Universitá sarde verso l’estinzione. A meno che….[di Giuseppe Pulina]
Nessuna organizzazione può sopravvivere senza ricambio. Le norme ministeriali sul finanziamento degli atenei pongono le Università sarde in coda alla classifica sia dei finanziamenti, sia del reclutamento di nuovi docenti. Così come il popolo sardo è condannato all’estinzione per effetto di un insufficiente tasso riproduttivo, così gli atenei isolani collasseranno sotto la scure dei sempre minori trasferimenti ministeriali. Come è possibile? Scrissi circa un anno fa su queste colonne che il circolo vizioso “meno soldi, meno studenti per cui meno finanziamenti” andava rotto, pena la marginalizzazione, prima, e la chiusura, dopo, delle Università isolane. Il sistema “meritocratico” inventato dal MIUR è a doppia perversione: primo, perché premia atenei virtuosi che stanno in aree virtuose (il nord, tanto per capirci), secondo perché lo fa a scapito degli altri e non con risorse aggiuntive. Morale? L’Italia si incanala verso una polarizzazione delle formazione: le regione del nord dreneranno risorse e cervelli da quelle del sud con l’inevitabile conseguenza di approfondire lo squilibrio in atto e condannare il meridione al sottosviluppo permanente. Ma non eravamo tutti figli della stessa Repubblica? Ebbene, no. Se la formazione è Chi manderà i propri figli a studiare da noi? Neanche i sardi, ovviamente. Sembra tutto segnato, a meno che i Rettori non facciano una scelta coraggiosa e impopolare: chiedano ai professori, ordinari e associati, che hanno già maturato l’età della pensione e che sono meno produttivi della mediana dei colleghi dello stessa disciplina, di andare in pensione e, contemporaneamente, li sostituiscano con ricercatori a tempo determinato più produttivi. Si otterranno così cospicui risparmi (un ricercatore costa in media metà di un ordinario), aumenterà l’indicatore di produttività scientifica e si terrà inalterata l’offerta formativa, magari migliorandola con nuove leve più vicine agli studenti. In tal modo il costo standard per studente diminuisce, la produttività aumenta, si tampona l’emorragia delle matricole e si dà lavoro ai giovani. Tutto bene, solo se i Rettori avessero il coraggio…
|
Per quanto riguarda l’Università di Cagliari, faccio alcune sintetiche considerazioni (in certa misura estensibili alla situazione dell’Università di Sassari): 1) si riscontra un calo delle immatricolazioni e quindi delle relative entrate per tasse studentesche; 2) i trasferimenti statali sono in costante diminuzione; 3) i fondi europei non possono essere impiegati, se non in modesta misura, per compensare le défaillance dello Stato; 4) le spese per ristrutturare, risanare o “mettere a norma” secondo standard di sicurezza il patrimonio immobiliare storico o anche quello più recente (Monserrato) sono davvero ingenti e difficilmente sostenibili dalle sole casse dell’Ateneo… A fronte di questa situazione l’Ateneo ha deciso (ma non è cosa recente) di utilizzare i fondi ex-Fas (per la quasi totalità delle disponibilità) su nuove costruzioni. E dunque trovandosi in difficoltà a sopperire a tutte le esigenze (nuovi insediamenti, per i quali i finanziamenti sono comunque insufficienti, e vecchio patrimonio immobiliare da risanare e manutenere) si troverà costretto a effettuare scelte conseguenti più o meno dolorose. Quali? Tra le possibili ne indichiamo due, non necessariamente alternative: 1) si può scegliere la strada della vendita (e/o affitto) di stabili fino a disfarsi di alcuni “gioielli di famiglia”; 2) oppure, escludendo l’aumento della contribuzione studentesca, si possono percorrere inedite soluzioni per aumentare le entrate . Guardando oltre il nostro naso qualche buona pratica si potrebbe trovare in giro per il mondo e replicare intelligentemente, Tanto per fare un esempio, ricordo che le Università americane che avevano investito in misura considerevole in spese edilizie negli anni 80, quelli del “baby boom”, affrontarono il problema della contrazione demografica non con il taglio dei costi ma adottando misure di grande espansione. Come? Differenziarono la loro offerta formativa per rispondere alle esigenze di formazione continua (o ricorrente) di una crescente popolazione adulta e investirono molto e a vasto raggio (in termini di bacini d’utenza) nei corsi telematici. L’altro fondamentale campo su cui investire è quello dell’innovazione, della creazione di nuova impresa innovativa, etc. Di queste politiche non mi sembra si riscontri sufficiente presenza negli Atenei sardi, se non per importanti ma piccole sperimentazioni. Si tenga conto che non ci si può accontentare di interventi di piccolo cabotaggio, ma che, al contrario, si tratta di impostare e realizzare progetti di grande respiro e dimensioni, per i quali occorrono adeguate strumentazioni e capacità organizzative (al proposito una fondazione universitaria tra i due Atenei diventa necessaria). Per queste finalità le risorse europee potrebbero essere impiegate, ma si dovrebbero ricercare fondi anche nel mercato finanziario pubblico e privato.
Ovviamente scrivo per quanto conosco, mi piacerebbe certo che il quadro consentisse meno pessimismo.
Non c’è dubbio che il prossimo nuovo governo dell’Ateneo di Cagliari, così come quello già rinnovato dell’Ateneo di Sassari, si troverà a dover fare scelte decisive, che speriamo non siano di ripiego quanto invece di ricerca di possibili (e realistici) nuovi investimenti, Un’ultima considerazione che ritengo decisiva e che qui accenno solamente: occorre pensare e agire come Università della Sardegna, attuando in modo intelligente e rapido una effettiva unificazione dei due Atenei sardi. Di questo occorre discutere per poter agire con tempestività, non limitandoci al ristretto mondo accademico, perché l’università è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei professori, come la guerra in quelle dei generali.
Questo non succederà mai, come lei ben sa, e, soprattutto, le scelte compiute nel reclutamento dal Unica e Uniss, improntate non certo alla ricerca di bravi ricercatori e docenti, ma alla ricerca di fedeli aiutanti se non di posti per parenti & co., sono storicamente responsabili dell’autodistruzione delle università italiane di Sardegna.