Le canne. Il Sulcis, l’aquila e il pollo [di Anthony Muroni]

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L’Unione Sarda 25 gennaio 2015. Li chiamano Sblocca-Italia e Decreto-Ambiente. Nel tempo della rottamazione e dello spregiudicato marketing politico, di Twitter e della camicia bianca, della passione sbandierata per “House of cards” e per il risiko giocato a tutto campo (dal Quirinale all’Europa, dal Pd alle passeggiate fiorentine), si sa che un buon nome, come l’apparenza, è tutto. Si rischia di far passare due leggi che commissariano Regioni ed Enti locali, strizzando gli occhi a varie lobby del settore energetico, per un qualcosa di virtuoso per l’economia (e dunque, di riflesso, per le tasche della gente) e per la tutela del territorio, del sottosuolo, delle coste e delle zone interne. Perché, appunto, bastano le parole magiche “verde” e “ambiente” per fare fesso chi ha poca voglia, poco tempo e pochi strumenti per informarsi e proteggersi.

Da queste colonne abbiamo più volte scritto dei pericoli insiti nel decreto Sblocca Italia, anche per i riflessi che potrebbe avere in una regione dotata di forte autonomia – sulla carta – come la Sardegna. Del Decreto Ambiente abbiamo iniziato a occuparci in questi giorni, man mano che avanza l’iter di conversione parlamentare. Quali saranno gli effetti del passaggio di competenza dalle Regioni allo Stato in materia di Autorizzazione integrata ambientale? «Da una prima occhiata alla lista degli impianti si deduce che, per quanto riguarda la Sardegna, ci saranno quelli di “biofuel”, la coltivazione di canne del Piano Sulcis di Mossi Ghisolfi, che, come sappiamo, il governo Renzi sta sponsorizzando in maniera determinata. Poi, i rigassificatori, la ricerca di idrocarburi a terra, come il progetto Eleonora della Saras, e in mare». Parole del direttore de L’Unione Sarda? No, di Fabio Enne, responsabile regionale della Cisl per il settore Industria.

Mossi Ghisolfi, Mossi Ghisolfi… chi era costui? Azienda leader nel settore dei prodotti chimici rinnovabili, derivati da biomasse non alimentari, può contare su un fatturato di circa 3 miliardi di dollari e oltre duemila collaboratori. Tre miliardi di dollari fanno poco più di 2,5 miliardi di euro, una montagna di soldi. Di fronte a quest’Everest finanziario, i centomila euro che il patron Guido Ghisolfi (insieme alla moglie Ivana Tanzi) ha donato alla fondazione Bing Bang del premier Matteo Renzi fanno la figura del monte di San Marco di Tresnuraghes.

E dunque non vogliamo credere che sia questa vicinanza, testimoniata da un “presente” che, per proporzioni, ricorda i cento euro che molti di noi infilano in una busta per la il regalo della comunione del nipotino, impegnati come siamo a trovare una scusa («comprati quel che vuoi tu») al nostro non aver tempo per pensare e scegliere un regalo. Non crediamo, dunque, che Renzi si sia fatto comprare e che l’operazione dell’immensa piantagione di canne infestanti che la Mossi Ghisolfi vorrebbe impiantare nel Sulcis, pretendendo persino di evitare le terre inquinate e andando invece a occupare lotti ancora fertili, ma opportunamente definiti “marginali”, sia figlia di quella regalia.

Tralasciamo per un attimo quanto sia grave che la politica italiana abbia ancora una volta pensato di occupare la Sardegna con produzioni non alimentari e che la politica sarda non sia insorta, minacciando le barricate e rivendicando il diritto di poter pianificare un proprio piano economico capace di risollevare in maniera virtuosa l’economia della nostra isola.

Mettiamolo un attimo da parte e concentriamoci su una notizia che nelle scorse settimane è stata data dalla Bbc, non trovando praticamente eco in Italia: il governo Renzi, primo esecutivo europeo a prendere in considerazione una simile misura, starebbe studiando un meccanismo attraverso il quale verrebbe stabilita una quota obbligatoria di biofuel nelle miscele di auto e camion. Una novità, nel caso in cui davvero arrivasse, che sarebbe propagandata come svolta “verde”. Il primo effetto? Un aumento del prezzo della benzina calcolabile tra il 2 e il 3% (dati i costi necessari per la produzione), dice la rivista Wired, l’unica ad aver fatto rimbalzare la notizia nel Belpaese.

A Bruxelles si tenta da tempo di accontentare la lobby dei prodotti chimici rinnovabili, derivati da biomasse non alimentari (ricordate qual è l’azienda leader nel mondo?), ma persino la Commissione europea, date le polemiche e le controindicazioni, non ha il coraggio di adottare una direttiva in tal senso.

La questione dei biocarburanti è ostica da tempo e le critiche verso il biofuel riguardano il consumo del suolo, lo spreco di terreni agricoli che potrebbero invece servire a produrre cibo, ma anche un processo di raffinazione non proprio snello e tanto meno ecologico. Per questo motivo la prima bozza di direttiva europea in merito, nel 2009, che richiedeva almeno un 10% di energia da biofuel per i trasporti, è poi stata riveduta e ridotta a un 5,75%, dei quali un 2,5% obbligatoriamente da biofuel di seconda generazione (cioè estratto non da mais o grano ma da residui agricoli altrimenti destinati all’incenerimento).

La procedura per produrre biogas è lunga, laboriosa e non certo vantaggiosa per i consumatori finali, se si pensa che percorrere un chilometro con un’alimentazione da biofuel costerà il doppio rispetto ai motori approvvigionati elettricamente. Per capire cosa comporta, dal punto di vista ambientale, questa presunta svolta verde si potrebbe partire proprio dall’esempio di Crescentino, in provincia di Torino, terra in cui Mossi Ghisolfi ha il suo quartier generale. Dove c’erano i campi di riso oggi si coltiva canna, su terreni che si insiste a definire marginali.

Ma cos’è marginale? Secondo qualcuno è quello che non ha valore economico. Ma chi lo dice che è più conveniente (oltre che etico) utilizzare i terreni fertili per produrre canne da bruciare invece che cibo? Nel frattempo aspettiamo che la politica dica una parola definitiva. Sappiamo cosa pensa il governo e conosciamo anche qual è la posizione di Salvatore Cherchi, uomo forte del Pd sardo, nella sua qualità di referente del Piano Sulcis. Vorremmo sapere anche cosa pensa il presidente della Regione. Lo chiediamo non per spirito polemico, che non guida nessuna delle questioni che da settimane ci stiamo ostinando a mettere sul tavolo, cercando di esercitare il nostro ruolo di pungolo e controllo nell’interesse dell’opinione pubblica.

Per ora ci dobbiamo accontentare delle fantasmatiche dichiarazioni dell’assessore all’Ambiente, che si limita a osservare, vigilare e far notare che «quando sarà il momento» la Regione deciderà se opporsi a leggi nazionali che sembrano mettere a rischio la sovranità della Sardegna in molti campi. Avendo l’effetto conseguente di commissariare per molti anni l’Isola su scelte che non sono secondarie nell’ottica dello sviluppo.

Noi crediamo che a questa situazione si attagli alla perfezione la parabola indiana dell’aquila che era convinta di essere un pollo. Dice più o meno così: un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita, l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate. La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita: «Chi è quello?», chiese. «È l’aquila, il re degli uccelli» rispose il suo vicino. «Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli».

E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale.

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