Là sulla collina le giuste domande sulla lettera di Walter Piludu [di Gabriele Calvisi]
Quanto arrivo alla Collina, la comunità di Serdiana, non c’é nessuno. Il paesaggio sottostante si dispiega sotto un cielo azzurro annuvolato raggiungendo l’orizzonte con gli oliveti e i campi abbandonati. E’ la prima volta per me. Cerco qualcuno tra le numerose stanze incastonate da biblioteche. Trovo don Ettore Cannavera che mi sorride. Devo trovare la sala del convegno e lì copiare i files del Canone di Pachelbel. La sala, con un arcuato crocifisso in evidenza, si riempie di persone perlopiù mature. Quando entra Marinella, la moglie di Walter Piludu e l’amatissima figlia Alessandra, allora si può iniziare. Ma solo dopo l’ascolto del Canone in Re maggiore di Pachelbel, brano amato da Walter che eseguiva al pianoforte prima dell’avida menomazione della malattia. Don Ettore Cannavera preludia e orchestra l’incontro. Espone il programma e i protagonisti. Estrema delicatezza ed impellenza. Dice. “Siamo colpiti da questo problema. Ne discuteremo a viso aperto e con sincerità secondo le nostre diverse formazione culturali. E’ un tema sentito che cammina sulla pelle dei malati di Sla. La morte. Quello che dà senso ad una corsa é il traguardo come la morte per la vita. Per noi credenti un passaggio, un esodo“. Sottolinea. “Walter Piludu ci ascolterà. Ci ha convocato. Ci ha sollecitato e così voglio leggere la lettera che ha spedito ai leader politici e a Papa Francesco che risponderà“. Così legge la splendida lettera di Walter. Riascoltarla quella lettera, letta da un sacerdote, racconta il tutto: il dramma, il rigore, l’inattuale cultura, l’umanità, l’impeccabile stile e la nobiltà della politica che ha sempre praticato. Marinella porta il suo saluto. Con un supplemento di fatica avrebbe potuto essere presente al convegno. Ha preferito non condizionare la discussione con reazioni emotive personalistiche. Meglio lasciare tutta la scena al problema generale. Il dubbio e l’approfondimento sono necessari, dice, e crede che il compito degli uomini di buona volontà sia quello di ritrovarsi in un terreno condiviso nutrito di pietas cristiana e di tolleranza laica tale che porti ad una saggia legislazione sul fine vita. Delicatissimo argomento. Dice Ettore Cannavera. Chiama i quattro relatori. La neuroscienziata Maria Del Zompo. Il padre gesuita Maurizio Teani, preside della Facoltà teologica. L’ordinario di diritto costituzionale Pietro Ciarlo, il procuratore della Repubblica di Cagliari Mauro Mura. Poi darà la parola alla politica: al presidente della Commissione sanità della Camera dei Deputati Pier Paolo Vargiu, e a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. Maria Del Zompo é delicata e profonda. Sorprende. Racconta la complessità. Noi abbiamo un destino segnato anche come specie: finiamo. Niente di razionale, niente di corticale, niente di intellettuale. Tutto totalmente biologico. A prescindere da ciò che pensiamo. Dice. L’istinto della conservazione della specie porta, anche quando viviamo una grande sofferenza, al rimedio della stessa, da parte del cervello, adattandosi. Con quale limite? Fino a quando non si perde “l’essenza dell’appartenenza alla specie umana”. Ecco perché dobbiamo dare dignità alla nostra specie quando il nostro cervello smette di funzionare. Padre Maurizio Teani, gesuita, non deroga dalla teologia cattolica. Nel processo di riflessione, dice, le domande sono più importanti delle risposte. Comunicare significa fare domande piuttosto che dare risposte e per fare domande bisogna ascoltare. Ascoltare Walter significa lasciarsi interrogare senza dare risposte standardizzate. Interroga la Chiesa. Ma per la Chiesa la vita é un dono di Dio affidato ad ogni uomo e donna perché se ne prendano cura. Ognuno é responsabile della vita propria e degli altri. La vita é il bene fondamentale, ma il rispetto non è dovuto alla sacralità biologica ma all’essenza relazionale dell’uomo. Per il cardinale Martini la prosecuzione della vita fisica non è un valore supremo, mentre ha valore assoluto la relazione con Dio e con gli altri. Bisogna aiutare la fine dell’esistenza. L’intervento dello Stato non può mancare ma non può risolvere alla radice il problema. La questione rimane aperta, deve rimanere aperta. La nostra coscienza sarà sempre in gioco. Pietro Ciarlo, ordinario di diritto costituzionale, potrebbe fare il romanziere o lo sceneggiatore. Domandare, chiedere, dubitare é il suo incipit. Un tempo la morte apparteneva alla vita, dice, oggi molto meno. Il progresso della medicina ha portato la vita oltre la sua finitezza. Il senso umano della lettera di Walter pone domande rivolte a tutti e lasciano intravedere questioni spinose che non hanno avuto maturazione nel nostro intimo. Bisogna distinguere. I trattamenti sanitari con molta fatica negli ultimi 50 anni hanno posto al centro il “consenso informato”. La prima volta che compare nell’ordinamento italiano é con la legge di riforma sanitaria nel 1978. Nel 1996 é adottata la convenzione di Ovieto alla quale hanno aderito tutti gli stati europei sul consenso del trattamento informato. L’articolo 5 dice “un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo aver dato consenso libero e informato, la persona in qualsiasi momento può ritirare il proprio consenso”. La convenzione di Ovieto é recepita nel 2001. Ma il principio é già iscritto nella Costituzione Italiana del ’48 all’articolo 32. Racconta vividamente i “disdicevoli comportamenti” della politica, le storie infinite giudiziarie nei diversi e dolorosi casi tra cui quello di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro. La sua tesi, abbastanza suggestiva, é che l’ordito legislativo già presente con il “consenso informato” sia sufficiente anche per risolvere la drammatica ansia di Walter con “la revoca del consenso altrattamento“. La questione eutanasia é un’altra cosa. Dice. Per il procuratore della Repubblica di Cagliari, Mauro Mura, il problema é il Codice Penale. Dice. La capacità di scelta e di autodeterminazione é riconosciuta. Il diritto alla vita è il diritto fondamentale e si riconosce alla persona il diritto di porre fine alla propria tanto che il suicidio non é perseguito dalla legge. Mentre é sanzionato penalmente “l’omicidio del consenziente” in quanto non facente parte del diritto all’autodeterminazione come pure quello dell’aiuto e dell’istigazione al suicidio. Poi racconta un caso terrorizzante di due giovani caduti in depressione che hanno tentato il suicidio in parte riuscendoci e le conseguenze previste con l’applicazione del diritto penale. Mentre in quasi tutti i paesi occidentali l’eutanasia é stata regolata. In Italia no: é impellente e necessario, quindi, l’intervento legislativo che regoli la materia. L’orchestratore del dibattito Ettore Cannavera cambia la scena e invita i politici. Pierpaolo Vargiu. Parla dei temi della bioetica Tutti difficili da affrontare. Dice. La soluzione legislativa appare semplice rispetto alla complessità della sua applicazione nelle diverse latitudini delle strutture sanitarie nazionali. Non sempre fare una legge migliora la situazione. Talvolta la complica o la porta indietro. In questo momento alla Commissione Sanità non si sta discutendo nessuna legge sull’eutanasia. Chiarisce. Preferisco discutere di qualcosa che possa avere un esito. La legge sull’eutanasia sarebbe solo un grande convegno dove due opposte tifoserie parlerebbero per se stesse (laici e cattolici). Fino a quando non nasce uno spirito di condivisione nessuna legge sull’eutanasia potrà mai vedere la luce. Bisogna chiamare le intelligenze al confronto e al dialogo in maniera tale che poi la Commissione parlamentare possa rendere fattibile una legge. Concede alla fine. Marco Cappato. “Sono un militante politico radicale per la legalizzazione dell’eutanasia”. Dichiara orgoglioso. Perciò ha presentato una proposta di legge nel settembre dell’anno scorso e mai discussa. Pone una urgenza sociale e quindi politica. Dice. Pensa che proprio per tutelare le proprie e mutevoli visioni di ciascuno siano necessarie buone regole. Racconta, per averlo vissuto, il caso Piergiorgio Welby partendo dalla risposta che diede allora il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, 8 anni e mezzo fa: “l’unico atteggiamento ingiustificabile delle sedi parlamentari sarebbe il silenzio, l’elusione”. La mobilitazione delle energie intellettuali, allora, aprì un dibattito grazie alla risposta del presidente Napolitano. Serve una buona legge, dice Marco Cappato, perché non basta che esita qualcosa sulla carta se poi gli ostacoli operativi rendono vano il diritto. E’ vero che è possibile interrompere la terapia e sedare il malato, ma non si trovano imedici. E’ necessaria una buona legge che superi la differenza tra la teoria e la pratica oggi nelle strutture ospedaliere e nelle case degli italiani. E’ necessario un obbligo e un vincolo al rispetto delle volontà di una persona. Come insegna il caso dell’algherese Giovanni Nuvoli malato di Sla. Per Giovanni avevano trovato il medico che una mattina si sarebbe dovuto presentare per staccare il respiratore e praticargli la sedazione. Il medico quella mattina, invece, ha trovato una pattuglia delle forze dell’ordine che gli impedì l’accesso alla casa. Giovanni Nuvoli invece di aprire l’ennesima storia giudiziaria ha fatto la stessa cosa che paventa Walter Piludu, rifiutò l’alimentazione e, dopo sei giorni di indicibile sofferenza, morì. L’eutanasia é un concetto diverso. Dice Marco Cappato. Può essere definita come “morte opportuna”. Non tutte le persone sono nella condizione di interrompere la cura. Per esempio Piera Franchini, malata terminale di cancro, non era attaccata a nessuna macchina quando si recò in Svizzera per il suicidio assistito. Dove per l’assenza di una legge nel nostro paese é possibile praticare una eutanasia di classe. E’ una questione di democrazia. Non si tratta di confronto tra cattolici e laici: esiste invece una domanda sociale forte per l’aumento delle malattie neuro degenerative. Esiste una maturità e consapevolezza della opinione pubblica. Se le istituzione non riescono a discutere un tema così importante il rischio non è per i malati, per il diritto, per la libertà ma é a rischio la democrazia. Dice tra gli applausi. Con un messaggio letto da Ettore Cannavera dà il suo contributo il filosofo Remo Bodei. E poi con brevi interventi: Romano Cannas, Giaime Marongiu, Giancarlo Ghirra, Lorenza, Stefano Incani, Giorgio Carta e Giorgio Macciotta.
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grazie per questo illuminante articolo