Darsena: centro e margine della città [di Michele Pintus]

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Pubblichiamo l’intervento letto da Michele Pintus in Piazza Darsena in occasione della FAIMARATHON Cagliari… tra bianchi colli e piazze svoltasi a Cagliari domenica 12 ottobre un percorso che ha coinvolto 10 piazze della città ed un centinaio di accademici, studiosi, professionisti, intellettuali, artisti che si sono prestati a fare i “ciceroni speciali” per spiegare la bellezza della città del sole (NdR).

Siamo nell’antico Bastione della Darsena, cioè una parte del porto cinta di dighe e protezioni per consentire la riparazione delle navi, da qui anche Arsenale, complesso di darsene, stabilimenti e officine. Nome di origine araba utilizzato a Venezia, nelle forme di darsena e arsenale, per indicare l’Arsenale veneziano e i suoi bacini.

Porto di Cagliari, facile approdo fin dall’antichità almeno 6000 anni a.C., nel tardo Paleolitico, con la venuta dell’uomo stabile in Sardegna. Prosegue nel prenuragico e nuragico fino all’arrivo delle prime imbarcazioni fenice intorno al 1000 a.C., che lo resero d’importanza primaria e insostituibile per gli scambi commerciali nel Mediterraneo. Questa posizione proprio quando divenne il porto naturale della Caralis fenicia e poi cartaginese.

A seguito delle guerre puniche, 238 a.C., arrivano i romani. Un esercito al comando del console Tiberio Sempronio Gracco prese possesso della Sardegna. Caralis divenne il capoluogo della seconda provincia di Roma e il porto il centro di irradiazione di tutte le azioni politiche e militari per la conquista e lo sfruttamento dell’intera Isola. Qui sbarcarono nel 215 a.C. 22.000 fanti e 1.200 cavalieri di Tito Manlio Torquato per reprimere la rivolta sardo-punica di Amsicora da Cornus e in seguito fino almeno al 104 a.C. per fare fronte alle resistenze antiromane dei Barbaricini.

Era prevalentemente un porto commerciale, grano-argento-piombo dall’iglesiente dove sorgeva la cittadella di Metalla nei pressi del tempio di Antas dedicato al Sardus Pater, antico Sid-Babai. Veniva esportato anche il rame cavato soprattutto dalla miniera prenuragica di Funtana Raminosa presso Gadoni. Infine si esportava il sale, raccolto negli stagni fra Caralis e Quarto (Quartu S.Elena). In quantità minore, vini, polli, lane, formaggi e gli altri prodotti dell’agricoltura e della pastorizia. Certamente il pecorino romano, che come dice il glottologo e semitista Salvatore Dedola, non ha niente a che fare con Roma, ma vuol dire prodotto nelle montagne, in Barbagia dai Barbaricini.

Con il cristianesimo Caralis fu la prima città portuale ad accogliere nel 190 i deportati cristiani condannati per la loro fede ai lavori forzati nelle miniere (ad metalla) e quindi fu la prima città, fuori Roma, a conoscere la nuova religione di Cristo, l’unto del Signore. Nel 397 il poeta alessandrino Claudio Claudiano scrive “…la città di Caralis, dirimpetto alla Libia, fondata dai potenti Fenici, si sviluppa lungo il litorale con un piccolo colle (S.Elia) che si insinua nel mare e rompe la violenza dei venti, e, nel mezzo, si forma un porto e, in un’ampia insenatura, riposano le acque”.

Sessant’anni dopo i Vandali di Genserico l’occuparono insieme a tutta la Sardegna costiera e di li a poco pure l’impero romano d’occidente terminò la sua esistenza. Arrivo dei bizantini nel 534 e il ritorno della Sardegna nell’ambito dell’impero romano, quello d’oriente. La dominazione di Bisanzio durò 350 anni, interrotta dalle reiterate incursioni arabe che, a partire dal 709, dal Maghreb avevano preso ad attaccare in gihad Caralis e le altre città litoranee sarde costringendo gli abitanti a rifugiarsi all’interno, per meglio difendersi organizzati in entità sovrane con titolo di regno.

Le popolazioni calaritane si ritirarono dietro gli acquitrini della zona di Campo Scipione-San Paolo, sistemandosi nella zona che dalla città mercato San Simone arriva fino al quartiere di San Michele, dove fondarono Santa Igia, capitale dello Stato. Il nuovo porto delle navi fu posto dentro lo stagno di Santa Gilla, reso sicuro da una catena che bloccava al nemico l’imboccatura del ponte della Scafa.

Passato il pericolo mussulmano, riaperto il Tirreno al traffico commerciale, nel 1216 i sovrani del Regno di Calari commisero l’errore di concedere ad un gruppo di imprenditori pisani il permesso di costruire una cittadella fortificata sulla sommità del colle dove un tempo si trovava il quartiere militare della Calaris romana, con ai piedi il porto di Lapola (la cui darsena fu costruita nel 1262), che divenne ben presto “la chiave del Mediterraneo”. La chiamarono Castel di Castro.

La convivenza con Santa Igia non resse a lungo. Nel 1257 una coalizione militare, formata dagli altri tre giudicati (regni giudicali) filo pisani e dallo stesso comune di Pisa, da terra e da mare assalì Santa Igia che si arrese il 20 luglio 1258 dopo 14 mesi di guerra e fu completamente abbattuta. Terminò così, dopo 358 anni, l’antico regno indigeno di Calari. Il suo territorio divenne una colonia oltremarina di Pisa, con capoluogo il comune di Castel di Castro di Calari (col tempo ridotto a Calari, poi Caller/Callari e nel 1692 fu italianizzato in Cagliari).

Castel di Castro (Cagliari) era collegata al porto tramite il quartiere fortificato de La Marina che scendeva dalla porta dei Leoni fino allo scalo navale lungo il tracciato delle odierne via Baylle e via Barcellona con case, magazzini, uffici e cantieri. L’ancoraggio a mare era delimitato da una palizzata a semicerchio con due imboccature, d’entrata e d’uscita, sbarrabili con robuste catene. Subito dopo il 1258 ai piedi del versante Est e Ovest della rocca si formarono i due villaggi di Stampace e Villanova che raccoglievano i profughi di Santa Igia e i Sardi dei dintorni in cerca di lavoro.

Erano cinti anch’essi di mura con torri e porte di accesso e considerati appendici della città. Le attribuzioni commerciali e le attività del porto erano regolate dal Breve del porto (Breve Portus Kallaretani) emanato in 68 capitoli il 15 marzo 1318 ed applicato da due Consoli dei mercanti, assistiti da dodici consiglieri e da un camerlengo con compiti di esattore dei diritti doganali, di cassiere e di custode dei registri di carico.

Questa struttura rimase inalterata anche quando nel 1324 i Catalano-Aragonesi conquistarono la zona pisana dell’isola e fondarono il Regno di Sardegna, regno che come sappiamo e il Prof. Francesco Cesare Casula ce lo ripete in continuazione, affinchè non ce lo dimentichiamo noi sardi, ma soprattutto lo capiscano gli italiani tutti, che la storia dell’Italia inizia da qui.

Il porto di Cagliari rimase di primaria importanza, supportato dal vicino portu salis, fino alla scoperta dell’America, 1492, quando l’asse commerciale principale passò dal Mediterraneo all’Atlantico. Quindi cominciò a decadere; nel 1610 il visitatore regio Martin Carrillo lo vantava “…bellissimo per essere al sicuro dai pericoli del mare e molto capace” ma più come tappa di passaggio che come centro di commerci.

Nonostante l’abbandono delle strutture l’attività del porto continuò ad essere florida. Nel 1534 vennero realizzati due bastioni, uno a levante e l’altro a ponente, per difendere il porto dagli attacchi con armi da fuoco; più tardi nel molo est si edificò un fortino dotato di 6 pezzi di artiglieria. Nel 1581 venne demolita la palizzata, divenuta ormai obsoleta e inutile contro i bombardamenti. La Darsena ebbe i suoi bracci di protezione conservando praticamente la stessa ubicazione. Dalla Darsena si poteva accedere al quartiere attraverso l’unica porta (la porta della Dogana) e poi più avanti tramite i portici della dogana con una nuova porta.

Come ho detto all’inizio noi ci troviamo nel bastione della Darsena che fronteggiava il bacino della Regia Darsena. Tutt’attorno si trovavano il magazzino della Marina, la batteria S. Saturnino, la batteria S.Giacomo, i magazzini del sale, la cisterna e le cucine proprio a ridosso della Porta Nuova che si apriva sul piazzale (l’attuale piazza Deffenu) verso lo stradone di Bonaria. Sul molo fortificato collegato con la città c’era la piazzetta della Dogana con la caserma dei preposti doganali, la porta della Darsena come ho già detto e le antiche galere o gli antichi ergastoli.

Nel 1816, con l’emanazione del “Regolamento di Sua Maestà per li porti marittimi e nuova tariffa pe’ diritti di ancoraggio”, lo scalo cagliaritano venne definito di prima classe insieme a quelli di Genova e Nizza. Cagliari restava il principale approdo della Sardegna.

Nel 1866 Cagliari è cancellata dalla lista delle piazzeforti italiane, ma l’abbandono delle mura è alquanto precedente. Risale al 1861 il piano Cima che prevedeva tra l’altro la demolizione della cinta muraria, già avviata da tempo e definitivamente operata intorno al 1877, quando queste strutture fortificate passarono sotto la giurisdizione comunale. Si dedicò maggiore attenzione alla Darsena che era stata quasi completamente ostruita di pietrame e melma. Seguirono varie proposte per il miglioramento del porto, ma con scarsi finanziamenti.

Nonostante le grandi difficoltà, il traffico commerciale continuava a fare di Cagliari un porto tra i principali d’Italia.

 

 

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