Raccontocrazia [di Raffaele Deidda]

FI IN FIBRILLAZIONE, BERLUSCONI PRENDE TEMPO SU LISTE

Nella comunicazione politica il racconto (storytelling) rappresenta una componente strategica che svolge la funzione di trasferimento di valori e di obiettivi, utili a costruire identità. Sviluppa una storia persuasiva che identifica un partito, un leader, un governo. Se accompagnato da adeguati contributi emozionali, il racconto può davvero trasformarsi in un potente strumento di comunicazione.

E’ cosa ben diversa dal fornire numeri, dati. E’ una storia che coinvolge, spesso seduce, attraverso i sentimenti e le emozioni. Attribuisce alle persone un’identità nel dire loro chi sono, definisce i loro obiettivi, fa loro acquisire l’immagine di quello che vogliono essere, indica il percorso per soddisfare le aspirazioni, offre una visione positiva del futuro che riscatta da un passato negativo.

Lo storytelling stimola azioni politiche concrete ed efficaci e incentiva la partecipazione dei cittadini. L’informazione presentata sotto forma di narrativa viene inoltre ricordata più facilmente (lo si sa fin da bambini e lo si conferma da adulti) e attiva meccanismi di buona predisposizione nei confronti di chi la attua. E’ stato proprio lo storytelling a fare di Ronald Regan un grande comunicatore. Lo slogan della sua campagna elettorale “It´s morning again in America” preludeva al racconto di una storia riferita ai valori radicati e andati persi che proponeva di recuperare. Anche Bill Clinton era convinto dell’utilità dello storytelling: “Quando mi sono impegnato in politica ho sentito che il punto fondamentale del mio lavoro era quello di dare alla gente l’opportunità di avere storie migliori”. Così Barack Obama: “With the right words, everything could change” .

Perchè, quindi, il termine “Raccontocrazia” che sembra definire negativamente l’uso di uno strumento di comunicazione la cui efficacia sembra essere conclamata? La risposta viene fornita da Christian Salmon, lo scrittore francese autore del libro “La cerimonia cannibale della performance politica”. Sostiene Salmon che molti leader politici, dipendenti da “altri” poteri, sono divenuti schiavi del loro stesso racconto, mentre la riproposizione della loro storia attraverso la savraesposizione mediatica ne consuma la credibilità. Così è successo a Berlusconi e lo stesso potrebbe succedere a Renzi il quale, sostiene Salmon, è andato oltre: “Ha fatto dello storytelling non solo una tecnica di comunicazione, ma un programma di governo”.

Senza nulla togliere all’autorevolezza dello scrittore francese, la maggior parte degli italiani questo l’aveva già capito, anche quelli che si definiscono “renziani” e sostengono il premier. Per diversi motivi, non ultimo quello del carro su cui viaggia a gran velocità il vincitore e su cui è comunque conveniente stare. Il “racconto” di Renzi è incentrato soprattutto sull’autostima avendo forse anche lui, come la ministra Boschi, il conterraneo Amintore Fanfani come modello. Una certa arroganza (me ne farò una ragione…), l’insofferenza per le lungaggini parlamentari che rallentano il “suo” percorso, la convinzione di essere, come riteneva Fanfani, il miglior medico possibile per curare e far guarire un’Italia moribonda. Tanto da aver conquistato Palazzo Chigi con l’assassinio politico di un premier del suo stesso partito.

La sensazione è che il racconto di Renzi non sia rivolto agli italiani ma a se stesso e che dalla sua logorrea, carica di promesse per lo più non mantenute, il ritorno atteso non sia fatto di storie migliori per la gente ma di consenso verso il sindaco d’Italia che giganteggia fra i mediocri e che, nel definire “di sinistra” la sua azione di governo, consolida di fatto una svolta autoritaria. Quella che i dissidenti del PD continuano a combattere nei convegni, nei talk show televisivi e nelle interviste ai giornali per poi votare in Parlamento, tutti o quasi, qualsiasi cosa che la premiata ditta Renzi & C. presenta da votare.

C’è da chiedersi se i componenti della cosiddetta minoranza Dem del Pd, votati per difendere la Costituzione e non per demolirla, non ritengano invece di doversi richiamare all’art.67 che esclude il vincolo di mandato. Renzi non é stato eletto ma essi si, e devono rendere conto agli elettori del loro operato. A meno che non vogliano continuare ad essere quelle che Salmon chiama “figure effimere” in crisi di credibilità, capaci più di enunciare che di raccontare storie migliori.

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