Riforma delle politiche tributarie: a che punto siamo? [di Marco Causi]

tasse

Le distorsioni e le inefficienze del sistema tributario italiano da superare con il processo di riforma in corso sono riconducibili a due grandi capitoli: disegno del sistema tributario e amministrazione delle imposte. In questa nota faccio il punto di “metà legislatura” sulle azioni avviate e su quelle da programmare per i prossimi mesi. La nota è una rielaborazione del documento che ha fatto da base alla sessione dedicata al fisco, svoltasi il 9 marzo, nell´ambito degli incontri fra il Gruppo parlamentare del PD e il Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Per quanto riguarda il disegno del sistema tributario (tax design) la situazione è ben nota. La tassazione sul lavoro (prima della legge di stabilità 2015) è la più alta dell´UE, con un saggio implicito di tassazione del 42,8 per cento contro una media UE del 36,1 per cento. Anche la tassazione sui redditi d´impresa (25,9 per cento) è elevata, la terza in ordine decrescente nell´UE. Di converso, è bassa la tassazione sui consumi, con un saggio implicito del 17,7 per cento contro una media UE del 19,9 per cento. Le imposte patrimoniali, pari al 2,5 per cento del PIL, sono cresciute al di sopra della media UE in seguito alle misure del 2012 (IMU, bollo sui conti bancari e finanziari).

E´ alta l´evasione fiscale, la cui stima ufficiale (elaborata per la prima volta nell´ottobre 2014) è di 91 miliardi, di cui 40 sull´IVA e 44 sulle imposte dirette. Il gap fra gettito IVA teorico e gettito effettivo (32 per cento) è il terzo più alto nell´UE. E´ alta l´erosione fiscale, e cioè la contrazione di gettito legale derivante dai regimi di agevolazione, stimata ufficialmente nella legge di stabilità 2015 in 161 miliardi, uno dei valori più elevati dell´OCSE.

Anche per quanto riguarda l´amministrazione delle imposte (tax implementation) i problemi sono conosciuti e strutturali. Il costo amministrativo per ottemperare ai doveri tributari è molto elevato. Secondo stime UE per una PMI italiana sono necessarie 269 ore di lavoro all´anno contro 179 nella media UE, quasi il 50 per cento in più. Le frequenti variazioni alla legislazione tributaria minano la stabilità e la prevedibilità dell´ambiente in cui le imprese operano, e questo rende più difficili le decisioni di investimento. La normativa in alcune aree è contraddittoria (ad esempio: elusione fiscale e abuso del diritto) e anche questo rende più incerto l´ambiente per le imprese e per le decisioni di investimento.

Nell´amministrazione prevale l´approccio di intervenire ex post, in sede di verifica, e non si sono sviluppati i nuovi metodi proposti dall´OCSE per l´intervento ex ante, attraverso sistemi di tutoraggio e di collaborazione cooperativa (cooperative compliance), nonché attraverso l´uso ottimale delle informazioni in possesso della stessa amministrazione. Il sistema della riscossione da ruoli, nonostante la riforma del 2005, mostra gravi carenze, come dimostra il fatto che nell´arco dell´ultimo decennio le somme effettivamente riscosse sono circa il 12 per cento di quelle caricate. Seppure in lieve riduzione, il contenzioso è molto ampio e il numero di procedimenti pendenti presso la giustizia tributaria è di circa 633 mila. In un terzo dei casi il giudice dà ragione al contribuente, ma la percentuale sale al 45 per cento nei giudizi di merito.

Ritardi storici si sono accumulati nell´adeguamento e nella modernizzazione di alcuni strumenti fondamentali per l´efficienza e l´equità del sistema tributario, primo fra tutti il catasto. La “macchina” dell´amministrazione (Agenzie fiscali, SOGEI, Equitalia) è stata trascurata durante gli anni dell´Italia berlusconiana, e necessita urgentemente di una nuova attenzione sul piano dell´organizzazione, delle procedure, della formazione dei dirigenti, delle tecnologie.

Il processo di riforma sta avanzando lungo due direttrici: la prima, relativa al tax design, è attuata tramite provvedimenti ordinari, e soprattutto con la legge di stabilità 2015; la seconda, relativa alla tax implementation, è attuata tramite lalegge di delega fiscale approvata nel marzo del 2014. Tuttavia, fra le due direttrici ci sono incroci e complementarietà.

Tax design per la crescita: meno imposte su lavoro e impresa. Il “bonus” 80 euro, anche se contabilizzato come spesa, è in realtà una riduzione IRPEF per il lavoro dipendente con retribuzioni basse e medio-basse (quasi 10 miliardi). Per la UE si tratta, sul piano economico, di un “tax credit“. La misura ha già avuto effetti quantificati e rilevati sul reddito disponibile. Per i suoi effetti sui consumi bisogna tenere conto che i consumi si muovono con qualche mese di ritardo a fronte di variazioni del reddito disponibile percepite come permanenti: poiché la misura è stata resa permanente a partire da gennaio 2015, gli effetti cominceranno a farsi vedere nei prossimi mesi. La Commissione Europea sottolinea che la misura è importante anche per un altro aspetto, disconosciuto dal dibattito italiano: “could have also a positive impact on labour demand and competitiveness in the medium-to-long term to the extent that it translates into lower wage claims” (pag. 69).

Riduzione delle imposte sulle imprese: 5,6 miliardi sull´IRAP con la deduzione del costo del lavoro per i contratti a tempo indeterminato. La Commissione Europea stima che la somma di questa misura con il bonus Irpef abbassa la tassazione implicita sul lavoro di 1,5 punti, riducendo nella misura di un quarto il gap italiano al confronto con la media europea. Questo vale in generale, ma naturalmente gli effetti sono più rilevanti per le retribuzioni basse e medio-basse: Banca d´Italia stima che per questi livelli retributivi (usando una mediana di 20 mila euro) le due misure della legge di stabilità 2015 abbassano il cuneo fiscale del 4,6 per cento, quasi azzerando il gap italiano con la media UE. Per le imprese va ricordato che alla riduzione IRAP si aggiunge la riduzione IRES determinata dall´ACE, e cioè dal regime di tassazione agevolata per gli utili portati a patrimonio d´impresa introdotto nel 2012, grazie al quale alla fine del 2014 le imprese hanno beneficiato di una riduzione d´imposta per circa 4 miliardi.

Esenzione dal pagamento dei contributi sociali per tre anni per i dipendenti assunti nel 2015 con contratti a tempo indeterminato. In combinazione con l´entrata in vigore delle nuove normative contrattuali per il lavoro dipendente introdotte con il Job´s Act è prevedibile che queste misure sostengano la domanda di lavoro. Andrà valutato quanto di questo sostegno si tradurrà in aumento netto della domanda di lavoro e quanto in trasformazione di rapporti di lavoro già esistenti con forme contrattuali atipiche o a tempo determinato.

E´ essenziale che questa strategia continui in futuro, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica. Nel triennio di riferimento della legge di stabilità essa è finanziata con aumenti di IVA e accise e con riduzioni di spesa. Aumenti delle imposte indirette per finanziare riduzioni del carico fiscale su lavoro e imprese sono coerenti con l´obiettivo di modificare le attuali distorsioni del tax designitaliano. Riduzioni di spesa sono coerenti con l´obiettivo di evitare il dilemma del “moltiplicatore del bilancio in pareggio” − e cioè il fatto che riduzioni contemporanee di imposte e di spesa pubblica si elidono a vicenda e che anzi l´impatto macroeconomico può essere negativo per il ruolo “moltiplicativo” della spesa pubblica − se tali riduzioni si concentrano sulle spese pubbliche più inefficienti e meno produttive e salvaguardano invece quelle che esercitano i maggiori impatti sulla crescita (istruzione, innovazione, ricerca e sviluppo, progetti infrastrutturali essenziali per la produttività di sistema).

La legge di stabilità 2015 contiene due misure di rilievo per la lotta all´evasione e per la deflazione del contenzioso: la piena utilizzabilità da parte dell´Agenzia delle entrate dei dati relativi ai movimenti sui conti bancari e finanziari (che completa una norma introdotta nel 2012 ma ancora non operativa); un ravvedimento operoso particolarmente conveniente. Queste misure hanno una connessione con altri importanti processi in corso: la fine del segreto bancario, sancita dall´accordo multilaterale di Berlino a partire dal 2017 e anticipata da una serie di accordi bilaterali che l´Italia sta firmando con paesi che vogliono uscire dalla black list, a partire dalla Svizzera; la collaborazione volontaria (voluntary disclosure) introdotta dalla legge sul rientro dei capitali, estesa non solo ai capitali detenuti all´estero ma anche a quelli nascosti in Italia.

Se questi strumenti potranno intrecciarsi con un recupero di fiducia da parte dei contribuenti e di credibilità da parte dello Stato, mentre si riducono le imposte su lavoro e impresa e, con l´attuazione della delega fiscale, si semplificano e modernizzano le relazioni fra contribuenti e amministrazione tributaria, si può pensare al 2015 come all´anno in cui si chiude con il passato e si costruisce in Italia un nuovo “patto fiscale“, basato su due parole d´ordine: da un lato “fisco amico“, dall´altro “trasparenza del contribuente”.

Problemi rimasti aperti dopo la manovra 2015 e nuovi temi in agenda. Mentre la struttura fondamentale, e più rilevante sul piano dell´impatto, della manovra 2015 è corretta, è stata “promossa” dall´UE e non mancherà di esercitare effetti positivi nel corso dell´anno, difficoltà e criticità sono emerse su due versanti, se si vuole, più “laterali“, ma non meno importanti, che andranno risolti lungo il 2016.

Il primo è il nuovo regime dei minimi forfetari. “Estratto” dalla delega fiscale e messo in legge di stabilità, rappresenta un tassello importante per semplificare e ricostruire un rapporto positivo con il fisco per una vasta platea di lavoro autonomo (partite IVA). Tuttavia, avendo ricompreso nel nuovo regime generale il precedente regime destinato soltanto ai giovani, il suo disegno si è scontrato con la questione contributiva, la quale assume un rilievo ben diverso se si parla di giovani (che devono assolutamente costruirsi una posizione contributiva) o di meno giovani (che possono anche farne a meno, se già ne hanno una).

La questione è stata risolta temporaneamente mantenendo la vigenza del precedente regime, ma aspetta una soluzione definitiva. Sarebbe importante trovarla contemporaneamente all´introduzione della nuova imposta sul reddito d´impresa (IRI), prevista dalla delega fiscale, che interviene sulla platea del lavoro autonomo più strutturato, quella insomma che viene subito oltre il “popolo delle partite IVA”, e cioè le imprese che non hanno la forma di società di capitale. L´IRI abbatte la tassazione per gli utili che restano all´impresa, e favorisce così − al pari dell´ACE per le società di capitale − il processo di rafforzamento patrimoniale.

Il secondo è il fisco comunale, soprattutto in relazione alle vicende dell´IMU, dell´IMU agricola e del perdurante assetto provvisorio e altalenante dei rapporti finanziari fra i diversi livelli di governo e della fiscalità locale e regionale. E´ necessario usare i prossimi mesi per progettare la Local Tax e metterla a regime dal 2016. Con il nuovo tributo comunale si dovrebbe cercare di risolvere due questioni non marginali di tax design: ridurre il peso dell´imposta patrimoniale per i fabbricati produttivi (nessun paese tassa in modo così pesante, con una patrimoniale, gli immobili produttivi delle imprese), introducendo la deducibilità dell´imposta dal reddito d´impresa; superare l´inefficiente sovrapposizione di decisioni autonome e non coordinate sull´IRPEF da parte di Comuni e Regioni.

Nei mesi passati ci si era mossi − sulla falsariga di varie proposte avanzate negli anni passati − con l´idea di assorbire nella Local Tax l´addizionale IRPEF comunale. A ben pensarci potrebbe essere valutata un´altra strada, e cioè di abolire l´addizionale IRPEF regionale, sostituendola con un´opportuna rimodulazione delle compartecipazioni regionali all´IVA. Nell´agenda di lavoro sulle politiche tributarie dovranno trovare spazio alcuni nuovi temi. Ne metto in evidenza tre.

Crediti deteriorati delle banche. A causa della prolungata recessione dell´economia i crediti deteriorati (non performing loans) nei bilanci delle banche hanno raggiunto nel terzo trimestre del 2014 il 16,6 per cento, triplicando rispetto al 2008. Le sofferenze bancarie ammontano a 177 miliardi. Si tratta di uno dei problemi più rilevanti e prioritari da affrontare nei prossimi mesi, e non a caso il Country Report sull´Italia vi dedica un intero capitolo e un focus di approfondimento. Con bilanci bancari così compromessi si rischia che i segna

li di ripresa in corso siano soffocati dal credit crunch: finora il razionamento del credito ha operato su una domanda fiacca da parte delle imprese, depressa dalla crisi, sarebbe drammatico se dovesse operare invece su una domanda che riprende a crescere, soffocando la ripresa. Le soluzioni sono in corso di analisi da parte del Governo e di contrattazione con l´UE. Va valutato il possibile contributo dello strumento tributario, visto che la disciplina italiana della deducibilità delle perdite e delle svalutazioni dei crediti bancari è una delle meno favorevoli d´Europa (vanno spalmati in cinque anni). Una modifica in questa direzione − in simultanea con altri interventi − non dovrebbe porre problemi in materia di concorrenza, diversamente da altri eventuali strumenti.

Riordino dei regimi di agevolazione fiscale, soprattutto in materia di IVA. Le agevolazioni IVA esistenti in Italia, sotto forma di aliquote ridotte ed esenzioni, valgono il 45 per cento del potenziale gettito dell´imposta, contro una media UE del 36 per cento. Se si recuperasse soltanto la metà di questo gap, il gettito aumenterebbe di circa 10 miliardi. Sarebbe molto più equo ed efficiente agire in questa direzione piuttosto che far scattare le clausole di salvaguardia: si tratta, sul lato delle entrate, della stessa differenza che, sul lato delle spese, c´è fra tagli selettivi e tagli lineari. Si potrebbero anche trovare risorse aggiuntive per finanziare ulteriori riduzioni del cuneo fiscale.

La delega fiscale era stata predisposta per questa operazione, in modo da realizzarla senza passare dall´aula del Parlamento ma soltanto dalle Commissioni con parere non vincolante. A questo punto, però, o si fa entro giugno oppure si perde l´opportunità di utilizzare la delega. Riorganizzazione della tassazione ambientale: è un punto sollevato dal Country Report 2015, dove si rileva che la tassazione ambientale in Italia, pur superiore alla media europea, è tuttavia sbilanciata sulle accise e ha ancora una componente molto marginale di strumenti legati al consumo di risorse e alla produzione di inquinamento. Anche su questo versante la delega fiscale era fungibile, ma credo che ormai sia troppo tardi per usarla come veicolo.

Tax implementation: la delega fiscale e altro. Il Country Report segnala che l´attuazione della delega fiscale “is progressing slowly“. In effetti, la delega rischia di non essere attuata nella sua totalità. E´ un peccato per tre motivi almeno. Primo, fin dal 2012, da quando ne è cominciato l´iter, l´UE ha considerato la delega fiscale uno dei principali punti di riforma strutturale per far tornare l´Italia a crescere.

Secondo, la delega è tarata per un amplissimo arco di interventi (ad esempio, il già citato riordino delle agevolazioni fiscali) che sarebbe molto più difficile e pericoloso attuare con strumenti legislativi che devono passare per il voto delle aule parlamentari, e che invece possono trovare un percorso più “protetto” nell´esame da parte delle Commissioni Finanze ai fini dell’espressione di un parere (peraltro non vincolante, anche se finora il Governo ha tenuto fede al “patto” politico di recepire sempre le proposte di modifica avanzate dalle Commissioni).

Terzo, la delega è il risultato di un equilibrio politico molto importante, poiché è nata dall´iniziativa parlamentare ed è passata in Parlamento senza alcun voto contrario. E soprattutto perché contiene al suo interno tanti punti di innovazione e di possibile mediazione fra approccio “pro-contribuente” e approccio “pro-Stato“: un vero e proprio passo avanti nella cultura politica italiana, abituata invece a dividersi costantemente fra guelfi e ghibellini, nel nostro caso fra iper-garantisti e iper-giustizialisti. Lo schema di decreto sulla riforma del catasto è pronto da alcune settimane, le schede tecniche di attuazione sono state pubblicate da tempo sul sito dell´Agenzia delle entrate, è stata conclusa un´ampia consultazione che ha trovato l´accordo con tutte le categorie e gli stakeholders interessati. Si tratta di una riforma storica, che innova su metodologie e strumenti fissati nel lontano 1939.

La decisione di stabilire che il principio di parità di gettito si attua a livello comunale ha ridotto ogni preoccupazione sulla possibilità che da questa riforma derivino aumenti d´imposta, tanto che perfino Confedilizia non protesta (è la prima volta da sempre, in tema di catasto). Certo, da questa decisione discende una riduzione dell´impatto della riforma in termini di equità e di efficienza orizzontale (fra le diverse parti del paese). Tuttavia, per attuare questa riforma ci vorranno cinque anni, e quindi nessun impatto è prevedibile nell´arco di questa legislatura e ci sarà tutto il tempo in futuro, anche sulla base di dati reali e non immaginari, per tarare l´atterraggio dei nuovi valori catastali.

Penso che lo schema di decreto possa venire al più presto in Parlamento, anche senza attendere gli altri: anzi è meglio, per organizzare in modo efficiente il lavoro parlamentare, che gli schemi di decreto arrivino con un certo scaglionamento. La delega, scritta sui principi OCSE, confrontata con la legislazione storicamente vigente in Italia ha un orientamento “pro-business” e “pro-certezza del diritto“. E questo è un bene, perché può permettere di migliorare l´ambiente economico, ridurre l´incertezza sulle decisioni di investimento, ridurre le aree di discrezionalità dell´amministrazione fiscale e spingere questa amministrazione ad una forte innovazione di metodi, procedure, organizzazione. In fase di attuazione è necessario curare in modo molto attento che l´equilibrio venga mantenuto, ed evitare che il pendolo venga spostato in modo non ragionevole da un lato o dall´altro.

La ricaduta “pro-business” e “pro-certezza del diritto” emerge in molte parti della delega. Ad esempio, nella nuova formulazione generale dell´abuso del diritto, con una chiara distinzione fra quello che l´amministrazione deve dimostrare e quello che il contribuente può opporre, e con la depenalizzazione delle condotte di elusione fiscale.

Per quanto riguarda il penale tributario, la delega prevede la depenalizzazione dei reati tributari minori e la ridefinizione, in chiave pro-contribuente, della dichiarazione infedele e di quella fraudolenta con altri artifizi. Dall´altra parte, prevede anche una definizione più rigorosa della frode fiscale con falsi documenti, in modo da ricomprendervi fattispecie che oggi vengono perseguite tramite lo strumento dell´abuso del diritto. A leggere con attenzione il testo della delega, a mio parere c´è anche spazio per una depenalizzazione delle frodi fiscali di piccola entità, purchè vengano mantenute la pena massima e il principio di proporzionalità (e cioè soglie di non punibilità inferiori a quelle dei reati meno gravi e, naturalmente, una soglia massima in valore assoluto).

E poi: il nuovo istituto della “cooperative compliance“, l´ampliamento delle azioni di tutoraggio e la riforma dell´interpello. E l´allineamento della normativa alle esigenze delle imprese internazionalizzate, che può favorire sia l´internazionalizzazione delle imprese italiane sia l´attrattività dell´Italia per imprese straniere (doppia imposizione, ruling, ecc.). In questo campo, naturalmente, bisogna evitare approcci che favoriscano la delocalizzazione e bisogna restare saldamente ancorati agli standard internazionali, in particolare per ciò che riguarda le procedure di ruling.

L´Italia ha promosso, durante il semestre di presidenza, un´importante iniziativa UE per combattere le aree di elusione delle imprese multinazionali, sarebbe incoerente far muovere la legislazione interna verso un´altra direzione. Il testo sulla “cooperative compliance” è pronto da mesi, e potrebbe essere inoltrato al Parlamento. Anche sulla fiscalità internazionale, a mia conoscenza, esiste un testo pronto da tempo che ha ricevuto l´assenso da parte deglistakeholders istituzionali competenti in materia (Assonime, Confindustria, Abi). Potrebbe essere mandato in Parlamento insieme alla riforma del catasto.

Sul versante semplificazioni la delega ha generato un importante decreto, contenente la dichiarazione pre-compilata e tanti altri miglioramenti (come quello della riforma dell´istituto della responsabilità solidale fra committente e fornitore). La frontiera ulteriore è la fatturazione elettronica − con l´abolizione di molti adempimenti a fini IVA − e lo scontrino elettronico. La delega prevede l´obiettivo di incentivare l´uso dei mezzi di pagamento elettronici, che costano meno e consentono maggiore tracciabilità. In questo campo è in arrivo un regolamento comunitario che abbasserà − e definirà a livello europeo − le commissioni per l´accesso ai sistemi di pagamento elettronici. E´ il caso di aspettare il regolamento per ragionare sulle ulteriori misure che potrebbero essere messe in campo.

La delega consente di intervenire sulle strutture portanti del procedimento tributario, con obiettivi di innovazione, modernizzazione, riduzione dei costi, deflazione del contenzioso: riforma dell´accertamento, riforma del contenzioso, riforma del processo tributario (in parallelo, e in convergenza, con la riforma del processo civile). Si tratta, qui, degli interventi più “pesanti” e complicati sul piano normativo. E´ necessario organizzare in modo serrato e produttivo il lavoro, poiché in caso contrario temo che la scadenza di giugno rischi di non poter essere rispettata.

Per l´attuazione della delega, accanto al circuito di produzione normativa di tipo tecnico-istituzionale (MEF, Dipartimento finanze, Agenzie fiscali) la Presidenza del Consiglio ha attivato un ulteriore circuito produttivo. Di per sé questo non è certo un problema, ma anzi un´opportunità. A condizione però che i due circuiti siano coordinati con fermezza, che si evitino duplicazioni, che i compiti siano assegnati con chiarezza, che esistano sedi in cui, dopo il confronto di merito, si arrivi alla decisione. Non è impossibile: è già stato fatto nella produzione delle norme sul rientro dei capitali, con la sola differenza che la sede di discussione e di lavoro, in quel caso, era il Parlamento.

Due temi di attuazione della delega rivestono specifica sensibilità politica. Primo, la riforma della riscossione. Le iniziative demagogiche per “abolire Equitalia” si contrastano in modo efficace varando la riforma della riscossione e della stessa Equitalia, che deve diventare una vera società “in house” dell´Agenzia delle entrate e dell´Inps, con tutti gli strumenti del “controllo analogo” e del monitoraggio sulla gestione, e deve definitivamente recidere il cordone ombelicale della sua provenienza dal settore bancario per diventare a tutti gli effetti un´Agenzia pubblica. Occorre stabilizzare il settore della riscossione locale, in partenariato con Anci; introdurre procedure di riscossione più “leggere” e meno costose per gli importi di piccola entità; e infine cambiare nome a Equitalia.

Secondo, la riforma dei giochi pubblici. Questo decreto legislativo sarà il primo vero e proprio Testo Unico in materia di giochi pubblici mai redatto e supererà un quindicennio di legislazione estemporanea, causale, non coordinata, il cui effetto è stato di far crescere questo settore in modo disordinato e scomposto, tanto da generare un legittimo allarme sociale nelle nostre comunità. Con il decreto si apre una fase nuova, volta alla concentrazione e razionalizzazione dell´offerta di gioco pubblico, garantendo gli obiettivi in termini di salute pubblica e di ordine pubblico, senza cedere però alla campagna proibizionistica, per evitare di spostare il fatturato del settore a vantaggio dell´offerta fuori concessione statale, sia quella legale sia quella illegale.

C´è lavoro da fare anche al di fuori della delega. Almeno in due aree principali. Primo, investimento organizzativo sulle Agenzie fiscali, e valutazione della riforma del 2012 che le ha ridotte da quattro a due. L´attuazione della delega implica una rivoluzione all´interno delle Agenzie, e soprattutto dell´Agenzia delle entrate (responsabile anche della riforma del catasto). “Fisco amico” significa più prevenzione e meno repressione, più consulenza e meno controllo formalistico. Nell´ambito della riforma della pubblica amministrazione è necessario tenere conto delle specificità tecnico-professionali delle Agenzie, in particolare per i processi di reclutamento e di formazione del personale dirigente. La stessa attenzione va prestata a SOGEI, la quale è un perno vitale della riforma: se SOGEI non dovesse riuscire a mettersi all´altezza della sfida, tanti obiettivi di innovazione potrebbero cadere (dalla precompilata alla fatturazione elettronica, dalla lotta all´evasione attraverso la tracciabilità alla gestione di tutte le nuove procedure in cui è l´amministrazione a dover trovare ed elaborare le informazioni, liberando i contribuenti da inutili adempimenti).

Secondo, presidiare ed esercitare il massimo di presenza e proattività nelle diverse sedi internazionali in cui si definiscono importanti regolamentazioni tributarie per il futuro. In ambito OCSE-G20, dopo l´adozione dei Common Reporting Standards che hanno aperto la strada alla fine del segreto bancario, il dossier da seguire è BEPS (Base Erosion Profit Shifting), da cui deriveranno le nuove regole per la tassazione delle imprese multinazionali, in particolare nel settore dell´economia digitale, con l´obiettivo di contrastare i fenomeni di elusione. In ambito UE, va sostenuto al più alto livello politico il dossier relativo all´armonizzazione delle basi imponibili per le società, che la presidenza italiana del secondo semestre 2014 è riuscita a rimettere in moto.

*Professore di Economia politica, Facoltà di Economia “Federico Caffè”, Università Roma Tre. Deputato PD.

 

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