L’uccisione dei vecchi in Sardegna [di Massimo Pittau]
Era una forma di “eutanasia” anche la “uccisione dei vecchi”, attestata pur’essa fra i Nuragici. Riporto la notizia di questa usanza come viene attribuita allo scrittore greco-siceliota Timeo [FHG, III, 28, pg. 199 e anche 29 (Tzetzes, in Lycophr., 796)]: «Timeo dice che colà [in Sardegna] i figli sacrificano a Kronos i loro genitori di oltre 70 anni ridendo e percuotendoli con bastoni e spingendoli verso dirupi profondi». Su questa particolare usanza si deve precisare che essa è stata propria di molti popoli antichi e primitivi: la praticavano gli abitanti dell’isola di Ceo nel Mar Egeo (Strabone X 6; Aeliano, Var. Hist. III 37; Valerio Massimo II 6, 8), gli Sciti (Diodoro IV 26; Prudenzio, contra Symmacum 2, 292-295), i Massageti (Erodoto I 216); la praticavano anche gli Eschimesi fino a un secolo fa, lasciando morire di assideramento i vecchi chiusi negli “iglò“. La giustificazione razionale che era al fondo di questa usanza, stava nel fatto che il gruppo famigliare o la tribù, in continua e assillante lotta per la propria sussistenza, vi ricorreva nei confronti di individui i quali, a causa della loro età avanzata, non fossero più in grado di sostentarsi da se stessi con la caccia o la pesca e anche a causa del grave impedimento che essi costituivano per la tribù nel suo continuo spostarsi per esigenze di caccia, di pascolo o di pesca. Si deve supporre che una operazione così grave e drammatica come questa dell’uccisione dei vecchi da parte dei loro stessi figli sarà stata rarissima, dato che in quei lontani tempi gli individui che arrivavano all’età di 70 anni saranno stati di certo pochissimi. Inoltre si sarà svolta in un clima di totale e profonda religiosità; ciò anche al fine di dare ai primi un certo qual conforto religioso per la dura sorte che subivano, ai secondi una certa tacitazione morale del loro agire crudele. E infatti il testo greco citato riferisce che i vecchi venivano «sacrificati a Kronos», cioè al dio – identificato poi col latino Saturno – che regolava la vita e la morte degli uomini. Nel recinto sacro di Monte Baranta di Olmedo (SS), che è di avanzata epoca nuragica e nient’affatto risalente all’età del rame – come è stato scritto con grande superficialità – si trova un edificio circolare grande quanto un piccolo nuraghe, ma non lo è affatto, sia perché non risulta che abbia mai avuto la copertura a tholos, sia perché ha un largo tratto del muro di chiusura del tutto aperto a un dirupo a strapiombo; è insomma a forma di ferro di cavallo. Si intravede che l’edificio servisse per iniziare e portare a termine il sacrificio dei vecchi, sia effettuando su di essi preliminari atti rituali, sia infine precipitandoli nel dirupo. Lontani ricordi della uccisione dei vecchi si trovano in leggende documentate in varie località della Sardegna: Macomer, Orotelli, Oliena, Gairo, Lanusei e in Gallura. L’uccisione dei vecchi nella Roma antica. Tutto ciò premesso si deve segnalare che, su testimonianza di parecchi autori latini, praticavano la uccisione dei vecchi pure i Romani dei tempi antichi, e precisamente sui vecchi sessantenni buttandoli dal ponte Sublicio nel Tevere: sexagenarios de ponte deicere (Paolo-Festo 40.25 L; 334 M:) e ciò facevano sacrificandoli pur’essi a Saturno (Lattanzio, Div. Inst. I, 21, 6; Epist. 18, 2). Il poligrafo latino Festo parla dei Romani dei tempi antichi e, più di preciso, dei primi aborigeni qui Romam incoluerint. Questi molto probabilmente si debbono intendere gli Etruschi, dato che risulta quasi certo che Roma, a parere di “molti scrittori” – come riferisce Dionigi di Alicarnasso (I, 29, 2) – era stata fondata proprio dagli Etruschi (cfr. il mio studio La città di Roma fondata dagli Etruschi?). Su questo argomento sono da farsi due precisazioni: I) Il lat. sexagenarios si può intendere sia coloro che avessero raggiunto i 60 anni, sia coloro che avessero l’età fra i 60 e i 70 anni. II) È molto probabile che la credenza dei Nuragici che i 70 anni fossero il limite normale della vita umana, esistesse pure fra gli Etruschi; lo mostrerebbe il fatto che essa sarebbe finita con l’arrivare fino al toscano Dante Alighieri, il quale dice di aver effettuato il suo viaggio immaginario nell’oltretomba all’età di 35 anni, cioè a metà dei 70: «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inferno I, 1). Conclusione ultima di questo discorso: risulta dunque dimostrato che i Nuragici della Sardegna e gli Etruschi dell’Italia centrale avevano in comune fondamentali “credenze ed usanze funerarie”, che erano chiaramente anche fondamentali “credenze ed usanze religiose”. E queste credenze funerarie e religiose insieme, comuni agli uni e altri altri, costituiscono una fortissima prova a favore della tesi che io vado sostenendo da più di 30 anni: Nuragici ed Etruschi erano due popoli affini e imparentati fra loro. |
Nessun commento sul merito anche se quanto Massimo ha scritto me lo ha ancora una volta rivelato come l’ho sempre conosciuto. Perciò lo saluto con immutato affetto ricordando il bel tempo nuorese e la casa di via Roma nella quale i Pittau al pianterreno e i Ferrari al primo piano abitavano felicemente.