Quando l’uomo non capisce la complessità si ritira nell’indifferenza [di Nicola Melis]
Di fronte alle tragedie della modernità che abitiamo, sempre più spesso, capita di porsi una domanda consueta che altri, in altri tempi e di fronte ad altre tragedie si sono posti: possediamo una grammatica capace di comprendere e spiegare il nostro tempo? Abbiamo, umani fra umani, scolarizzati e analfabeti, un ripostiglio segreto in cui andare a pescare quei tre o quattro concetti di pensiero e civiltà in grado si salvarci? Il punto è esiziale. Occorrerà pur dire che il nostro atavico grado di percezione del dolore altrui è ai minimi storici. E ciò, almeno al livello che qui rileva – quello propriamente umano – è un fatto triste e storico allo stesso tempo. E’ triste perché certifica, semmai ve ne fosse ancora bisogno, che l’uomo ha smesso di essere il motore del mondo. Vale a dire che l’uomo non crea più mondi, non ne è più il protagonista assoluto. Ma è anche storico, perché il mestiere di vivere ha presto lasciato il posto all’arte di abitare. E mentre l’uomo è impegnato a compiere attentamente le sue mansioni, ascolta di tragedie disumane, amplificate all’infinito da tutti i mezzi di comunicazione possibile, e non se ne preoccupa più, in quanto uomo, ma razionalizza in quanto funzionario. E non trovando alcuna spiegazione razionale all’odierna complessità, si ritira, semplicemente, nell’indifferenza. E’ quella banalità del male raccontata da Hannah Arendt o, in senso più materiale e politico, il peso morto della storia di gramsciana memoria. In questo contesto, non mi preoccuperei cosi tanto delle esternazioni di qualche sciacallo degli avvenimenti in cerca di voti e consenso. Mi soffermerei, invece, nell’assoluta assenza di incisività della Politica nel senso più compiuto del termine. Nessuno, oggi, tra i Capi di Governo, di Stato, i Parlamentari e via discorrendo è in grado di orientare l’opinione pubblica. Non c’è più, tra le moderne società, uno spazio in cui la Politica abbia un ruolo di guida e non di comando. E’ l’imperio della Democrazia a permettere ancora ai Parlamenti di esistere e ai Governi di operare. Il popolo farebbe a meno degli uni e degli altri e , sia chiaro, senza saper indicare un’alternativa. Il punto è che per decenni abbiamo permesso che nelle scuole si insegnasse, con quella odiosa tiritera giudaico cristiana, il principio vuoto della tolleranza. Ai bambini – oggi adulti, qualcuno ai posti di comando – si è insegnato che siamo tutti uguali, con pari diritti e pari doveri. Che occorre aver pietà. Essere tolleranti. Mostrando cosi, da veri discepoli dell’America del Nord, il punto di vista del vincitore, del migliore. Dell’evangelizzante, del conquistatore d’anime. E invece di raccontare che la diversità esiste, che il nero è nero e il bianco è bianco, e il mandarino è mandarino, e l’omosessuale è omosessuale, abbiamo fatalmente lasciato il discorso ad un punto morto. E’ cosi che proviamo fastidio quando l’immigrato ci invade. Quando percorre le nostre strade, si bagna sul nostro mare, lavora nei nostri campi. Il principio della tolleranza, al primo segnale di debolezza economica e sociale, si sgretola e lascia spazio alla paura di ciò che non possiamo controllare e, infine, capire. Non esiste alcun multiculturalismo possibile senza il riconoscimento della diversità in quanto tale, e della ricchezza, umana ed economicamente moderna, che questa oggi significa. Cosi capita che l’Europa, un ammasso di Stati che continuano a litigare sul grado di contagio dell’ammalato di turno, quell’Europa nata per porre fine a tutte queste sciocchezze umane, ha fallito. Ha garantito la pace? Ma quale pace? Di guerre ne è pieno il mondo e noi, spesso e volentieri, ne siamo stati i principali protagonisti. E poi esistono variegate modalità per avviarne una; anche impoverire popoli interi fino allo stremo è un atto di guerra. Anche indebolire le democrazie che, sole, possono garantire giustizia e libertà, è un atto di guerra. E, infine, non è guerra non vedere che dietro casa nostra migliaia di essere umani scappano via mare, a pagamento, senza certezza di trionfo, per toccare terra di libertà? E’ guerra, terribile guerra, non saper spiegare al popolo europeo e internazionale che questo continente ha bisogno di loro. E loro di noi. La Storia certifica tutto; le guerre che abbiamo fomentato in Africa, i territori e i popoli che abbiamo sottomesso, i dittatori che abbiamo incoronato e spodestato a nostro piacimento, il nostro passato e presente di migranti e immigrati, il senso di umiliazione data e ricevuta. Ma nulla, continuiamo a guardare quei barconi e a non capirci nulla. Neanche un minuto e, immersi nell’arte dell’abitare, continuiamo a svolgere la nostra mansione quotidiana, convinti di abitare, come Dante ebbe a dirci, tra coloro che son sospesi. Senza imbarazzo. |