E tutto, allora come ora, è collegato [di Franco Meloni]
Nel Mistero Buffo Dario Fo deve far intervenire Gesù per impedire che un contadino, disperato, concluda la sua triste vita impiccandosi. Gesù, ma lui poteva farlo, dona poi al villano zappaterra il controllo della parola da usare, come Giullare, per ricordare ai potenti che ad ogni angheria può essere posto un limite. Altri tempi, in cui una rosa fresca aulentissima sbocciava nella speranza che ai secoli bui potesse subentrare il tempo della giustizia. I contadini, comunque, hanno ancora un ruolo che è spesso ai margini della storia. La terra, quella reale, dalla quale possono nascere frutti e produrre cibo, ha sempre visto il passaggio di chi si spostava per guerre interminabili distruggendo raccolti e bruciando alberi antichi. Dalle carestie bibliche alle malattie delle arance in California o delle patate in Irlanda. La crisi del 1929 riporta, oltre alle umilianti file di cittadini in coda per un piatto caldo, le espressioni attonite di chi vede i campi immiserirsi battuti da un vento eterno. Furore degli elementi contro sforzi inutili nel contrastare quello che sembrava un castigo divino. E tutto, allora come ora, è collegato. Il punto fermo, nella scrittura della complessa equazione che simuli il fabbisogno energetico, non può prescindere dall’assegnare all’agricoltura un ruolo chiave. Non bisogna scomodare tristi economisti per sapere che senza un cibo prodotto e distribuito in modo equo e rispettoso della Natura, l’equilibrio nella Società, sempre più interconnessa, non può esistere. E quando l’equilibrio manca, la primavera si trasforma nell’inverno del nostro scontento. E la follia dell’egoismo può prevalere. Il Piano Energetico della Sardegna, isola isolata ma parte di una rete, può mettere in conto, per esempio, la possibile vittoria dei Repubblicani in USA che con una diminuzione del prezzo del petrolio favorirebbe e giustificherebbe un’ulteriore guerra in Irak e dintorni? Quanto questo non impossibile scenario turberebbe, e non è certo il battito d’ali di una farfalla, la già disperante situazione? Il gas deve essere ricercato, magari danneggiando un ambiente che può dare altre risposte in termini di sviluppo e cibo? Il Galsi doveva per forza finire così frettolosamente e suoperficialmente? E dobbiamo accettare ancora che le nostre terre siano inquinate senza ritegno e non rese alla produzione del cibo? Come si fa a rendere all’agricoltore il rispetto e il merito per il lavoro che svolge? Dopo la fuga delle campagne, lo spopolamento dei campi, l’ingorgo ingovernabile di città sempre di più nidi di formiche con la saggezza delle cicale, come si fa a far ragionare i manipolatori di consenso che hanno sempre predicato l’edonismo assurdo e suicida? Se i cinesi o gli emiri o i ricchi cercano terre da convertire in agrumeti e vigneti, la ragione ci dovrebbe far capire che la terra, che pure non ci appartiene, non deve essere venduta ma difesa e valorizzata. Ma la Regione Sardegna lo sa? O procede a vanvera confondendo persino termini e contenuti? Si devono rivalutare conoscenze e competenze in una visione culturale che ribadisca concetti sostenuti, in tutti i tempi e ovunque, da chi vedeva dalla terra nascere il pane, e dal pane nascere la vita. La sfida, ineludibile, è culturale e ci riguarda tutti. Assistiamo in Sardegna all’immane confusione quando si parla di terra, di agricoltura, di energia, di rinnovabili. E’ un passo indietro per il progresso vero della società. Bisogna capirlo e, magari con metodi da giullare perché quelli intellettuali sono inattuali. *Fisico. Università di Cagliari |