crisi e offrire assistenza alle vittime) e da www.sardegnasoprattutto.com. Interessante ma soprattutto importante perché i volontari presenti ci hanno ricordato il valore dell’informazione e l’importanza che ciascuno collabori per diffondere le notizie e per contribuire, ognuno nel suo piccolo, ad aiutare il popolo siriano. Il quadro è drammatico: su una popolazione di 23 milioni di persone 170.000 sono morte, dieci milioni hanno dovuto lasciare le proprie case, tre milioni si sono rifugiate nei paesi del MO, un alto numero in Europa. Questo ha determinato il crollo del sistema economico, i prezzi sono saliti vertiginosamente, ad esempio il costo del pane è aumentato di dieci volte, il latte e i pannolini per neonati sono considerati beni di lusso. Gravi inoltre sono state le ripercussioni sul sistema sociale, con la guerra molte donne, che prima non lavoravano, sono diventate capofamiglia, sole a gestire le difficoltà, la fame, l’orrore e le conseguenze psicologiche soprattutto tra i bambini. Infatti il crollo del sistema sanitario e scolastico ha determinato la mancanza di punti strutturati di riferimento e di aiuto, aggravando ancora di più le condizioni dei civili. Questa situazione drammatica interessa anche il Libano che ha accolto in vastissimi campi, frequentemente situati in zone isolate e difficili da raggiungere, i profughi siriani. Si fa strada però tra i Libanesi, un atteggiamento di intolleranza di fronte al numero sempre maggiore di rifugiati, un milione e mezzo a fronte di una popolazione di poco più di 4 milioni, mentre contemporaneamente i coltivatori, con la complicità di reti criminali, sfruttano in modo vergognoso i bambini siriani riducendoli in stato di quasi schiavitù. In questo modo se, secondo alcune stime, ci vorranno almeno 20 anni per la ricostruzione della Siria, molto più tempo ci vorrà per la ricostruzione psicologica, un’intera generazione rischia di essere spazzata via tra violenza, sfruttamento, disumanità. Ma c’è anche qualche nota di speranza. All’interno della Siria ci sono tanti civili che cercano ancora di difendere ed esigere diritti, di creare gruppi di aiuto a tutta la popolazione. Quest’opera potrà essere importante per il futuro della Siria. |