Uscire dalla pecorile uguaglianza [di Raffaele Deidda]
Era il 1921 quando D.H. Lawrence intraprese un viaggio in Sardegna in soli nove giorni. Sufficienti a fargli cogliere l’essenza della terra che “non assomiglia a nessun altro luogo”. Riscontrò in una terra più selvaggia di oggi le indifferenze e le umanità dei sardi. Non era la Cerdeña isola di “cerdos”, o dei cinghiali, esistita come contraffazione castigliana del nome Sardinia, ma la Sardegna della cultura della pecora. In quel contesto Lawrence vide in alcuni il sardo duro e indomito: “Gli ultimi sprazzi stanno spegnendosi in Sardegna e in Spagna. Non resta che l’ibridismo del gregge proletario e della pecorile uguaglianza…” L’antico maschio mitizzato da Lawrence auspicava però per i propri figli un futuro di “pecorile uguaglianza” ai sardi di città o agli italiani del continente, una vita meno sacrificata. Una vita che per molti pastori e agricoltori sarebbe arrivata quasi cinquant’anni dopo con l’industrializzazione della Sardegna Centrale ed il Polo delle Fibre di Ottana. Conseguenza della Commissione Medici, che sosteneva la necessità di modernizzare le aree interne dell’isola per offrire alternative all’economia pastorale responsabile, insieme all’isolamento, della recrudescenza del banditismo. Lo stabilimento di Ottana avrebbe dovuto impiegare a regime circa 7.000 dipendenti. La punta massima non ha superato, però, 2.700 unità. L’inviato di un quotidiano nazionale definì “bizzarra escrescenza metallica” lo stabilimento di Ottana, sorto per volontà politica nonostante fosse in crisi il mercato delle fibre. Segnale ignorato a fronte dei vantaggi sociali, fra cui un sistema di trasporto pubblico dei lavoratori provenienti fino a 60 km dallo stabilimento che aveva contenuto lo spopolamento. Rilevante il ruolo dell’industria anche nella crescita politica dell’area: amministratori pubblici ad ogni livello sono stati dipendenti di Ottana. Parte dei futuri operai ottanesi furono inviati in formazione a Pisticci. Organizzarono, per la prima volta nella storia dello stabilimento, uno sciopero generale che destò clamore. Un quotidiano titolò “Cento pastori sardi imbrigliano mille pecore lucane” ed un dirigente aziendale ipotizzò una motivazione sociologica del fatto: i lucani strutturalmente contadini abituati a lavorare sodo e a pensare poco; i sardi più portati alla riflessione mentre le pecore pascolano. Chissà che quel dirigente aziendale non ci avesse visto bene! La crisi del settore fibre, le razionalizzazioni, la chiusura degli impianti interruppero il sogno della “pecorile uguaglianza”, che il lavoro operaio avrebbe dovuto trasformare in realtà. Neanche la Programmazione Negoziata con il Contratto d’Area fornirono risposte occupazionali, individuando le opportunità più all’interno di un processo aziendale che territoriale. Assente infatti un approccio partecipativo con le popolazioni coinvolte nelle scelte. Oggi sconforta vedere le moltissime case vuote nei paesi. Alcune cadenti, altre nuove ma disabitate. Nel frattempo i campi abbandonati sono stati conquistati dal bosco. Che potrebbe essere fonte di lavoro se lo si curasse per ricavarne reddito. Così un novello Lawrence, tornando nella Sardegna centrale, potrebbe osservare il portamento nobile di uomini e donne che non vestono più il costume ma sono figure “dure e indomite” che non rinunciano a rilanciare il loro territorio con propri modelli di sviluppo. Nella consapevolezza che la “pecorile uguaglianza” ad altri modelli sottrae elementi d’identità senza produrre gratificazioni sociali ed economiche.
|