La catena alimentare del capitalismo (e i sardi) [di Maurizio Onnis]

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Il pesce piccolo finisce inevitabilmente nelle fauci del pesce grosso: questo si dice in genere quando si parla di catena alimentare in natura. Non è diverso, in apparenza, ciò che accade nella società: il forte prevale sul debole, chi è grande pesa sul piccolo, il ricco opprime il povero, chi ha potere controlla chi non ne ha. È una visione rozza, ma si avvicina tanto a quanto sperimentiamo nella vita di tutti i giorni da non permetterci di pensare che sia falsa. È facile verificarlo con un esempio concreto, riguardante la catena alimentare del capitalismo. Un esempio reale, non di fantasia, che trova ampio riscontro nelle cronache e nelle home page delle aziende che adesso citeremo.

– Nel nostro caso, alla base della catena alimentare capitalista troviamo i contadini di Villanovaforru, Medio Campidano, Sardegna. Considerandola un peso inutile, improduttiva, non lavorabile, vendono la loro terra per pochi euro alla Sarcos Wind di Sanluri, sempre Medio Campidano, azienda impegnata nell’installazione di pale eoliche.

– La Sarcos Wind acquista i terreni sulla scorta di un contratto d’appalto, firmato e affidatole dalla Gea Energy, per la realizzazione nell’isola di quindici impianti eolici da 60kW ciascuno. I terreni di Villanovaforru servono all’installazione di parte di queste pale. L’attività della Gea Energy, come si desume dal sito aziendale, «è incentrata sulla realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti ad energie rinnovabili, in particolare con tecnologia fotovoltaica ed eolica». L’azienda ha sede nel salernitano.

– La Gea Energy è una controllata di TE Wind, cioè True Energy Wind: secondo il sito di quest’ultima, «leader in Italia nel settore della produzione di energia elettrica attraverso impianti mini-eolici». TE Wind è quotata in Borsa, a Milano, dall’ottobre 2013 ma ha la sede sociale in Lussemburgo. Proprio in questi giorni, sulla home page dell’azienda, campeggia un video di tre minuti, datato agosto 2014, che racconta con toni epici l’installazione di una delle pale in esame a Mandas. Con una certa involontaria ironia, il video è dedicato a Maria Lai, definita artista “italiana”.

– True Energy Wind fa a sua volta capo a Iris Fund Sicav Sif, un fondo di private equity. Vale a dire, un fondo che raccoglie capitali presso privati e investitori istituzionali, come banche, fondazioni, fondi pensione e assicurazioni, per investirli in aziende che promettono una forte crescita e ricavarne poi, una volta piazzata l’azienda in Borsa, i relativi profitti. Manco a dirlo, Iris Fund Sicav Sif è un fondo di diritto lussemburghese.

– Si può pensare che Iris sia il primo e più saldo anello della catena? No, perché il fondo di private equity è a sua volta un parto di ARC Asset Management. Secondo il suo sito, quest’ultima è «specializzata nella creazione e nella gestione di veicoli di investimento collettivi per: Investitori Istituzionali e Professionali (Banche, SIM, Asset Manager Indipendenti, Financial Advisor, Fiduciarie, Family Office e SGR); Investitori Privati e Famiglie (grandi Clienti, Famiglie facoltose, consulenti)».

Tutto, ovvio, debitamente maiuscolo. Gli investimenti in Arc sono garantiti dalla sua «assoluta indipendenza da qualsiasi gruppo bancario, assicurativo e finanziario: l’azionariato societario […] è infatti suddiviso tra il management e alcuni azionisti privati». Questo significa che i soldi maturati al vento della Sardegna finiscono, in ultima analisi, in tasche per noi del tutto sconosciute. E non c’è bisogno di dirlo: anche Arc Asset Management ha sede in Lussemburgo.

Ora: nei consigli di amministrazione di tutte queste società siedono uomini legittimamente interessati a trarre guadagno dalle proprie capacità imprenditoriali e d’investimento. Guadagni su scala sempre maggiore: dai pochi euro che i contadini di Villanovaforru ricavano dalla vendita delle loro terre si passa infatti alle migliaia, decine e centinaia di migliaia, milioni di euro dei livelli via via superiori. Così funziona la catena alimentare del capitalismo. Tutto regolare, tutto “normale”, tutto già visto.

Una sola domanda: ciò che appare inevitabile in natura è davvero inevitabile nella società?
Visti dal basso, visti da questa nostra provincia, gli affari dei contadini di Villanovaforru e degli imprenditori di Sanluri possono apparire il cuore della faccenda. È chiaro invece che stiamo parlando del fondo del barile del capitalismo contemporaneo. Fino a quando i sardi accetteranno di essere l’ultimo e più debole anello della catena?

2 Comments

  1. Il problema non è il capitalismo in sé, ma il metodo con cui si inquadra una questione. Le domande da porre quindi diventano: ma perché quì conviene poco rendere produttiva – ad esempio – l’agricoltura? Magari nella risposta a questa domanda scopriamo che il problema non è il capitalismo ma lo Stato. Altra domanda: perché nel Lussemburgo hanno sede determinate società e in Sardegna no? Altra risposta: forse perché da noi c’è troppo Stato e poco mercato 😉

  2. MASSIMO RIZZO

    La Sardegna… a parole

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