Scorie nucleari in Sardegna [di Paolo De Gregorio]
Leggo su “La Nuova Sardegna” del 3 gennaio un promemoria sulla situazione dei siti nucleari sparsi in Italia visto che la Sardegna, pur non avendo mai posseduto centrali, è candidata a diventare sito di stoccaggio di rifiuti nucleari a bassa e media radioattività. Ma non finisce qui! Per i rifiuti altamente radioattivi, la cui pericolosità si abbatte nei secoli o forse millenni, è previsto che la Comunità Europea costruisca un sito unico di cui non si ha notizia. La nota giornalistica ci ricorda che in Italia vi sono ben 24 siti destinati a deposito di scorie nucleari, la cui gestione è stata affidata ad una società statale chiamata SOGIN (Società gestione impianti nucleari) che ha lo scopo di controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi. I costi di tale attività sono a carico dei cittadini attraverso la bolletta elettrica alla voce (fraudolenta e ingannatrice) “A2 oneri di sistema”. Questo “carrozzone statale” ci costa la bella cifretta di circa 300 milioni di euro l’anno e non brilla in velocità visto che dalla sua nascita ad oggi ha compiuto il 12% del suo lavoro, ossia meno dell’1% annuo. Allo stato delle cose, si ipotizza per i rifiuti nucleari a bassa e media intensità una spesa di un miliardo e mezzo di euro che, sapendo come vanno le cose in Italia, lieviteranno all’infinito perché è evidente che questa Sogin vuole durare in eterno, se teniamo conto che viene premiata la sua inefficienza affidandole i lavori del deposito di scorie invece di licenziare tutti i suoi dirigenti. Ma la cosa che più mi fa soffrire in questa vicenda riguarda la casta sempre in vendita dei giornalisti che senza vergogna ignorano la loro etica professionale che imporrebbe di scrivere la verità e soprattutto con completezza della informazione. Nemmeno oggi, che è evidente che i costi del nucleare sono stratosferici e che costa molto di più dismettere un impianto che costruirlo, non c’è un solo giornalista che ricordi nomi e cognomi di chi sosteneva che il kilowattore prodotto dal nucleare costava di meno di quello prodotto con combustibili fossili. Non solo, ma allo stato delle cose è praticamente impossibile determinare quanto ci è costato il kilowattore prodotto col nucleare perché si tratterebbe di valutare i costi di stoccaggio, sorveglianza, manutenzione per dei secoli, senza contare eventuali incidenti, terremoti, alluvioni, deterioramenti dei contenitori. L’alternativa c’è ed è la via maestra da percorrere. E’ quella pulita e semplice delle rinnovabili (eolico, fotovoltaico, solare a concentrazione di specchi di Rubbia, geotermico, idroelettrico), non grandi impianti, ma microgeneratori diffusi su tutto il territorio, di proprietà degli utenti, abolendo quella legge sbagliata del governo Prodi che pagava l’energia prodotta con le rinnovabili tre volte il suo valore, attirando così capitali mafiosi. Il problema invece doveva essere quello di finanziare a fondo perduto chi diventava autosufficiente energeticamente (con una potenza certificata dalla bolletta elettrica) allo scopo di rendere più competitive centinaia di migliaia di piccole e medie imprese industriali, artigiane, agricole, abolendo ogni pastoia burocratica per velocizzare questa vera rivoluzione industriale, indispensabile per lasciare i combustibili fossili sotto terra, e fermare l’effetto serra che sta sconvolgendo il clima. Il sito unico di stoccaggio va costruito in superficie, presso una delle centrali dismesse (sito già valutato sicuro geologicamente e idoneo tanto che vi costruirono una centrale), ispezionabile e non con fusti gettati in una vecchia miniera. I costi dovrebbero essere sostenuti da tutti coloro che hanno partecipato a progettare, costruire, sfruttare questa follia nucleare e non scaricando allegramente la loro incapacità e superficialità sui cittadini che pagano la bolletta elettrica. Qualche anno fa il tentativo di collocare le scorie in Basilicata, nel territorio agricolo di Scanzano Ionico, fallì per la mobilitazione massiccia dei cittadini che, autonomamente dai partiti, si costituirono in Comitato di lotta, occuparono strade accampandosi giorno e notte fino alla vittoria. I sardi devono fare lo stesso, senza farsi incantare dal miliardo e mezzo di investimenti e 1.500 posti di lavoro promessi, facendo anche valere i danni economici, ambientali e pure sulla salute umana, derivanti dall’imposizione di servitù militari su tanta parte del territorio che fanno della Sardegna la regione più penalizzata d’Italia.
|
…“Ma la cosa che più mi fa soffrire in questa vicenda riguarda la casta sempre in vendita dei giornalisti che senza vergogna ignorano la loro etica professionale che imporrebbe di scrivere la verità”.
Che ammirazione per l’indignazione che traspare, leggendo l’articolo. Stamattina pensavo alla categoria dei giornalisti del nostro Paese. Pensavo ai giornalisti “pubblici”, (da noi pagati con il canone), ma anche ai privati. Pensavo ai giornalisti delle emittenti televisive, delle radio e a chi lavora per i giornali. Pensavo alla loro categoria, grazie alla cura con cui si informano i cittadini in materia di dipendenti pubblici, statistiche, numeri, malattie, permessi, assenteismo, dopo il caso dei vigili di Roma.
Sarà che sono un dipendente pubblico – fascia bassa – quindi sensibile all’argomento, la sensazione, magari sbagliata, è di assistere a una” prova d’orchestra”, guidata da un “maestro” che vuole spostare l’attenzione, dalla corruzione venuta fuori nella capitale, allo “sparo” dello statale. Domando, con quali selezioni, esami o meriti, sono reclutati i giornalisti? Ricordo un incontro pubblico, questa estate a Uta, con il giornalista Giovanni Floris, dove venivo a sapere che per entrare in Rai, in passato, bisognava perlopiù essere parenti o amici di un senatore o di deputato. Circa. Meritocrazia italica!
Se l’assunzione non è frutto di esami, di una valutazione oggettiva dei meriti professionali, è difficile che si svolga la propria attività con correttezza.