Osservazioni relativa agli aspetti pedologici sull’area “Flumini mannu” Villasor- Decimoputzu [di Sergio Vacca]

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Le osservazioni sono state elaborate ed inviate al Ministero competente a supporto dell’ opposizione al Progetto “Impianto solare termodinamico della potenza lorda di 55 MWe denominato “Flumini mannu”, provincia di Cagliari Comuni di Villasor e Decimoputzu. Valutazione di Impatto Ambientale”.

Osservazioni in merito alla Relazione Agronomica. Nella relazione in parola, pag. 5, ultimo cpv, è testualmente riportata la frase “Seppur considerati nella cartografia ufficiale suoli di particolare importanza agricola, appare evidente che la realtà produttiva per asset aziendale, in termini di capitale a disposizione, propensione all’investimento e all’innovazione, non consentono attualmente produzioni maggiori”. Si rilevano in questi limitati accenni alla risorsa suolo e al suo potenziale di produrre biomassa vegetale alcune gravi incongruenze lessicali e giudizi apodittici.

Va, in primo luogo evidenziato che non esiste – per analogia con la Cartografia Geologica d’Italia – una Cartografia Pedologica ufficiale. Esistono Carte Pedologiche a varie scale, pubblicate in contesti diversi, come ricerche scientifiche, piani e progetti, tuttavia nulla che possa definire “ufficiale” – si ribadisce per analogia con la Cartografia Geologica d’Italia – qualsiasi informazione sui suoli di una determinata area. Tuttalpiù, una Carta Pedologica può definirsi autorevole per la i contenuti, in rapporto alla corretta applicazione delle metodologie di rilevamento.

Quanto premesso per affermare, in primo luogo, che non si possono fare generiche asserzioni sull’assetto pedologico dell’area in questione senza riferire la fonte di informazione, la scala della Carta pedologica, il tipo di legenda, e via elencando. L’aspetto più importante è, tuttavia, quello che attiene al rapporto suolo/uso del suolo, all’interno di un processo di Valutazione dell’impatto ambientale di una qualsiasi opera, nel caso in specie dell’ “Impianto solare termodinamico della potenza lorda di 55 MWe, denominato Flumini Mannu”, che si vorrebbe installare tra i Comuni di Villasor e Decimoputzu in Provincia di Cagliari.

Ciò che lega questi due elementi, uno stabile, rappresentato dal Suolo , l’altro dinamico, rappresentato dalle sue utilizzazioni, è il Pedopaesaggio. Il processo di Valutazione di Impatto Ambientale deve perciò riguardare questa entità concettuale di rappresentazione del territorio.

Per quanto la rappresentazione dei Pedopaesaggi possa avvenire anche in modo semplificato – si tratta di quello che viene definito “approccio per singoli attributi”, secondo il quale si considera la realtà ricostruibile per integrazione successiva tra una componente ambientale, scelta come riferimento, e le altre – l’obiettivo deve essere quello di definire e rappresentare il Pedopaesaggio nella sua interezza e complessità.

In contrapposizione a questo approccio, quello definito “olistico” cerca di affrontare i problemi di rappresentazione secondo l’ipotesi che i Pedopaesaggi [ovvero, Land o Terre] di cui il suolo fa parte sono entità completamente integrate che possono essere studiate soltanto come un tutto.

Nella relazione agronomica, l’approccio metodologico che individua nel Pedopaesaggio l’entità geografica di riferimento, definito in sede internazionale attraverso precisi protocolli, è totalmente stravolto. In luogo degli elementi stabili come suolo e geomorfologia, o prevedibilmente ciclici come il clima, mette a base del processo valutativo l’elemento più mutevole, rappresentato dagli usi del suolo; mutevolezza legata al mercato, ma anche a scelte non corrette di politica agricola.

Vi è inoltre una forte incongruenza nella sequenza logica, pag. 1, IV cpv, del preteso “percorso di resilienza, che deve partire da una interruzione dei processi degradativi in atto”.  In primo luogo, gli estensori della relazione dovrebbero dimostrare che nell’area vi siano “processi degradativi in atto”. E’ appena il caso di ricordare che col termine Degradazione del Suolo viene intesa “la diminuzione della qualità del suolo in relazione alla sua produttività attuale e futura e/o come riduzione delle sue potenzialità di risorsa naturale” (Lal et al., 1989). La degradazione del Suolo ha cause climatiche e antropiche; si veda a questo proposito la imponente bibliografia esistente sull’argomento correlata alla “Desertificazione”, che rappresenta il livello irreversibile della Degradazione del Suolo.

Un attento esame nel territorio oggetto della proposta di realizzazione dell’impianto non ha evidenziato alcun segno di degradazione. Né di origine climatica, né antropica. Non vi sono pertanto “processi degradativi da interrompere”, né da “realizzare percorsi di resilienza” rispetto a condizioni edafiche squilibrate.

Tali apodittiche affermazioni tendono viceversa ad introdurre il concetto, sviluppato più oltre nella citata relazione agronomica, di contrasto alla degradazione del suolo attraverso mutamenti d’uso del suolo. Si vedano a proposito i capitoli: “Interventi di mitigazione visiva, miglioramenti ambientali per la fauna selvatica e aumento della biodiversità animale e vegetale e Attività post-Operam”; quest’ultimo capitolo articolato in tre scenari.

Non servirebbero commenti particolari a confutazione della tesi secondo la quale la mitigazione del degrado del Suolo possa realizzarsi attraverso attività che ne modifichino radicalmente la destinazione d’uso. Da agricola ad industriale. Introducendo poi sul suolo elementi fissi, non correlabili a qualsiasi forma di conduzione agraria delle Terre; modificando la morfologia attraverso imponenti movimenti terra per il livellamento delle superfici; realizzando un’imponente rete di ancoraggi delle strutture e via elencando. Strutture tutte che altereranno irreversibilmente i Pedopaesaggi, che rimarranno come macerie di un’attività industriale anche al termine della vita dell’impianto.

Non quindi, eufemisticamente, affermazione apodittica “percorso di resilienza, che deve partire da una interruzione dei processi degradativi in atto”, degli estensori della relazione agronomica, bensì vera complicità in una attività di distruzione sistematica dell’agricoltura della Sardegna meridionale.

Quindi, il capitolo “Lavorazioni e limiti d’uso dei suoli” contiene tali e tanti elementi contradditori da rendere difficile la confutazione, nel senso che la contraddittorietà degli elementi porterebbe ad un rigetto in toto del capitolo. Ma a rendere pleonastica l’analisi del capitolo sovviene un importante documento di una branca dell’Amministrazione regionale.
Si tratta di un documento ufficiale del Servizio Ispettorato Ripartimentale di Cagliari del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione Sardegna, in data 15 maggio 2014, protocollo 32298, Pos. 14.15.1, indirizzato al Servizio S.A.V.I. dell’Assessorato Regionale Difesa Ambiente, avente per oggetto l’istanza della Energogreen Renewables per l’avvio della procedura di VIA del progetto in esame.

E’ una relazione articolata che analizza punto per punto – evidenziandone la contraddittorietà – gli elementi riportati nel “Quadro sinottico riferito alle aree caratterizzate da un’elevata capacità d’uso del suolo” e lo fa con grande competenza e rigore scientifico.Rinviando, pertanto, per non essere ripetitivo rispetto all’ argomento trattato con grande serietà dal Servizio Ripartimentale di Cagliari del CFVA della Sardegna, alla relazione citata, che risulta essere già in possesso del Ministero dell’Ambiente, si fanno proprie le conclusioni: “Alla luce di quanto argomentato si ritiene che gli allegati progettuali citati siano fortemente inadeguati e giungano a conclusioni inaccettabili”.

Una chiosa per stigmatizzare la conclusione del capitolo introduttivo della relazione agronomica. “Il problema [pirodiserbo come pratica agronomica] non è riferibile solo a queste aree, ma assume un focus decisamente più ampio quando ci si riferisce ad aree economicamente marginali, dove il valore del capitale fondiario ad ettaro raggiunge a malapena il valore di un’utilitaria di bassa fascia”.

Questo raffronto – pur suggestivo – è assolutamente fuorviante rispetto ad un processo di valutazione economica della produttività di un suolo in relazione alla sua Capacità d’uso, ma anche in relazione all’attitudine per specifiche destinazioni o ordinamenti colturali. Infatti – ed è questo l’elemento da porre a base delle considerazioni economiche del processo di valutazione di impatto ambientale – il valore del capitale “Suolo” va calcolato in termini di proiezione della sua capacità produttiva, indipendente da quelle che sono le condizioni di utilizzo del suolo al momento della valutazione.

In altri termini, con riferimento alla procedura di Land Suitability Evaluation, se un determinato Pedopaesaggio, in base ai suoi caratteri e qualità, viene inserito nella classe S1 per una data coltura, la produttività corrisponde al 100% della potenzialità fisiologica di quella coltura o di quell’ordinamento colturale. E’ questo l’elemento da prendere in considerazione nella determinazione del valor capitale fondiario da inserire nella procedura di VIA, e non già una risibile suggestione sul costo di una “utilitaria di bassa fascia”.

APPENDICE

Land Evaluation. “La valutazione delle terre è un sistema di classificazione che valuta per una certa porzione di territorio l’uso ottimale o le eventuali limitazioni ad usi più o meno specifici”. Si tratta di un corpus metodologico, basato su schemi interpretativi degli inventari di base, messi a punto in ambito internazionale. Il concetto centrale delle procedure è rappresentato dall’analisi e valutazione del Land [da intendersi nell’accezione di Pedopaesaggio]; da qui il termine Land Evaluation per indicare i metodi e le attività di valutazione delle terre. Questa procedura è definita dalla FAO come “il processo attraverso il quale viene valutata la prestazione di un tratto di terra quando questo e utilizzato per fini specifici” (FAO, 1985 ). Queste si realizzano ad ogni livello e scala geografica: dalla scala aziendale a quelle più generali. La valutazione delle prestazioni di un determinato tratto di terra, infatti, è presente in ogni processo di pianificazione delle attività che in esso si svolgono.

Le diverse finalità determinano il focalizzarsi dell’attenzione su aspetti diversi della valutazione; e per questo motivo che nell’ambito della land evaluation si trovano numerosi altri concetti utilizzati spesso come sinonimi o con accezioni del tutto differenti. Con “capacita d’uso”, ad esempio, traduzione del termine anglosassone “capability”, s’intende un’attitudine di un tratto di terra non per specifiche colture o pratiche agricole, ma per ampi sistemi agrosilvo-pastorali, in relazione al loro uso sostenibile. Il termine fa specifico riferimento alla classificazione americana della Land Capability Classification.

Con il termine “attitudine all’uso” s’intende invece una specifica idoneità, o adeguatezza, di un tratto di terra per un uso specifico; e il termine utilizzato per tradurre l’inglese “suitability”. Valutazione dell’attitudine ad un determinato uso e quindi la traduzione dell’espressione anglosassone “Land Suitability Evaluation”. Rinviando al manuale del MIPAF per gli approfondimenti, occorre anzitutto precisare che la valutazione delle terre [pedopaesaggi] non è sempre finalizzata a scopi agricoli o comunque produttivi, ma anche a fini di protezione della risorsa suolo da possibili agenti di degrado (erosione, desertificazione, perdita di sostanza organica, inquinamento, ecc.).

Il secondo aspetto attiene alla indicazione delle esigenze o requisiti (Land Use Requirements, LUR), definibili: i) in termini fisiologici di crescita della coltura, ii) tecnologici e gestionali, iii) di conservazione del suolo. Nel primo caso si tratta di stabilire quali sono le condizioni edafiche ottimali per la crescita di una coltura (Crop Requirements); nel secondo quali sono i requisiti per la realizzazione di tecniche di gestione colturale (Management Requirements); nel terzo quali sono le condizioni per controllare i processi erosivi e di degrado (Conservation Requirements). Infine, stabilito lo scopo della valutazione, acquisiti i dati per l’elaborazione e definiti i requisiti di un uso specifico, per applicare il procedimento di valutazione nel territorio in esame, occorre trattare questi tre elementi per attribuire le classi di attitudine agli oggetti della valutazione, ad esempio tipologie pedologiche o unita cartografiche.

Questo obiettivo viene tradizionalmente raggiunto mediante una tabella (matching table o lookup table) dove vengono messi a confronto i requisiti di un determinato tipo di utilizzazione con le qualità delle unità di terre.

Cagliari, gennaio 2015
*Prof.Dr. Geol. Sergio Vacca
Scientist and consultant of Soil Science
Past Professor of Pedology
University of Sassari
Honorary Doctor of Soil Science
Academy of Sciences of Bulgaria

 

2 Comments

  1. Giovanni Monaci

    Grazie Sergio per l’apprezzamento alla nota redatta dallo STIR Cagliari del CFVA. Le tue parole mi fanno onore. E’ desolante assistere alla desertificazione culturale, questa si esistente, che pervade certi rami del mondo professionale, sempre pronto a vendere le sue improbabili, direi impresentabili, competenze tecniche per avvalorare l’indimostrato.
    E su altri fronti devo purtroppo dire che a tale disonorevole impegno assistiamo prestarsi anche autorevoli esempi del mondo accademico di cui mi sarei aspettato ben altri approcci di tipo tecnico-scientifico.

  2. Sergio Vacca

    Caro Giovanni, grazie per la tua considerazione, ma non ho fatto altro che constatare la realtà. Ho apprezzato molto il documento del CFVA perché realizzato col rigore necessario. Desidero cogliere l’occasione per considerare la realtà di una classe professionale “giustificazionista” come uno dei maggiori insuccessi delle diverse scuole alle quali è affidata la loro formazione. C’è un aspetto, che normalmente non trova ospitalità negli atenei, e riguarda l’etica delle professioni. I docenti spesso ritengono di aver esaurito il loro compito con lo svolgimento dei programmi delle discipline di loro competenza; non si spendono cioè nelle formazione del cittadino, non contribuiscono perciò alla formazione della futura classe dirigente. Questi sono, ahinoi, i risultati.

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