Immaterialismo culturalista [di Carlo A. Borghi]

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These ghosts. Questi Fantasmi. Eduardo dal balcone insegna all’invisibile professore la giusta procedura per ottenere un vero caffè di casa e di caffettiera napoletana. Quei fantasmi (those ghosts) bevono quel caffè e mangiano ziti napoletani al ragù di Canta Napoli. Così fanno, nonostante l’incorporeità. Non c’è materia senza movimento e viceversa in unione continua di intenti e accadimenti materialistici e dialettici. Il resto è metafisica o metafora, in salsa a specchio di ontologia idealista.
Lo stato delle cose immateriali. La cultura materiale fornisce sostanza di realtà storica alle attività e abilità umane, che si tratti di un capanno preistorico, di un mausoleo, di un super museo o di una processione votiva con un santo o una santa portati a spasso e a spalla. Il concetto di cultura immateriale saltò fuori con l’inizio del terzo millennio e la paura atavica e telematica del millennium bug. Invece del bug arrivò l’epidemia di lingua blu e peste suina africana. L’Unesco, sul comandamento dell’immaterialità ci ha messo il cappello sopra e lo recita qua e là in giro per il mondo per ipnotizzare le comunità.

È un’etichetta che non porta nessun’acqua al mulino della storia e confonde le idee. Il patrimonio immateriale è descritto come le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale.

Così la deriva immaterialista è stabilita per decreto culturalista, anche se ognuna di quelle parole è carica di materia vivente e scalpitante. Viene messa in circolo, ad arte, una bizzarra contrapposizione tra capolavori immateriali e beni materiali. È un punto di vista idealista e sovrastrutturalista che immagina supposti giacimenti culturali immateriali per fantasmi di minatori e viaggiatori in cerca del centro della Terra. Si tenta di confondere la tracciabilità del materialismo storico con orazioni pindariche e sulfurei voli iperuranici, confidando sulla bontà dei sentimenti e sui creazionismi ultramondani. È una forma di narcisismo buona per salotti benculturalisti. È soprattutto una formula da talk show.

Eppur si mangia. Babaluci al sugo. Lumache autoctone siciliane incrociate con escargots di Francia. Si buttano in una pentola con molta mollica di pane. Si chiude la pentola che viene esposta al sole per un paio di giorni. Le lumache escono dal guscio ma non dalla pentola. Si riversano in un tegame con aglio, olio, pomodoro e peperoncino. Per gli osservatori Unesco potrebbe essere un caso di cultura immateriale così come hanno stabilito per l’intera e cosiddetta dieta mediterranea. Le lumache non sarebbero d’accordo ma non hanno diritto di voto. Anche il pane cafone tipico del Meridione potrebbe rientrare nei canoni dell’immaterialità, per non dire del lievito madre, matrix dell’intero bacino Mediterraneo. La via della immaterialità non aggiunge senso storico alle abitudini e alle consuetudini.

La cultura immateriale, essendo liofilizzata, risulta solubile in acqua come la magnesia o il nescafè. Può purgare ma non eccita e non tiene svegli. “Se la musica è il cibo dell’amore ne voglio ancora da fare indigestione” – dice William. Quindi se la musica è cibo e se l’amore ne prende a volontà, anche la musica e l’amore non sono atti immateriali. E allora cosa diavolo è immateriale? Niente, neanche un fumo d’incenso destinato agli dei. Neppure l’arte di mettere le mani sulla sabbia e di pitturarla, tipica dei nativi americani, rientrerebbe nella categoria. Anche dentro un confessionale la parola non è certo immateriale, quando peccati e sensi di colpa riemergono e riempiono la bocca. Neanche la memoria, quella individuale e quella collettiva, è immateriale. È stato il materialismo storico a darle forza e a tenerla con i piedi ben attaccati a terra. Materialistica memoria del passato e del futuro.

Immaterializzarsi o dematerializzarsi: può succedere solo ai confini della realtà, la twilight zone della celebre serie televisiva. Non è l’opaca e crepuscolare idea di immaterialità che produce umanità e ne accresce il patrimonio. È la cultura materiale invece che produce umanità di civiltà in civiltà, senza soluzione di continuità. Neanche l’ascesi ha una connotazione immateriale. Anche ciò che restava di un monaco asceta che si era dato fuoco nel pieno della guerra del Vietnam, era tutt’altro che immateriale. Era il prodotto di un fuoco rituale secondo i canoni del Sutra del Loto. Il corpo fisico rimanda sempre al corpo sociale. Grani di incenso, semi di sandalo, pinoli, aghi di pino e resina. È la dieta ascetica del buddista, diversa dalla dieta mediterranea ma pur sempre fatta di materie prime.

Anche gli atti e i riti di devozione sono tutt’altro che immateriali. Passano sempre per il corpo orante, pellegrinante, inginocchiato, prostrato, sacrificato e poi rifocillato.Succede così anche nelle esibizioni ed esposizioni della body art. Il corpo dell’artista brucia nella percezione degli spettatori con i quali viene condiviso. È una pratica di apparente dematerializzazione dai consueti manufatti ed artefatti da museo. Una prassi fortemente concettuale ma tutt’altro che immateriale. Le capanne amazzoniche del Mato Grosso non sono meno architettoniche e monumentali degli edifici modernisti di Brasilia. Animismo. Misticismo. Spiritualismo. Si materializzano tutti in luoghi precisi e in comunità antropologicamente riconoscibili. A volte l’antropologia culturale trova pane e carne per i suoi denti diventando antropofagia culturale e banchettando insaziabile.

Campanilismi, capitalismi e colonialismi. È la storia sociale dell’arte e dei beni culturali che dà sostanza materica e materialista alla cultura contemporanea. Materica come un sacco bruciacchiato di Burri o un decollage affissionista di Rotella. Materialista e dialettica come il muro alzato nel teatro cottimista di Remondi e Caporossi. Introspezione e interiorità.

Apriti cielo! Apriti sesamo! In realtà appartengono alla personale dotazione di immaginazione che altro non è che energia organica e sessuale. Il resto è fuga dalla realtà materiale e relazionale. Occorre occhio clinico per tutelare al meglio il patrimonio storico, anche quello sottoposto a sublimazione. Non ci sarebbero patrimoni da tutelare e valorizzare – e anche da spremere come limoni – se il materialismo storico non avesse messo le mani avanti, le mani dei lavoratori, intendo. Non ci sarebbero neppure i lavoratori dei beni culturali nei siti, nei musei, nelle soprintendenze, nei ministeri e nelle sfere celesti. Vola colomba bianca, vola nel blu dipinto di blu.Vola come un pallone aerostatico. Dove vanno a finire i palloncini? Al filo del palloncino colorato c’è appeso il piccolo Renato corazziere. Vola la bolla pneumatica della cultura immateriale gonfiata ad arte da commissari supervisori. Non c’è binocolo che possa inquadrarla e tenerla sotto tiro. Burning of the midnight lamp – Jimi Hendrix, Experience 1967. Anche la psichedelia non ha niente a che vedere con l’immaterialità. È energia amplificata e psicotropizzata.

Anche l’intangibile Angelus Novus quando si volta all’indietro non vede altro che rovine e macerie. Viene la tentazione di proporre Atlantide come sito immateriale e sottomarino. Laggiù, tra balene bianche, calamari giganti e orche marine grandi come piattaforme petrolifere, passa il Nautilus rapido e invisibile. Gli atlantidei sono anfibi che tengono la bocca chiusa anche quando emergono in superficie.

È la relazione che si stabilisce tra la cultura esistente e la psicogeografia dei luoghi che dà consistenza e resistenza alle comunità. Non siti definiti una volta per tutte ma sistemazioni successive e progressive.Qui non c’è habitat per l’immaterialità fantasmatica. Essere o/e non essere, questo è il fonema anche se non sembra. “Il mio lavoro è quello di aspettare il miracolo” – diceva Eugenio Montale.La casa di Montale a Monte Rosso, da quando il poeta non c’è più, è un bene immobile e immateriale.

Lo stato immateriale dell’arte. Buio in sala. Su la tela. “Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”. Luce in sala. Giù la tela. La recita è finita. Se Bill aveva ragione l’Unesco potrebbe risolversi a catalogare i sogni come patrimonio orale onirico culturale immateriale dell’umanità. Così finalmente tutti potremmo far parte di quel patrimonio e di quel consorzio come esempi vivi e vegeti di immaterialismo storico. Ci sarebbe da dire che i sogni nascono dai quotidiani bisogni materiali: bere, mangiare, dormire, lavorare, far l’amore.

Non bisognerebbe mai dirlo ai funzionari benculturalisti dell’Ente Supremo. Due colpi di gong segnano l’inizio di un altro atto. “Siamo fatti dello stesso materialismo di cui sono fatti i bisogni e le necessità corporali”. Tra tutti gli ismi confezionati dalla modernità, il materialismo è l’unico che ancora lega le comunità, un po’ come Maria Penelope Lai artista di Sardegna aveva legato l’intero paese di Ulassai, famiglia per famiglia, alla sua montagna madre. Chilometri di nastro celeste fotografati mirabilmente da Berengo Gardin, lo stesso che ora fotografa i casermoni croceristi che ingombrano i canali della sua Venezia.

Anche l’arte nasce dai bisogni e dalle pratiche materiali della vita e del lavoro.Tutti gli altri ismi dal manierismo al transavanguardismo sono finiti al museo e memorizzati nella storia e nell’immaginario culturale. Tutti, nessuno escluso, sbandando tra impressionismi, simbolismi, futurismi, dadaismi, surrealismi, espressionismi, astrattismi, concettualismi, poverismi, citazionismi, concretismi e minimalismi. Ci ha pensato il postmodernismo a centrifugare tutti gli ismi così come fa un robot da cucina attrezzata per qualsiasi preparazione gastronomica. “Per acchiappare un robot devi usare un robot” – scriveva Asimov in Circolo vizioso.

Il materialismo storico è come un vino ben invecchiato in botti fatte a mano e ci scorre nelle vene, volendo può essere spillato e degustato in meditazione e in ricordo della mancata rivoluzione.Lor signori sono riusciti, con un colpo d’ala, a identificare e inserire la dieta mediterranea nell’immaginifico repertorio della cultura orale immateriale dell’umanità. Tutto paga l’umanità e l’identità. Cibo materialmente immateriale, al limite dell’impalpabile. La dieta mediterranea è immateriale dal 2013. Olive, latte di pecora e di capra, fichi, mandorle, carciofi, ricotte, mozzarelle e tutto il ben di dio mediterraneo che può essere coltivato, raccolto e messo in tavola dopo essere stato lavorato a forza di braccia e di strumenti, sarebbe cultura tradizionale immateriale.

Il video incastonato nel sito dell’Unesco mostra tutta l’evidente immaterialità delle materie prime, dei contadini, dei pastori, dei pescatori, delle cuoche e dei commensali che consumano a quattro palmenti accompagnati da musici nativi. Quando, dopo aver ben mangiato, ben bevuto e ben ballato, maschi e femmine andranno nelle rispettive alcove e si congiungeranno in atti d’amore, anche quel sesso sarà del tutto immateriale compreso quello cosiddetto orale ormai facente parte della omonima tradizione. Intanto, l’olio e la mozzarella stanno conquistando l’Islam.

Minima moralia atque immaterialia. L’Unesco ha generato un nuovo ismo: l’immaterialismo. Neanche Lo spirituale nell’arte di Kandinskij (1910) era immateriale, come dimostrano le sue tele e i suoi incontri dentro e fuori lo studio. Anche i colori hanno un odore, un sapore e una consistenza tattile. Il materialismo storico dipana il filo della storia e della memoria storica. Si è fatto le ossa sui binari della ferrovia e lungo le catene di produzione e di montaggio. Riappare, per un momento, l’icona locandina con Marx che tiene in mano una bottiglia di Coca Cola (Ronchetti).

Un’affiche pop-modernista ancor prima che postmodernista, ma comunque realista. Quando il patrimonialismo globalista e benculturalista si accorgerà dell’esistenza e della resistenza dell’esorcismo come pratica sciamanica, procurerà di santificarlo come patrimonio orale-viscerale e immateriale dell’umanità indiavolata e satanizzata. Le mani e i piedi del demonio sono zoccoli di centauro. Si fa presto a retrocedere nel mito e nella mitologia che per l’Unesco presto potrebbero far parte dell’inventario ragionato dei siti immateriali, come il canto delle sirene e le smorfie delle gorgoni. Nei luoghi della vita e del lavoro, dove nasce e cresce la cultura, nessun atto può essere considerato immateriale, neanche il fiato di una bocca che soffia sul fuoco o il fumo di un pastore o di un bandito sardo che fuma il suo sigaro fogu a intru con la punta accesa chiusa in bocca. Lo fa per evitare di essere individuato la notte, in campagna o in montagna.

Il fiato d’artista di Piero Manzoni era un respiro materialista e necessitava di un contenitore sigillato per essere conservato come una boccetta d’alcol o una scatoletta di tonno. Un fiato-afflato. Quel fiato poteva essere tanto orale quanto anale. L’alcol denaturato evapora. Il fiato può perdersi se non viene insuflato e incanalato in uno strumento a fiato o incardinato nella bocca di qualcun altro. Il canto a tenores degli antichi pastori sardi è già patrimonio orale dell’umanità. Le altrettanto arcaiche launeddas ancora non lo sono. Sollevando lo sguardo verso il cielo appare la stazione orbitante satellitare. Sorvola tutta l’umanità e tutti i suoi diversificati patrimoni storici. Dentro la navicella l’umanità si muove in assenza di gravità. Per l’Unesco potrebbe trattarsi in questo caso di immaterialità astronautica.

Sulla Terra resta la bruta materia. I Pupi siciliani, i grandi Candelieri sassaresi, i Violini cremonesi, i Tenores barbaricini, la viterbese gigantessa Santa Rosa, la festa dei Gigli giganti per San Paolino a Nola, tutti esempi di italica immaterialità. Nola, città natale di Giordano Bruno poi finito sul rogo dell’Inquisizione Papale. Nola, antica città dove morì Augusto imperatore 2000 anni fa. A Roma, il suo Mausoleo è ricoperto da una coltre di erbacce che lo rendono immateriale.… T’invidio turista che arrivi… Non c’è un caso di barocca macchina a spalla portata dalle donne. Servono muscoli tosti dal collo in giù. Nel sud Italia anche frutti, ortaggi e legumi rientrano nella questione meridionale, isole comprese. Anche il Carnevale si prepara a finire nella rete immateriale predisposta dall’ente emittente di vincoli altrettanto immateriali.

Il Carnevale, nonostante le maschere, i carri, le fritture, gli scherzi pesanti, le danze invasate, i fiumi di alcol, i fuochi propiziatori e i roghi di mostri di cartapesta, avrebbe tutte le caratteristiche per rientrare nella goliardica sfilata dei beni culturali immateriali. A Carnevale ogni natura immateriale è uno scherzo che vale. Non ci resterà che sognare, per tentare di rimaterializzarsi e sciogliere l’incantesimo ipnotico messo in opera dal cartello benculturalista. Non c’è sugo nè storia nell’idea e nella pratica della cultura immateriale. Si tratta di una formula imponderabile che ha preso piede quanto i piuttosto che o i quant’altro o gli assolutamente sì. La condivisione delle esperienze e dei manufatti, sacri o profani che siano, non è mai immateriale. Il mistero è ovunque ma non è mai immateriale, compreso quello della Settimana Santa che Proust indagò osservando le sorgenti della Loira e le donne intente alle pulizie pasquali. La storia è il risultato dell’azione delle condizioni sociali sull’uomo e dell’azione dell’uomo sulle condizioni sociali. (Marx).

Essere e non essere materia.Il materialismo storico è come il Bosone di Higgs: tiene insieme la materia e la rende conoscibile e permeabile. Cronin conosceva la materia da scavare in miniera e quelle stelle che stavano a guardare erano tutt’altro che immateriali e ben consapevoli delle fatiche disumane da sopportare nel sottosuolo. I padroni delle ferriere e delle miniere con il plusvalore edificavano chiese, palazzi e musei. Steinbeck conosceva il furore della depressione e della recessione e la miseria dei braccianti in cerca di terra promessa.

Adriano Olivetti mirava alle fabbriche di bene e di comunità con annessi asili, giardini, biblioteche per gli operai e i loro figli. Il problema corrente è che molti operatori culturali e molti signori assessori alla cultura si riempiono la bocca con la dicitura di cultura immateriale e con i suoi corollari altrettanto immateriali. Un vezzo, una tendenza, una moda e un modo per farsi riconoscere culturalmente aggiornati. Ambiscono ad aggiungere la medaglia al valore culturale e immateriale sul loro gonfalone comunale.

Nella sfida tra le città italiane candidate a capitale europea della cultura – 2019, la cosiddetta cultura immateriale abbonda nelle intenzioni e nei progetti operativi. Cagliari vanta la spiaggia urbana e la processione votiva più lunghe dell’intero Mediterraneo. Concorre per il titolo di città europea della cultura 2019. Al momento è una città in via di spopolamento. Quando non rimarrà anima viva sarà un perfetto sito immateriale. La cultura è tutta materiale e in quanto tale porzionabile e condivisibile a mano come si fa con il pane quando lo si spezza.

Suggerimento musicale: Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano – Area – 1978. Oro, argento, petrolio, incenso e mirra: sono i beni rifugio per gli investitori che muovono i capitali. Beni rifugio ma non culturali e neppure immateriali. Il capitale tiene in pugno il mondo e l’umanità, nel pianeta interconnesso. È il capitale che stabilisce le connessioni, lasciando perdere le relazioni. Il capitale, anche quello virtuale, è tutt’altro che immateriale.

Dal 2001, non quello di Odissea nello Spazio ma quello delle Twin Tower, le generazioni cambiano di due anni in due anni invece che di 25 in 25. É il miracolo tutto materiale della tecnologia. L’immaginario non ha più tempo di oziare e rimirarsi allo specchio. Perfino il Cantico delle Creature è incorporato nel creato che ci è stato consegnato. Il Cantico dei Cantici lo stesso, riguardo agli amorosi e inebriati sensi degli amanti. Anche la tanto raffigurata e inventariata Natività riguarda l’atto più concreto dell’umanità: la maternità. Se Gesù fosse nato 2000 anni dopo Augusto, sarebbe stato un nativo digitale e chissà come se la sarebbe cavata. La cultura immateriale è pura astrazione ma non ha nessuna relazione con la vera e materica astrazione di Kandinskij, di Mondrian, di De Kooning, di Clyfford Still, di Turcato e di Vedova, di Tancredi e di Scialoja. Del resto un abstract è tra i documenti più concreti che si possano mettere insieme.

La tradizione non è la sacralizzazione della cenere, ma la conservazione del fuoco”. Gustave Malher. Fermo immagine. La Luna è ancora là. Vista dalla Terra risulta romantica icona dell’immaterialità celeste. La Terra vista dalla Luna appare fermentante come un lievito madre. La Nasa ha emesso un regolamento per la tutela dei siti lunari sottoposti ad allunaggio tra il 1969 e il 1972. La Nasa fa le veci di una Soprintendenza cosmica in previsione della costituzione di parchi e musei lunari visitabili: impronte di astronauti, bagaglio spaziale a mano, rottami di macchinari, foto di famiglia, bandierine, libri, pietre vulcaniche portate dalla Terra e tanto altro. Il lato oscuro del nostro lunatico corpo celeste, ognuno se lo figura come vuole anche senza andarci di persona. Quaggiù ognuno può pensare di essere un Principe Rolando che assistito dal valletto Pistacchio va in cerca della sua bella Pimpirenella segregata nel castello dell’orco Rompistoviglie.

La trasparenza del corpo.Il virus dell’immaterialità ha colpito in modo impensabile il sistema dell’arte contemporanea: il sito del M.A.I – Marina Abramovic Institute – si chiama Immaterial. Marina Abramovic si dematerializza. Proprio lei che non aveva risparmiato il corpo proprio e altrui come materia di ricerca, anche mettendolo in serio pericolo. Erano azioni, le sue, tanto di pancia quanto di testa. Il rischio era il suo mestiere. Il sistema dell’arte è una bolla corporativistica e capitalistica. Sarà il modo che il Capitale ha scelto per lavarsi la coscienza. Al resto dell’umanità toccano Ebola e HIV.

Lo stato immateriale delle cose. La cultura materiale è consustanziale a tutta la filiera delle attività umane. Tutto si posa e si sviluppa a fior di terra, di seme in seme, di fame in fame e anche di fede verso qualche santo che esce di chiesa per invocare la pioggia, per scongiurare un’epidemia o semplicemente per farsi ammirare dal popolo vestito a festa. La cultura popolare si tramanda da una generazione all’altra passando di mano le competenze per la gestione della terra agricola. La civiltà contadina è quella che sa trasformare il fango in architetture di terra cruda lavorata a forza di braccia e di sole.

In Sardegna nessuno sa dire chi possa aver scolpito le statue giganti riscoperte a Cabras – Monti Prama – tra il nono e l’ottavo secolo prima di Cristo, a cavallo tra il bronzo finale e la prima età del ferro. Sarà stato un Ciclope in vacanza sul litorale di Oristano, tra spiagge incantate e lagune pescose. A Cabras, nel giorno di San Salvatore, i giovani del paese in camicia bianca corrono a piedi scalzi dal villaggio fino all’ipogeo casa del santo. I cabraresi corrono come fossero inseguiti dai pirati saraceni. Lo fanno in memoria delle rapinose incursioni barbaresche. Quelli dell’Unesco non si sono ancora accorti di niente. Prima o poi però l’azione di correre scalzi per ore su un terreno dissestato dove i piedi si piagano, diventerà un gesto immateriale. Sicuro.

Forse l’unico vero caso codificabile come esempio di immaterialità è la mancata maternità delle donne che, per motivi di infertilità o per scelta non hanno avuto figli, ma questo è un capitolo che non necessita del marchio Unesco essendo di stretta competenza della Luna. In Sardegna le donne senza figli vengono definite lunàdigas, così come i pastori chiamano le pecore che non si riproducono.

Non è considerato offensivo ed è meglio di rami secchi. Il resto è condizione umana alla maniera di Magritte o alla maniera materialista dei muralisti messicani. Una coppa di frozen Margarita, una ciotola di guacamole, tacos uno dietro l’altro, una corona d’aglio appesa alla porta e quel capitalista che Marx aveva travestito da vampiro si dematerializza istantaneamente. Immateriale e transustanziale anche il quadretto con Papa Francesco che passa con il vassoio al self service della mensa vaticana. Non immateriale quanto la Cena in Emmaus di Caravaggio ma quasi. Con l’arte, come raccomandava Adorno, bisogna fare come col cibo: lasciare sempre qualcosa sul piatto. Maometto, per parte sua, predilige coloro che il cibo lo servono e lo prendono con le dita. Fase orale. Fase anale. Tutto passa di lì anche la cultura. Transiti.

Il resto lo fanno le mani giunte in preghiera o congiunte nel segno femminista di indici e pollici o messe sui fianchi di qualcun altro. Un altro caso di vera immaterialità ci sarebbe: l’antica tradizione napoletana del caffè sospeso che però prima o poi si materializza sul bancone del bar. Tutta la cultura è materialmente soppesabile. Lo ha dimostrato l’inscatolatore Piero Manzoni. Lo ha dimostrato e messo in scena anche l’artista coprofago Mario Mieli. Lo proviamo tutti noi, in separata e ritirata sede. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono fiori.

Bisognerebbe rispolverare una vecchia abitudine critica: la stroncatura. Troppi musei mono o pluritematici gravano sul pianeta. Atlante è stremato. Vorrebbe trasformarsi in scarabeo o stercoraro. Troppi libri inutili pesano sugli scaffali, soprattutto romanzi. Un libro stroncato e scartato si rinchiude in se stesso ed è subito pronto per il riciclo della carta. L’immaterialismo culturalista è una finta tintura madre distillata da un parafarmacista. Meglio ricorrere al vecchio balsamo di tigre. Come illustrazione di questa narrazione di parole e associazioni in libertà, si consiglia la riproduzione della statuetta eleusina e apotropaica di donna gastrocefala tanto cara al Pier Paolo Pasolini di Petrolio.

La cultura è tutta immanente, situazionale e non immateriale, situazionista e non immaterialista. Tante culture. Ognuna è site specific, hic et nunc, mai al di là del corpo che lavora o si mette in libertà. Per Marx la dittatura del proletariato avrebbe dovuto portare al tempo liberato, liberato dall’ossessione dell’accumulazione per poter essere dedicato allo studio e al talento personale. La cultura è vicinato, vicinanza, andanza di incontri. L’umanità è tutta fattuale e fenomenica. Ognuno è racconto. Action. La sociologia visuale inquadra la complessità sociale materializzando anche l’invisibile e l’apparentemente inaccessibile. Se una processione religiosa può essere un esempio di cultura immateriale cosa si potrebbe dire di una manifestazione di piazza o di una marcia per il lavoro?

Il messaggio è stato inoltrato sulla linea dell’utente desiderato. È Antonio Gramsci. Quel glottologo, linguista e filosofo materialista della politica di Ninetto Gramsci. A Torino apre l’hotel Gramsci, cinque piani, cinque stelle. Intanto il 30 di luglio l’Unità esce con pagine bianche, dematerializzata dopo 90 anni di storia. In edicola, il posto dell’Unità sarà preso da un nuovo quotidiano: il giornale dei beni culturali immateriali disponibile anche in versione audio per non vedenti come giornale orale di cultura immateriale.

Ta-pum Ta-pum Ta-pum. Cento anni fa cominciava la Grande Guerra, finita poi più che a cannonate, a bottigliate di cognac e brandy per tenere alto lo spirito dei combattenti. Anche spirito e morale, come si sa, esprimono immaterialità. Sono storie di comuni mortali, del tutto materiali e trasmettibili per via orale anche ai bambini che non si vogliono addormentare. Se non dovesse bastare si potrà ricorrere all’uomo nero che in Sardegna chiamano Mommoti.

Lui è solo un’ombra notturna ma se gli lasci in cucina un piatto di pasta la mattina dopo lo trovi vuoto e ripulito. Niente di nuovo sul fronte occidentale, dai tempi di Remarque e altrettanto niente di nuovo sul fronte della cultura immateriale. L’Argentina tra-balla tango e milonga sull’orlo della bancarotta. A Lisbona fallisce il Banco di Santo Spirito. Lo Spirito Santo sarebbe l’icona matrice di tutte le immaterialità, nel nome suo del padre e del figlio.Le madri restano di là a lavare e stirare panni e impastare e sfornare pani oltre che figli.

I risparmiatori sgranano rosari, invece che conti in banca. Le api italiane, a causa del clima ribaltato, non volano più. Il miele scarseggerà. Ora è tempo di Capitalismo Immateriale, virtuale e digitale. Non c’è scampo. Siamo al quarto e quinto capitalismo. Quando saremo al decimo la Tavola delle Legge Capitalista sarà completata in tutti i suoi comandamenti. Intanto, nessuno parla più di alienazione. Marxismo e materialismo storico ci avevano messo in guardia. Questo, nel mondo manifatturiero, è il tempo della meccatronica: un ibrido tra meccanica, elettronica e telematica.

Un vantaggio dei beni culturali immateriali è che, essendo tali, non necessitano di opere di manutenzione almeno in apparenza. Nella realtà del paesaggio si può viaggiare senza sosta da un borgo spopolato a un borgo abbandonato. Piccoli e antichi borghi dove è passata la storia. Un itinerario paesologico e post-culturale del tutto speciale e naturalmente immateriale.

*In Lo stato delle cose (pensiero critico scritture) Quarta serie 3 (21), 2014 Edizioni Oèdipus

 

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