Il racconto del passato tra storia e paristoria. Il senso dell’insegnamento della storia [di Olivetta Schena]
La Relazione è stata presentata all’Iniziativa “Alla ricerca della storia perduta”: La trilogia giudicale di Vindice Lecis, organizzata dalla Presidenza FAI Sardegna con la Delegazione ed il FAI Giovani di Cagliari Lunedì 9 febbraio 2015 nella Sala Convegni Fondazione Banco di Sardegna di Cagliari. Il secondo appuntamento è previsto Lunedì 2 marzo alle 16 nella stessa Sala Convegni (NdR). Nel nostro Paese, “la storia si manifesta alle nuove generazioni nella straordinaria sedimentazione di civiltà e di società leggibile nelle città, piccole e grandi che siano, nel paesaggio, nelle migliaia di siti archeologici, nelle collezioni d’arte, negli archivi, nelle manifestazioni tradizionali che investono insieme lingua, musica, architettura, arti visive, manifatture, cultura alimentare e che entrano nella vita quotidiana. La Costituzione stessa, all’articolo 9, impegna tutti, e dunque in particolare la scuola, nel compito di tutelare questo straordinario patrimonio”. Questo leggiamo nelle istruzioni ministeriali del 2012 per la Scuola primaria, in un capitolo dal titolo accattivante, ma forse un po’ pomposo: Il senso dell’insegnamento della STORIA. Come docente dal marzo 2002 di Storia Medievale nel corso di laurea in Scienze della formazione primaria mi sono da subito posta dei quesiti. Come formare i futuri maestri e maestre che dovranno far vivere la storia in classe e fuori? Quanta importanza attribuire alla formazione storica di coloro ai quali chiediamo di far nascere la curiosità verso il passato e arricchire il senso e la conoscenza della storia? Non molta, si direbbe guardando la situazione attuale nei corsi universitari di Scienze della formazione primaria. Il riordino di questi corsi, dopo il ritorno al maestro unico sancito dalla riforma Gelmini del 2009, prevede un certo numero di cosiddetti “crediti formativi” di discipline storiche. In primo luogo, però, il loro aumento da 8 a 16 nel nuovo percorso quinquennale costituisce un rafforzamento solo apparente, dato che l’area storico-geografica rimane debolissima, come tutti gli insegnamenti disciplinari. Inoltre, pochissime Università hanno organizzato corsi integrati dall’antichità al contemporaneo. In alcune gli insegnamenti sono a scelta dello studente, nella maggior parte si impone questo o quello. Calcoli economici, pensionamenti, rigidità burocratiche, diverso inquadramento disciplinare degli insegnamenti, talvolta qualche sospetto e competizione tra settori disciplinari e tra Dipartimenti universitari spingono troppo spesso a soluzioni di ripiego. Possibile che non si possa fare uno sforzo di creatività e di impegno di tutta l’Università – dai docenti ai rettori fino al Ministro – per trovare le risorse e offrire una formazione di maggior respiro? Possiamo permetterci, come cittadini e come storici, che sia trascurata la preparazione storica degli insegnanti del primo ciclo? Non si tratta di immaginare impossibili programmi omnicomprensivi né, viceversa, di distillare nozioni in pillole lungo tutto l’arco della storia universale, ma di creare percorsi stimolanti attraverso i periodi e i temi, di introdurre i futuri maestri ai principali aspetti della ricerca dei vari settori, di presentarne tendenze comuni e problemi specifici, di fornire delle indicazioni e degli strumenti didattici per i diversi periodi per metterli poi in grado di organizzare al meglio la loro attività. Di far vivere la storia con competenza e di guidare i bambini alla scoperta delle loro città, del paesaggio, del patrimonio culturale e storico-artistico. A questo proposito, è imprescindibile creare una sinergia con le discipline delle arti. Le indicazioni ministeriali individuano nella tutela dei beni storici e artistici una delle finalità principali dello studio della storia a scuola. Gli insegnanti dovrebbero dunque essere formati per questo compito così importante. Tuttavia, se tutti i corsi di Scienze della formazione primaria hanno giustamente un insegnamento di storia della musica, solo una minoranza prevede insegnamenti storico-artistici, gli altri privilegiano quello tecnico del disegno. Possibile che non si possa includere entrambi ovunque? Se, come ricordano le indicazioni ministeriali del 2012, nel nostro Paese “la storia si manifesta alle nuove generazioni nella straordinaria sedimentazione di civiltà e di società leggibile nelle città …nel paesaggio, nelle migliaia di siti archeologici, nelle collezioni d’arte, negli archivi, nelle manifestazioni tradizionali”, la storia e la storia dell’arte sono complementari e si rafforzano mutualmente: attraverso l’osservazione delle tracce materiali del passato i bambini, ma anche gli studenti della scuola Media e delle Superiori, scoprono la storia, e attraverso la storia imparano a capire, amare e tutelare il patrimonio. Qui finisce il mio personale chaier de doleance di docente universitaria in un Corso di Laurea, a numero chiuso programmato, a ciclo unico e, dulcis in fundo, abilitante (ovvero i nostri laureati entrano quasi subito nel mercato del lavoro), che personalmente ritengo fondamentale nella formazione di un individuo, anche e, vorrei dire, soprattutto grazie all’insegnamento della storia: insegnamento che può essere trasmesso in vario modo, quindi anche attraverso il romanzo storico, che è cosa diversa dalla storia romanzata, in quanto frutto di un lavoro di ricerca attento e intellettualmente onesto, come quello condotto da Vindice Leccis per la stesura della sua “coinvolgente” trilogia nella quale riviviamo l’originale, ma per troppi ancora “sconosciuta” civiltà giudicale. L’importanza nella formazione di ogni individuo, di ogni fascia d’età e di ogni estrazione sociale, della conoscenza storica è imprescindibile, in quanto, come scriveva Marc Bloch nel lontano 1967 (Apologie pour l’histoire ou métier d’historien) “L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Ma è pur vero che non si è in grado di comprendere il passato se non si conosce il presente”. Recuperare la propria storia è in fondo il mezzo più idoneo per recuperare il proprio senso di appartenenza. Ma, come scrive Adriano Prosperi (Cause perse. Un diario civile, Torino 2010) in tempi a noi più vicini, “La storia è scienza difficile, richiede che le passioni tacciano e che lo sguardo acquisti la lucidità di chi può e vuole solo capire”. Acquisire una buona conoscenza degli aspetti generali della storia e degli strumenti attraverso i quali si “scrive” la storia: è questo, forse, il vero senso della storia.Attraverso lo studio delle fonti, vere radici della storia, stimolare gli allievi di oggi, che saranno gli insegnanti di domani, a fare in modo che i loro alunni non apprendano tanto le cognizioni, cioè il “sapere”, quanto in primo luogo le competenze e le abilità per raggiungerle, cioè il “saper fare” per far sì che “apprendano ad apprendere” che “imparino ad imparare”. Riferirsi, orientarsi, identificarsi per poter cambiare e crescere più liberamente e consapevolmente, raccordando passato, presente e futuro, sono esigenze che hanno sentito tutte le generazioni umane, ma che oggi sono amplificate da un’inedita accelerazione. I comportamenti, le scale di valore e i contesti ambientali hanno subito negli ultimi tempi trasformazioni tanto consistenti e rapide da rendere urgenti e indispensabili correzioni e adeguamenti su tutte le modalità di trasmissione della cultura e di formazione delle nuove generazioni, nell’intento di dotarle della consapevolezza e delle cognizioni necessarie a raccontare con responsabilità e accortezza passato, presente e futuro. Cercare di conoscere e comprendere il passato per vivere meglio il presente e progettare più consapevolmente il futuro: è su queste motivazioni e finalità che oggi si può perseguire un apprendimento attivo ed utile della storia. *Docente di Storia Medievale. Università di Cagliari |