Il conflitto di civiltà è dentro di noi [di Nicolò Migheli]
La strage dei giornalisti e dipendenti di Charlie Hebdo ci interroga tutti e non solo sul supposto conflitto di civiltà tra l’Occidente e l’Islam. Di quella sparatoria non si conoscono ancora le ragioni profonde, forse non basta il colonialismo occidentale, il Medio Oriente è in fiamme dallo sterminio degli armeni del 1915, non basta la radicalizzazione di certo Islam politico e la spinta messianica che lo attraversa. Non bastano perché, questa volta, come nel 1939 sono in gioco i nostri valori, il desiderio di vedere realizzata una società includente con pari diritti per tutti, libertà politiche e di fede garantite. Non basta perché l’attacco al Charlie è la cifra di una società che da sempre pencola tra oscurantismo e laicità. Tra libertà ed integralismo. I cittadini europei considerano chiuse le guerre di religione con la pace di Vestfalia del 1648, anche se la guerra jugoslava degli anni Novanta ha avuto anche aspetti di scontro tra cattolici e ortodossi, tra cristiani e mussulmani. La nostra laicità è figlia della riforma protestante e della rivoluzione francese. Una libertà difficile, per dirla con Emanuel Lévinas. Uno scontro mai sopito tra diritti ed obblighi, tra la libertà di critica e di satira e rispetto per le fedi altrui. Basti ricordare il pregiudizio antiebraico, o quello reciproco tra cristiani di diversa confessione. L’illuminismo ha portato con sé la critica feconda sia dell’autorità religiosa che di quella monarchica. La caduta del principio di autorità ha permesso confutazioni prima impensabili. La secolarizzazione ha fatto il resto, nessuno può sottrarsi al diritto di critica e allo sberleffo altrui. Oggi non è che con l’Islam europeo il panorama sia cambiato. No, si ripropone solo in maniera più virulenta. La modernità e le integrazioni labili favoriscono sensibilità che rivelano debolezze reciproche. Sono deboli gli occidentali impauriti da una diversità che non riconoscono ad altri, lo sono gli altri per i medesimi motivi. Uno scontro che in fin dei conti ha come oggetto quello che siamo, le nostre identità le appartenenze di gruppo e quello che vorremmo essere. Tante sono le domande che ci si pongono. Si può irridere tutto, senza curarsi che quella parola o quel disegno provochino sofferenze in altri, in ciò che loro credono, del proprio stile di vita? Siamo sufficientemente liberi e nello stesso tempo accorti nell’accettare tutto, o c’è qualcosa che può fare scattare in noi una reazione forte ed inconsulta? La società americana aveva trovato la risposta con il politicamente corretto, una formula che garantisca la libertà di pensiero ma allo stesso tempo sia rispettosa delle diversità culturali e religiose. Non sempre però ci si riesce, il permanere del razzismo negli Usa è misura di come sia difficile contemplare entrambi gli atteggiamenti. In Europa dopo il 7 di gennaio parigino siamo di nuovo in mezzo al guado, dobbiamo trovare nuove modalità di confronto che contemplino la libertà di critica e sberleffo e allo stesso tempo non mortifichino ed offendano le credenze altrui. È la sfida dei nostri tempi. Diritti, libertà e democrazia non sono acquisiti per sempre, sono conquista quotidiana difficile, ancor di più in tempi di confronti che diventano sempre più militari. Lo sottolinea Sandro Magister nel suo blog riportando un intervento del presidente egiziano Abdel Fattah El Sissi, tenuto il 3 di gennaio nella università di Al Azar, il “Vaticano sunnita”, davanti ai massimi esponenti di quella confessione: «Il mondo musulmano non può più essere percepito come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell’umanità”. E le guide religiose dell’islam devono “uscire da loro stesse” e favorire una “rivoluzione religiosa” per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una “visione più illuminata del mondo”. Se non lo faranno, si assumeranno “davanti a Dio” la responsabilità per aver portato la comunità musulmana su cammini di rovina» Noi non possiamo immaginare il nostro rapporto con l’Islam in termini di scontro violento, ma anche loro debbono smettere di desiderare che il resto del mondo si uniformi alle loro credenze. Lo diceva El Sissi nel discorso citato. Una mia amica mi raccontava di un ricercatore afghano che l’anno scorso frequentò un master di dottorato a Sassari. Alla sua domanda su come l’esperienza sassarese avesse influito su di lui, Abdullah rispose: “Non si può attraversare due volte lo stesso fiume, perché sei cambiato nel viaggio e perché l’acqua non è più la stessa”. In questi anni abbiamo attraversato fiumi, la nostra società europea non è più la stessa dei nostri genitori e padri. Siamo già cambiati, il conflitto dentro di noi è quello antico con modalità nuove. Anche questa volta ce la faremo. |
Caro Nicolò, come al solito, mi vedi d’accordo con la tua analisi. Sarà perché siamo coetanei, o abbiamo la stessa formazione che si è evoluta nelle stesse direzioni… non so e non importa.
Ma c’è una puntualizzazione che sento di dover fare – e sulla quale tu sorvoli. Mi viene dalla conoscenza pratica dell’area Maghrebina, forse un pochino più concreta della tua.
C’è una ferita insanata che dal punto di vista psicologico e antropologico che crea ancora oggi ombre non rischiarabili col pensiero occidentale: la colonizzazione (i due assassini sono di origine algerina) ha creato enormi fratture incolmate – La Francia, origine dei principi laici in cui anch’io mi riconosco, in quell’area ha impunemente agito in contraddizione con questi stessi principi per decenni. Così l’occidente ha fatto in tutte le aree oggi critiche. Il senso di frustrazione e di rivincita dei colonizzati, lo stesso che puoi riconoscere nelle nostre zone interne della Sardegna, può creare mostri facendo da battistrada ai fondamentalismi. Il fondamentalismo è, secondo me, la rivincita semplificata (la revanche simplifiée, come l’ho definita, guarda caso, proprio in francese), ridotta al grado zero. In quell’area di frustrazione, nell’emarginazione, nell’apartheid delle banlieues di tutto il mondo fa agevolmente proseliti.
Nessuna giustificazione, ovviamente. Nessuna mai… in nessun caso.
Noi stiamo con Charlie, noi siamo Charlie. Come ieri eravamo “né con lo stato, né con le BR”. Questo sistema occidentale non ci appartiene, non ci rappresenta, non è il nostro. E nemmeno di Charlie. Anzi, se guardi bene, è molto più vicino a “loro”. Spesso ha perfino parlato la stessa lingua. Ha insegnato loro a combattere, li ha armati. Ha mentito con loro come oggi mentono loro. Pensa solo alla retorica sui due marò, che hanno sparato su pescatori inermi per difendere il carico di una nave commerciale. Mai una parola sulle famiglie di quei poveri pescatori, e intanto i marò vengono chiamati eroi. Ecco la metafora perfetta di cosa siamo e di cosa stiamo insegnando. Di quali valori siamo portatori.
Il clima del terrorismo è stato provocato, favorito e fomentato, proprio dal nostro sistema occidentale. Sono meno assassini di questi due algerini i soldati israeliani a Gaza?
Noi (io e te ed altri come noi) ancora una volta, siamo altro. Siamo da un’altra parte. Certamente con Charlie, certamente fuori dal loro gioco. Ancora: “né con lo stato, né con le BR”. Mandalo a dire chiaramente alla ministra Pinotti, al presidente Napolitano, al presidente Pigliaru da parte mia quando parlano di giustizia, di valori, di patria e di Brigata Sassari, con le basi militari e i depositi di scorie nucleari in Sardegna.
PS.: riprenderò la tua opinione sul mio blog – ma con anche il mio commento – un caro saluto.