La solitudine dei Sindaci [di Tonino Orani]

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Durante una delle molte telefonate di solidarietà che ricevetti in occasione dell’attentato che colpì la mia abitazione; un ex-Sindaco mi disse: “…sappi che un Sindaco in queste situazioni è sempre da solo”. Queste parole mi sono tornate in mente molte volte durante questi ultimi anni di mandato e, ovviamente, in occasione della manifestazione popolare di protesta contro l’abnorme incremento della tassazione locale, tenutasi a Ittiri lunedì scorso.

La solitudine cui accennava il mio ex-collega era di un altro tipo e si riferiva alla responsabilità finale delle decisioni e delle conseguenze di esse che ricadono in ultima analisi in capo al Sindaco. La solitudine che viviamo, invece, è quella nella quale siamo lasciati dalle Istituzioni, in particolare quelle nazionali, che si disinteressano nel modo più assoluto del destino degli Enti Locali e di conseguenza dei destini dei singoli cittadini.

La solitudine di chi è lasciato solo e impotente a fronteggiare il malcontento e la disperazione delle popolazioni, in particolare delle fasce più povere, indifese e incredule davanti all’accanirsi contro di loro dell’imposizione tributaria. Persone che non sanno da chi trae origine questo stato di cose. Non sanno che i Sindaci sono relegati al ruolo di semplici esecutori del volere statale. Non sanno che lo Stato in pratica non trasferisce più risorse ai Comuni, per cui li obbliga ( “da loro facoltà” per riportare un’espressione edulcorata e che sa di autonomia molto cara al Governo) a recuperare dalle tasse comunali tutto quello che non arriva più dallo Stato.

Non sanno che oltre a questo stiamo combattendo contro quel mostro di stupido accanimento finanziario che si chiama Patto di Stabilità. Non sanno che in molti casi la TASI servirà giusto a coprire il saldo obiettivo: ovvero i soldi che il Comune “non dovrà spendere” per rispettare il famoso patto. Non sanno un sacco di cose, gli ignari cittadini. Sanno che le tasse le impone il Comune e contro questo si rivolgono.

I veri responsabili, cioè il Governo e il Parlamento, il cosiddetto “lavoro sporco”, ovvero il contatto con l’esasperazione e la sofferenza quotidiana, lo lasciano volentieri a noi, per potersi dedicare con più energie a partecipare ai talk-show e al quotidiano esercizio delle dichiarazioni roboanti sui miracoli prossimi venturi ai quali assisteremo. In una sorta di perverso gioco di squadra si lascia dunque ai Sindaci incolpevoli la gestione diretta del malumore, indicandoli subdolamente come responsabili; mentre i livelli politici più alti continuano a danzare i loro minuetti politici, indifferenti a quanto accade nel paese. Si arriva addirittura al paradosso.

Oltre alle dimissioni ci viene richiesto di rinunciare all’indennità di carica per abbattere i costi. Siamo considerati anche noi “casta” pur non avendone i privilegi economici e di status. A una signora che mi chiedeva questo ho risposto che lo avrei fatto dopo che lo avesse fatto tutta la classe politica nazionale e regionale. Dopo che, invece di cincischiare con articoli 18 e ritardi nell’erogazione delle pensioni, il Governo e il Parlamento avessero messo mano ai privilegi insostenibili e immorali che ancora oggi vengono tollerati, ovvero: pensioni d’oro e d’argento, stipendi d’oro a mega dirigenti statali e parastatali, privilegi di casta riservati a commessi del parlamento e altre categorie di pubblici dipendenti.

La crisi in Italia è più pesante che altrove a causa principalmente dell’esistenza di troppi privilegi e troppi sprechi e di una conseguente diseguale distribuzione delle risorse da parte dello Stato.Fino a che non si avrà il coraggio di mettere mano a questa situazione le cose non cambieranno per davvero. Quello che i vari Governi e Parlamenti hanno fatto in tutti questi anni sono solo degli sterili palliativi che non risolvono il problema alla fonte bensì continuano a colpire categorie di persone ormai sfinite ed esauste.

Solo con le risorse importanti che si possono liberare eliminando di botto sprechi e privilegi si possono mettere in campo investimenti pubblici ingenti, in grado di riavviare il sistema economico. Queste ultime affermazioni sono talmente scontate che anche il cittadino comune, senza scomodare gli economisti, le capisce e le condivide. Invece i provvedimenti di legge che si susseguono continuano a disegnare politiche restrittive piuttosto che espansive, non volendo entrare nel cuore del problema e attribuendo ( sono sempre gli altri i responsabili) la causa di tutto ciò ai vincoli impostici dalla UE, all’euro e ad altre facezie del genere.

Tornando al tema iniziale, ribadisco a maggior ragione che non si può scaricare sui Sindaci il peso e la responsabilità di tutta la situazione. Quello che è accaduto a Ittiri, frutto anche dello spirito indomito e ribelle che ci ha caratterizzato anche in passato, sta accadendo già nelle grandi città, e se le cose non cambieranno accadrà un po’ dappertutto, con manifestazioni di disagio e sofferenza che potrebbero assumere forme sempre più violente.

Lo abbiamo segnalato più volte durante i Consigli Comunali nei quali approvavamo” bilanci lacrime e sangue” :di contenimento spese e rispetto di restrizioni contabili. Lo abbiamo segnalato in altre occasioni alle autorità competenti. E’ a rischio la tenuta sociale delle nostre comunità! Non è pensabile che siamo lasciati da soli a fronteggiare tutto questo.

La stessa Associazione Nazionale dei Comuni , peraltro, appare da un lato incapace di porre freno alle decisioni governative più penalizzanti per i cittadini, e dall’altro avvalla provvedimenti che vanno a favore dei grandi Comuni o, peggio ancora, di Amministrazioni Comunali che infrangono le regole della buona amministrazione.

Io dico, invece che se l’ANCI ci vuole rappresentare per davvero deve farsi promotrice di azioni di lotta dure e incisive che rendano atto della situazione e ripristinino il prestigio dei Comuni. Anche arrivando ad azioni eclatanti come lo sciopero in bianco o addirittura le dimissioni in massa di cui tanto si parla.

Nel frattempo, in segno personale di protesta, contro l’assenza dello Stato e la nostra solitudine, e come simbolo del dolore della nostra comunità: apporrò una striscia nera sulla fascia tricolore che indosserò nelle occasioni ufficiali.

*Sindaco di Ittiri

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