Il racconto del passato tra storia e paristoria La storia inventata: Le “carte d’Arborea” [di Marina Valdès]
La Relazione è stata presentata all’Iniziativa “Alla ricerca della storia perduta”: La trilogia giudicale di Vindice Lecis, organizzata dalla Presidenza FAI Sardegna con la Delegazione ed il FAI Giovani di Cagliari Lunedì 9 febbraio 2015 nella Sala Convegni Fondazione Banco di Sardegna di Cagliari. Il secondo appuntamento è previsto Lunedì 2 marzo alle 16 nella stessa Sala Convegni (NdR). Per la giudicessa Eleonora La vicenda ha inizio. La pergamena “discoperta”. E’ il gennaio del 1845 quando un frate del convento di Santa Rosalia Francesco Maria Manca va dal presidente della Biblioteca universitaria Pietro Martini (noto autore di una Biografia sarda del 1837-38) e gli consegna una pergamena che dice di aver trovato nella casa di suo padre, proveniente dallo studio notarile del suo avo, il notaio Antonio Manca Murtinu di Pattada. Gliela offre per 150 lire. Pietro Martini gliela compra, ma non la sa leggere, per cui si rivolge a Ignazio Pillito che lavora come scrivano all’archivio (statale) patrimoniale, che faceva capo all’Intendenza generale. L’archivio patrimoniale conservava i documenti aragonesi e spagnoli di natura patrimoniale che ancora erano utili per la definizione dei riscatti feudali. Pillito “valentissimo leggitore di documenti antichi” come lo definisce il Martini (ma la sua “mirabile competenza” storica, linguistica e paleografica gli è ancora riconosciuta) legge e trascrive il documento. Il contenuto fa scalpore. Si tratta di lettere confidenziali, databili intorno al 1365, scritte in latino al giudice d’Arborea Mariano IV da Torbeno Falliti. Contiene anche poesie in sardo dello stesso Falliti in onore di Mariano e dei suoi figli, cioè Ugone e, soprattutto, Eleonora, consegnata al mito, come abbiamo letto, di giudicessa guerriera, di “leonessa” –come la definisce Falliti- che, sul suo cavallo e la lancia in resta, sprona le truppe e si lancia nella mischia contro i vili Aragonesi. Scrive Martini a commento di questo episodio (battaglia intorno al castello di Sanluri) prima sconosciuto: “Bello è dunque poterci internare nei particolari del glorioso fatto d’arme del 28 ottobre 1385, il di cui ricordo, come degli altri, sarebbe perito, se la discoperta Pergamena non ci fosse venuta in soccorso”. Ma chi è Torbeno Falliti? Nel verso della pergamena ce lo spiega, con una lunga ode in versi italiani, il giurista e poeta cagliaritano Francesco Carau, discepolo del Falliti. Altre notizie-shock dalla pergamena ritrovata. Le lettere confidenziali sono quelle che Torbeno Falliti, da Cagliari, inviava a Mariano per informarlo segretamente delle mosse aragonesi, incitandolo alla lotta. Ma non solo. Dato il forte desiderio di Mariano di conoscere la storia del giudicato di Gallura, Torbeno Falliti aggiungeva, in una lettera, il “sommario”, anche questo fortunosamente salvatosi, delle carte dei giudici di Gallura dell’XI secolo Saltaro e Ottoccorre. Scrive Martini al proposito: “E’ d’un prezzo inestimabile quel sommario”. Infatti, oltre a far conoscere i due fino ad allora sconosciuti giudici galluresi, il “sommario” offriva non poche notizie inedite -grazie alle relazioni tra i giudici- anche sui giudici di Torres, Arborea e Cagliari dell’XI secolo. Tra le varie vicende, quella del giudice Saltaro di Gallura che, partito per la Terrasanta con 220 armati, non riesce ad arrivarvi per una tempesta; ripara prima a Cipro, poi a Malta; fortunatamente trova una nave pisana di ritorno dalla Terrasanta e diretta nell’Arborea con a bordo il giudice Torbeno con 3oo armati. Inseriva inoltre un prezioso frammento di una lettera pastorale, in sardo, dell’anno 740, in cui un vescovo sardo dà disposizioni per l’investitura del vescovo di Cagliari Filippo, dopo l’uccisione del predecessore Felice da parte dei Saraceni. E il frammento fa cenno anche a un giudice, non specificato, che avrebbe combattuto in prima linea contro i Saraceni. Questa prima pergamena rivelava dunque notizie eccezionali sui giudicati sardi delle origini e sui vescovi. Ancora svelava l’esistenza, già nel XIV secolo, di una scuola poetica, in sardo e in italiano, alla corte d’Arborea (Torbeno Falliti e Francesco Carau), nonché i primordi dell’epica sarda (Torbeno Falliti, odi in onore dei giudici Mariano IV, Ugone III ed Eleonora). Alla fine, l’autentica del notaio Betto Chelo garantiva trattarsi di una copia, fatta nel 1385, di documenti più antichi, trascritti per volontà di Eleonora. Il che faceva di Eleonora la custode delle “memorie patrie”. Pietro Martini, nel pubblicare la I pergamena si augurava che altre scoperte portassero ulteriori novità. E non fu deluso. Il ritrovamento del 1847. Nel luglio del 1847 lo stesso frate Manca mostra a Pietro Martini altre 6 pergamene. Il prezzo è alto (600 lire) e la trascrizione del Pillito richiede ulteriori 500 lire. Fortunatamente una colletta sottoscritta anche dall’Arcivescovo di Cagliari permette al Martini l’acquisto e la trascrizione. La II pergamena. E’ quella che contiene il cosiddetto “ritmo di Gialeto” (che, poi, si sarebbe scoperto essere stato scritto dal poeta Deletone, per cui è anche noto come “ritmo di Deletone”) della fine del secolo VII. In 174 latini si cantano i Sardi che, guidati da Gialeto, si sarebbero ribellati ai Bizantini e avrebbero dato origine ai quattro giudicati. Gialeto, dopo la vittoriosa rivolta, avrebbe tenuto per sé il giudicato di Cagliari, distribuendo fra i suoi tre fratelli il resto dell’Isola. La III pergamena. Contiene una canzone italiana e una canzone “sardesca” del poeta Bruno de Thoro della prima metà del XII secolo. La Sardegna -se ne può dedurre- è la culla dell’italiano letterario. Lo confermeranno le scoperte successive. Altri documenti scoperti tra il 1849 al 1862. Dal 1849 al 1862 furono scoperte altre pergamene, codici e documenti vari, pubblicati sempre da Pietro Martini nel 1863, cui seguì un’appendice nel 1865. Fra questi sono i codici di Gherardo da Firenze e Aldobrando da Siena (XII secolo), dalla cui scuola sarebbero usciti gruppi di poeti che avrebbero trovato il loro cenacolo alla corte di Costantino I di Arborea. Il “memoriale di Eleonora”. Come non era originale la I pergamena del 1845, così nessun documento ritrovato era originale. Si trattava in tutti i casi di copie, volute da Eleonora, per custodire le memorie patrie dall’ origine dei giudicati. Tali documenti –secondo gli autori- sarebbero andati dispersi dopo la conquista del marchesato di Oristano da parte degli Aragonesi e, forse, conservati in un convento oristanese, da cui sarebbero stati sottratti. Misteriosamente sarebbero stati ritrovati 400 anni dopo, appunto ai tempi del Martini e del Pillito. Perché falsari? Una vasta letteratura spiega i motivi, anche quelli meno nobili, della colossale falsificazione che, tra fautori e detrattori, tiene impegnata la storiografia sarda per gran parte della seconda metà dell’Ottocento. Tra le volontà più “nobili” che animano i falsari sono riconosciute: La fortuna. Gli storici del tempo vi prestano fede quasi tutti, tranne il Manno e il Tola e, nonostante le non poche perplessità, anche l’Accademia delle Scienze di Torino, grazie a Della Marmora e a Baudi di Vesme, accoglie come vere le testimonianze rivelate dalle “carte”. Fine dell’illusione. Per far cessare ogni dubbio, il Baudi di Vesme, convinto sostenitore dell’autenticità delle “carte”, interpella lo storico Theodor Mommsen, affinchè l’Accademia delle Scienze di Berlino esprima il proprio giudizio in merito. Nel 1870 esce la relazione del paleografo Philip Jaffé ed è una stroncatura solenne: la qualità delle falsificazioni è pessima -dice- e queste sono state eseguite da contemporanei. L’isola è visitata nel 1877 dal Mommsen, che sta predisponendo il Corpus Inscriptionum Latinarum. Nella prefazione al X volume (relativo alla Sardegna) indica Pietro Martini come complice dei falsi e il Pillito , “paleographus” (tra virgolette) “interprete sagacissimo di quanto egli stesso aveva scritto”. Wendelin Forster, filologo dell’Università di Bonn, venuto in Sardegna nel 1894, dopo aver studiato l’intero corpus delle “carte”, presenta le sue conclusioni a Roma nel 1903, dimostrando la simultaneità della compilazione dei falsi. Bibliografia |