La Catalogna è indipendentista: forse no [di Pietro Ciarlo]
I risultati del referendum catalano sono stati rappresentati dai mezzi di informazione italiani come un trionfo dell’ indipendentismo. Viceversa, la stampa estera è stata molto più cauta. Dal canto suo, la stessa politica spagnola e catalana sta cercando di metabolizzare con molta cautela tali risultati. Il quesito referendario era il seguente: “Vol que Catalunya esdevingui un Estat? En cas afirmatiu, volque aquest Estat sigui independent?” La struttura duplice del quesito ha offerto all’ elettore una triplice possibilità di voto: “No”, “Sì-No”, “Sì-Sì”. Gli aventi diritto al voto, cioè i cittadini spagnoli residenti in Catalogna, compresi i sedicenni, gli stranieri residenti da almeno tre anni, e i cittadini catalani residenti all’ estero, ammontavano a poco più di 6,2 milioni. I votanti sono stati 2,3 milioni, cioè il 37 % degli elettori. Pochi i precedenti. Al referendum sull’indipendenza della Scozia i votanti sono stati l’ 85 %, a quelli in Quebec del 1980 il 98%, del 1995 il 94%. Naturalmente bisogna tener conto del fatto che quello catalano non era un referendum ufficiale, essendo stato dichiarato inammissibile dal Tribunal constitucional. I partecipanti al voto equivalgono, grosso modo ai votanti per i partiti che appoggiavano la consultazione. In sostanza i lealisti, come del tutto prevedibile, non sono andati a votare per un referendum formalmente dichiarato illegale e privo di effetti giuridici. Dei votanti l’ 80,7 % (circa 1,8 milioni) vogliono la Catalogna indipendente, il 10 % (232 mila voti) vuole lo stato catalano, ma non l’indipendenza. Il 4,54 (104 mila voti) ha risposto “No” ad entrambi i quesiti. In definitiva circa il 30 % degli aventi diritto al voto ha detto “Si” alla secessione. Una percentuale consistente che delinea un successo di mobilitazione e politico, ma insufficiente ad assicurare la vittoria in un referendum che facesse sul serio. Dalla stampa estera e spagnola traspare questa consapevolezza. Del resto in Spagna e in Catalogna, al di là delle enfatizzazioni della politica spettacolo, tutti cercano di evitare la spirale delle radicalizzazioni crescenti. Resta da chiedersi perché, viceversa, in Italia politica ed informazione hanno accreditato una travolgente vittoria degli indipendentisti. La risposta non credo sia lusinghiera. Non viviamo un buon momento, la sfiducia nella politica è un sentimento molto diffuso. L’informazione e paradossalmente buona parte della stessa politica per inseguire questo sentimento a fini di consenso, enfatizza tutti quei fatti che possono apparire o che effettivamente sono espressione di una crisi di legittimazione. Il corto circuito tra informazione e politica scadenti è un problema non secondario del nostro Paese.
|
Aggiungerei un elemento, gentile Professore: i giornali italiani sono andati in stampa prima che si conoscessero i risultati, e fors’anche il dato di partecipazione dei catalani al voto, che come Lei giustamente nota è un elemento assai significativo.
Così, hanno dato notizia dei sondaggi confondendoli con i dati reali, e il giorno dopo non hanno avuto voglia di tornarci con precisione e rigore informativo, non hanno avuto voglia di contraddirsi.
Tutto questo, glielo dico da giornalista che ha conosciuto la macchina, non li giustifica, anzi. Conferma la Sua analisi. E mette tristezza.
In una recente intervista ad un settimanale francese, il grande filosofo tedesco Jurgens Habermas afferma che in Europa viviamo il tempo dei separatismi e degli scissionismi e che la spinta verso una maggiore unione in senso federale si è fermata,forse a causa della crisi economica. Spingono in senso antieuropeo sia gli stati nazionali, sia le regioni di forte peso economico (Scozia, Catalogna, Fiandre).Habermas sarebbe favorevole ad una forte azione politica europeistica che, nel vero interesse comune, metta a tacere tutti i separatismi.
Un grave esempio di sospensione della democrazia. Non solo e non esattamente di referendum illegale si trattava: bensì di una chiamata da parte del governo regionale in carica, che ha utilizzato fondi e istituzioni pubbliche (televisioni e radio per la propaganda, scuole per i seggi etc) per promuovere e organizzare una consultazione priva di censo elettorale, priva di regole chiare e condivise e legali, priva di osservatori neutrali e i cui scrutatori coincidevano letteralmente con la specifica parte politica portatrice dell’istanza sovranista. E’ assai bizzarro, ma in Catalogna e nella Spagna intera, chi esprime un’osservazione come quella che faccio io qui, è tacciato di fascismo. Davvero singolare. Sulla copertura giornalistica italiana dell’evento, non c’è molto da dire oltre al fatto che nel panorama informativo italiano manca, attualmente, una sincera vocazione all’approfondimento. Per capire, almeno in parte, le ragioni delle parti in gioco, bisogna studiare. E studiare è faticoso. Saluti, Fabrizio Leoni, Barcellona.