Formaggi ovini italiani e legame con il territorio: aspetti zootecnici [di Andrea Cabiddu]

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Sistema di allevamento ovino e struttura aziendale. Con i suoi 760 milioni circa di euro di fatturato la zootecnia degli ovini (latte +carne) rappresenta nel comparto nazionale una percentuale pari a 1,5% della produzione vendibile agricola nazionale, arrivando sino al 5% circa qualora si considerasse il solo settore zootecnico. A livello nazionale in questi ultimi 30 anni il patrimonio ovino nazionale si è ridotto di circa il 10% mentre il numero delle unità aziendali è diminuito di oltre il 54%.

Il patrimonio ovino nazionale nel 2013 si è attestato in circa 7.330.000 capi. Circa il 70% del patrimonio ovino si trova concentrato in Sardegna, Sicilia, Lazio e Toscana (42, 12, 10 e 6% del patrimonio ovino nazionale rispettivamente). Il numero di aziende specializzate per la produzione di latte ovino sono circa 16000 di cui oltre 11000 si trovano nella sola Sardegna. La Sardegna oltre ad avere il più elevato patrimonio ovino da latte in Italia si caratterizza anche per il peso economico che tale comparto ha su tutta l’agricoltura regionale raggiungendo un contributo pari al 26% della PLV agricola se si considera la media degli ultimi 14 anni.

Questi dati sono leggermente sovrastimati rispetto a quanto riportato da altri autori probabilmente a causa della presenza nel nostro campione delle PLV caprina. Da sottolineare che a tale PLV concorrono latte e carne con un’incidenza maggiore da parte del settore lattiero caseario (circa 76%) rispetto alla carne (24%). Negli ultimi 30 anni si è assistito infatti ad un riposizionamento del comparto a favore del latte e a danno della carne; tutto questo ha spinto le aziende ovine ad una forte specializzazione evitando come in passato aziende miste ovine e caprine e/o ovine e bovine. Non deve meravigliare quindi se in Sardegna la % di aziende con solo ovini arriva a raggiungere il 60%, contro una media registrata in tutte le altre regioni del 6-7%.

Come osservato in passato da numerosi ricercatori, la pecora da latte in Italia si è sempre caratterizzata per essere allevata al pascolo. In particolare fra tutte le regioni con formaggi ovini a denominazione di origine protetta (DOP), la Sardegna registra il più alto numero di ettari destinati a prato+pascolo, nonché la regione con la più alta % di incidenza di questa superficie sulla superficie agricola utilizzabile stessa, fattore questo che mette in evidenza come tale filiera si basi principalmente su questa risorsa. Tuttavia in questi ultimi anni l’allevamento ovino ha subito delle vere e proprie radicali trasformazioni.

Per esempio in Sardegna negli ultimi 50 anni il numero delle aziende ovine è passato da 20000 a 12000, con un aumento considerevole del numero di capi/azienda. Dati dell’Associazione Regionale Allevatori della Sardegna (ARAS 2014), indicano come la consistenza media delle aziende sia passata dai 280 capi nel 1986 ai 300 capi nel 2014 con circa 1000 aziende che possiedono un numero di capi superiore a 500. Inoltre nell’arco degli ultimi 40 anni in Sardegna si è assistito ad un calo del numero degli allevamenti ovini situati in zona di montagna della misura del 50%, con un aumento a sua volta del numero degli allevamenti in zona di pianura della stessa misura (50%).

Tutto ciò ha consentito agli imprenditori agricoli di effettuare maggiori investimenti in termini di superficie destinata a pascolo per corpo aziendale, riducendo il fenomeno della transumanza. Infatti, in Sardegna il numero di ettari destinati alle colture foraggere negli ultimi 50 anni, è passato da 74000 nel 1970 a 215000 nel 2007. Anche la gestione dei pascoli sta subendo una vera e propria trasformazione in quanto gli allevatori oltre a ricorrere alla semina degli erbai, e/o all’infittimento dei pascoli con concimazioni opportune ed una gestione del pascolamento adeguata, attuano in maniera sempre più frequente l’utilizzazione turnata dei pascoli attraverso la settorizzazione operata con delle recinzioni metalliche e/o elettriche.

Produzioni italiane ovine DOP. Nel 2013 sono stati prodotti in Italia circa 8.200.000 qli di latte ovino (considerando il latte assunto dagli agnelli e l’autoconsumo aziendale) di cui solo il 41% è stato destinato alla trasformazione casearia di prodotti DOP con delle specificità a livello regionale molto marcate: per esempio in Sardegna viene trasformato in formaggi DOP circa l’80% del latte prodotto nell’isola, mentre in Toscana e Lazio tale percentuale si attesta sui 43 e 30% rispettivamente. La Sicilia nonostante sia per numero di capi allevati la seconda regione dopo la Sardegna destina solo 1.5% del latte prodotto ai formaggi DOP (ISTAT 2010). Nel 2012 la commercializzazione dei formaggi DOP è stata pari a 31.313 tonnellate, con lo 81% rappresentato dal Pecorino Romano, il 10% dal Pecorino Toscano, il 7% dal Pecorino Sardo, ed il restante 2% ripartito tra Canestrato Pugliese, Pecorino Siciliano e Fiore Sardo.

Tutte le DOP si caratterizzano per avere un bacino di produzione di tipo regionale ed in alcuni casi extraregionale (il Pecorino Romano per esempio può essere prodotto in Sardegna nel Lazio e in Toscana); la materia prima fa riferimento quasi sempre al latte ovino con eccezione del Fossa di Sogliano, Casciotta di Urbino e Murazzano (misto pecora ovino) e Pecorino di Picinisco (misto ovino caprino). Per alcune DOP inoltre il disciplinare prevede una barriera circa le razze ovine e/o caprine da cui deve provenire il latte da destinare alla trasformazione casearia. La maggior parte delle DOP prevede l’utilizzo del latte crudo elemento questo che contraddistingue maggiormente il legame del prodotto con il territorio di origine.

Sulla base di quanto riportato dai disciplinari di produzione delle DOP ovine italiane il ruolo dell’alimentazione animale sembra avere un ruolo molto limitato salvo sporadici riferimenti all’uso del pascolo, e/o a limitare l’uso di risorse (foraggi e mangimi) extra aziendali. Solo nel caso di alcuni formaggi come Fossa di Sogliano, Filiano, Vastedda e Pecorino di Picinisco vengono riportati dei vincoli massimi di utilizzo di alcune materie prime nella razione giornaliera degli animali. In effetti le produzioni casearie a denominazione di origine protetta (DOP) racchiudono due concetti: il primo fa riferimento al terroir ossia il luogo vocato alla produzione di un prodotto di qualità (spazio geografico che nel nostro caso potrebbe coincidere con la geo-pedologia, l’altitudine e l’animale), mentre il secondo fa riferimento alla tipicità, che non è altro che l’insieme dei “saperi” che gli abitanti di quel dato territorio hanno sviluppato nel corso dei secoli al fine di trasformare il latte in formaggio.

L’insieme di questi elementi (l’ambiente fisico, l’uomo e l’animale) definiscono le condizioni di produzione del latte e di conseguenza le caratteristiche fisico chimiche e battereologiche che unitamente alle pratiche tecnologiche applicate a questa materia prima daranno luogo ad un formaggio definito per le sue caratteristiche esteriori (forma, taglia), il flavour (aroma, sapore) e la sua tessitura. La massima espressione del legame tra latte/formaggio e territorio si ottiene con animali al pascolo attraverso la tecnologia del latte crudo. Questo per due motivi fondamentali: il primo perché il latte crudo contiene una flora microbica autoctona in grado di caratterizzare le caratteristiche sensoriali del prodotto finale. Il profilo di tale microflora è strettamente condizionato dalle condizioni climatiche e geo-pedologiche del sistema di allevamento.

A tal riguardo è stato notato che il trattamento termico può modificare gli attributi sensoriali del formaggio rispetto ad un formaggio ottenuto con latte crudo come osservato da alcuni ricercatori del centro di Bonassai sul formaggio Fiore Sardo, a causa probabilmente della variazione indotta sul profilo microbico del latte. Il secondo motivo per cui il latte è fortemente legato al territorio in cui gli animali vengono allevati è da ricercarsi nella estrema biodiversità botanica che si ritrova nei pascoli naturali e soprattutto nel bacino del Mediterraneo a differenza dei pascoli nord europei.

In generale nel bacino del mediterraneo esiste una grandissima varietà di essenze foraggere spontanee pari a circa 300 specie confermato di recente anche da uno studio svolto in Sardegna sempre dai ricercatori di Bonassai i quali hanno trovato in un area ad alta vocazione pastorale del nord dell’isola una notevole biodiversità composta da circa 110 specie vegetali dove il 37% del pascolo era costituito da leguminose, il 42% da graminacee e il 15% da composite. Tale biodiversità è un indice di capacità di adattamento delle specie foraggere ai diversi ecosistemi, grazie anche al ruolo svolto da alcune particolari molecole meglio note come prodotti secondari del metabolismo (PSM). E’ stato stimato che al fine di difendersi dagli attacchi esterni (biotici e abiotici) le piante sono in grado di sintetizzare circa 200.000 diverse molecole di PSM, permettendo loro uno sviluppo integrato nell’ecosistema.

I PSM vengono raggruppati in tre grandi famiglie sulla base del loro ciclo di sintesi da cui derivano: fenoli, terpeni e steroidi e alcaloidi. In un recente passato molte di queste molecole venivano viste dai nutrizionisti classici come dei veri e propri “fattori antinutrizionali” che potevano in un qualche modo incidere negativamente sul metabolismo degli animali in produzione zootecnica. Un esempio sono i tannini (polifenoli), molecole che appartengono ad una variegata classe di composti, i quali a seguito del loro effetto negativo sulla microflora ruminale penalizzavano fortemente il valore nutrizionale degli alimenti in cui erano presenti; piano piano questo concetto ha subito diverse declinazioni grazie agli studi sul potere modulatore che i tannini possono svolgere sul metabolismo ruminale delle proteine piuttosto che sul metabolismo ruminale degli acidi grassi insaturi. Inoltre molte di queste molecole a seguito del metabolismo ruminale e attraverso il torrente circolatorio e la mammella possono essere trasferiti nel latte influenzandone gusto aroma e flavour nonché sul potere antiossidante del latte stesso.

Va precisato che il pascolo verde contiene nelle foglie un quantitativo sostenuto di composti aromatici quali acidi grassi, aldeidi, chetoni e fenoli proprio in virtù della funzione che esse svolgono durante il processo della fotosintesi clorofilliana. Molti di questi composti durante la raccolta e/o la fienagione vengono quasi completamente metabolizzati (processo catabolico della respirazione), per cui l’effetto dei PSM sulla fisiologia degli animali risulta molto più marcato quando questi si alimentano direttamente al pascolo rispetto ad un alimentazione stallina.

Variabilità delle caratteristiche dei formaggi DOP ovini Italiani in funzione della loro origine geografica. Come abbiamo detto in precedenza i prodotti lattiero caseari ottenuti da latte crudo grazie alla diversa componente microbica lattica autoctona, sono in grado di riflettere le diverse aree di provenienza, come osservato in alcuni studi svolti sui formaggi Pecorino Crotonese (Calabria) e Fossa di Sogliano (Emilia e Marche). In particolare il contenuto in alcune molecole come terpeni, chetoni, esteri e composti solfurei, sono risultati essere influenzati dall’area geografica di provenienza dei formaggi. Risultati simili sono stati ottenuti con il Pecorino Piacentinu Ennese (Sicilia) confrontando una tecnologia a latte crudo con una a latte pastorizzato; inoltre in questo caso il diverso profilo dei terpeni nei formaggi ottenuti da diverse aziende era associato alle caratteristiche botaniche dei pascoli.

Anche l’aggiunta alla cagliata di uno zafferano non locale rispetto all’utilizzo di uno zafferano locale (materia prima utilizzata durante la fase di lavorazione del formaggio DOP Piacentinu Ennese) influenza il flavour rispetto ad un formaggio ottenuto con uno zafferano locale mettendo ancora di più in evidenza il ruolo del territorio di origine dello zafferano stesso. Spesso le differenze riscontrate a livello sensoriale provengono da un effetto associativo dovuto sia all’azione della microflora autoctona del latte che alla composizione dei pascoli in cui vengono allevati gli animali, come sottolineato nel caso della Casciotta di Urbino (Marche) dove è stato osservato come sia possibile discriminare formaggi prodotti con tecnologia a latte crudo rispetto a quella con latte pastorizzato sulla base del profilo degli acidi grassi a corta catena.

Tali acidi grassi (butirrico, caprico, caprilico e caproico) principali responsabili del sentore di piccante nei formaggi, sono sintetizzati dalla mammella ed il loro contenuto nel latte è fortemente influenzato dalle essenze foraggere ingerite dall’animale come osservato in numerosissimi studi svolti presso il centro di Bonassai riportati qui di seguito. Per esempio la sulla è in grado di aumentare del 300% il livello della sommatoria di questi acidi grassi nei formaggi rispetto a quanto ottenuto con un pascolo di crisantemo; mentre nel caso della medica polimorfa il livello di questi acidi grassi aumenta del 200% rispetto a formaggi ottenuti da pecore che pascolavano sempre crisantemo. Questi effetti vengono leggermente attenuati qualora le pecore al pascolo ricevano una integrazione alimentare (20% della razione) a base di polpe di bietola o mais, ma sostanzialmente le differenze permangono.

Anche i pascoli caratterizzati dalla presenza di cartamo piuttosto che medica polimorfa o cicoria sono in grado di marcare molto bene la composizione chimica del latte di ovini di razza Sarda caratterizzandone i formaggi così ottenuti. Lo stesso cartamo pascolato in purezza e confrontato Anche il cartamo Confrontando l’effetto del cartamo Esistono inoltre alcune essenze foraggere che si caratterizzano per un elevato contenuto in composti aromatici. E’ questo il caso del Chrysanthemum coronarium L., della famiglia delle asteracee presente nei pascoli molto poveri del bacino del Mediterraneo, pianta interessante in grado di conferire al latte un flavour facilmente percepibile. E’ stato visto che confrontando pecore che pascolavano una consociazione binaria (medica polimorfa+loglio) piuttosto che un pascolo a consociazione ternaria (medica polimorfa+loglio+crisantemo) la presenza nel pascolo di crisantemo incrementava il 2-Methyl propanale, 2-Methyl butanale e 3-Methyl butanale nel latte e nel formaggio. Nel caso invece di pecore che pascolavano il pascolo binario, nel latte venivano riscontrati alti livelli di esanale ed eptanale rispetto a quelli ottenuti con pascolo ternario.

Questi risultati sono stati confermati anche da un test triangolare per le analisi sensoriali, e hanno messo in evidenza la possibilità di discriminare la presenza del crisantemo nel pascolo attraverso un flavour erbaceo, rispetto ai formaggio ottenuto da medica e loglio che si caratterizzava per le note di piccantezza. Risultati recenti sottolineano che i formaggi ottenuti da latte di pecore alimentate prevalentemente al pascolo sono in grado di registrare livelli di terpeni assolutamente più elevati rispetto ai formaggi ottenuti da latte di pecore allevate in stalla. Infine bisogna tener presente che alcune essenze foraggere possono trasferire al latte e al formaggio delle molecole che conferiscono un gusto di amaro.

E’ il caso della cicoria (Cichorium intybus L.) essenza foraggera introdotta nei nostri sistemi foraggeri in questi ultimi anni grazie alle ottime capacità di adattamento a seguito del lungo lavoro di selezione svolto in Nuova Zelanda. In questa pianta purtroppo sono presenti delle molecole (sesquiterpeni denominati anche lattoni) che hanno la caratteristica di conferire al formaggio la sensazione dell’amaro.

Fattori endogeni delle piante e sostenibilità delle produzioni casearie. Lo studio di alcuni fattori endogeni presenti nei vegetali quali tannini, polifenol ossidasi acido coronarico, ecc. riveste molta importanza nella filiera zootecnica in quanto una migliore conoscenza dei meccanismi con i quali agiscono può contribuire a migliorare l’efficienza di utilizzo alimentare dei ruminanti. Per esempio la sulla grazie al suo moderato contenuto in tannini potrebbe essere inserita in molte catene di foraggiamento al fine di migliorare la digeribilità ruminale dell’azoto (aumentando la quota indigeribile a livello ruminale), piuttosto che aumentare il tasso di trasferimento degli acidi grassi insaturi dalla dieta al latte.

Un altro aspetto sempre legato ai prodotti secondari del metabolismo è quello di alcuni sistemi enzimatici presenti in alcune piante foraggere come per esempio la polifenol ossidasi (PPO). La PPO è un complesso enzimatico responsabile della catalisi delle reazioni di imbrunimento che avvengono nei tessuti delle piante e della frutta, provocandone di conseguenza un deterioramento. Diversi studi hanno rivelato che la PPO è in grado di migliorare non solo l’efficienza azotata ma anche l’efficienza di trasferimento degli acidi grassi insaturi dall’erba al latte. L’utilizzo in modo mirato di essenze autoctone ad alto contenuto di PPO potrebbe contribuire a migliorare sicuramente l’efficienza zootecnica degli ovini da latte tenendo inalterato il legame stretto tra formaggi e territorio. Un altro fattore endogeno presente in alcune essenze foraggere riscontrabili nei pascoli del bacino del mediterraneo è l’acido coronarico un epossi acido a 18 atomi di carbonio (C18:1 cis-9,10-epoxy,cis12).

Anche in questo caso è stato visto che la presenza di questo acido grasso è in grado di modulare il metabolismo ruminale migliorando il trasferimento degli acidi grassi insaturi dai foraggi al latte. Studi in corso presso il centro di Bonassai sembrano confermare l’attività dell’acido coronarico sul metabolismo ruminale. In conclusione possiamo affermare che i formaggi ovini DOP italiani si caratterizzano per essere ottenuti principalmente da animali allevati al pascolo. Il pascolo può contribuire al legame prodotto-territorio in modo diretto (alimento) o indiretto (microflora del latte autoctona). L’elevata biodiversità botanica che caratterizza i pascoli del bacino del Mediterraneo conferisce ai foraggi e di conseguenza al latte e al formaggio delle caratteristiche sensoriali molto specifiche che sono rilevabili in modo oggettivo dalle più comuni analisi di laboratorio attraverso GC, HPLC o massa, o attraverso test triangolari svolti da panel addestrati.

La presenza di queste molecole responsabili del flavour possono tracciare in modo indelebile tutta la filiera rendendo il legame di questi prodotti con il territorio di origine ben saldo contribuendo ad una maggiore sostenibilità ambientale. I risultati di questi studi sui “marcatori” del latte mettono in evidenza come sia possibile non solo tracciare ma anche certificare certe produzioni zootecniche ottenute in modo ecosostenibile e nella fattispecie rendere i formaggi ovini DOP ancora più attuali in un contesto globalizzato. Grazie anche agli studi svolti presso il centro di ricerca di Bonassai questi risultati sono attualmente disponibili per poter essere trasferiti nella filiera ovina da latte cardine principale dell’agricoltura della Sardegna. Da non dimenticare infine che l’allevamento ovino appare sempre più importante ai fini di una migliore gestione del territorio, e nella valorizzazione del paesaggio anche a fini turistici, elemento fondamentale nella prevenzione dello spopolamento e dell’abbandono delle zone interne nonchè nell’architettura del paesaggio agricolo italiano. L’attività di allevamento degli ovini da latte inoltre, ha una componente identitaria e trova la sua massima declinazione nel pastoralismo,

La civiltà pastorale non va vista solo nel suo aspetto economico, ma anche nella comunicazione sociale, nel rapporto con la natura, e per il suo patrimonio linguistico.

 

One Comment

  1. Bachisio

    Grazie per questo interessantissimo articolo

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