Armeni [di Gian Franca Fois]
Il Libro di Mush, libro sacro degli Armeni, pesa 32 Kg, ha 661 fogli e misura 75 per 60 cm, uno dei manoscritti più grandi del mondo. Compilato tra il 1200 e il 1202, è un omiliario che raccoglie omelie e sermoni. Due donne decidono di salvarlo dalla distruzione da parte dei Turchi che hanno attaccato il monastero dei Santi Apostoli nella valle di Mush, dove era conservato, ferendo, violentando e uccidendo. Lo dividono in due parti per poterlo trasportare e salvarlo. E’ il 1915, nel pieno della persecuzione degli Armeni, del genocidio. La parola genocidio è stata coniata nel 1944 dall’avvocato polacco Raphael Lemkin, ebreo la cui famiglia era stata quasi completamente sterminata dai nazisti. L’idea del nuovo vocabolo gli venne però in mente mentre studiava i massacri degli Armeni compiuti dagli Ottomani. Il termine, che però non aveva valenza giuridica, fu quindi usato per la prima volta durante il processo di Norimberga. Secondo la definizione dell’ONU indica la soppressione violenta, in tutto o in parte, di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso e della sua cultura. Uno dei motivi per cui i Turchi rifiutano l’uso del termine genocidio, pur avendo in questi ultimi dieci anni riconosciuto le violenze nei confronti degli Armeni, è appunto il fatto che nel 1915 quel termine non esisteva. A quella data nel ‘900 c’erano stati altri genocidi: il re Leopoldo del Belgio si impadronisce privatamente del Congo causando la morte di circa 10 milioni di persone in 23 anni, in Costa d’Avorio tra il 1900 e il 1911 la popolazione, a causa delle violenze dei Francesi, passa da un milione e mezzo a 180.000. Il genocidio degli Herero nell’attuale Namibia è invece opera dei Tedeschi che nel 2004 in occasione del centenario hanno riconosciuto le proprie responsabilità. La comunità armena sin dal 1700 aveva svolto un ruolo importante nell’impero ottomano fornendo alti funzionari e intellettuali, costituendo un canale di integrazione culturale. Alcuni dei più importanti edifici pubblici ad esempio furono costruiti da architetti che appartenevano alla famiglia armena Balyan. L’espansione imperialista della fine dell’800 e la nascita dei nazionalismi incrinano questi rapporti e nel 1895 si hanno le prime stragi di Armeni che si erano ribellati in alcune zone dell’impero. Ma è soprattutto con la prima guerra mondiale che gli Armeni si ritrovano in mezzo al conflitto tra Russi e Ottomani. E’ il 24 aprile del 1915 che inizia il genocidio degli Armeni su pressione dei Giovani Turchi, movimento ultranazionalista, ma non bisogna dimenticare la presenza a Istanbul di alti ufficiali tedeschi. Le motivazioni addotte negli anni dai Turchi tendono a sottovalutare l’entità e i motivi delle stragi: nella I guerra mondiale le popolazioni tutte hanno sofferto, non esiste un documento del governo che ordini la strage, gli Armeni morirono soprattutto di fame, erano presenti bande armene al servizio del nemico russo, e così via. La svolta avvenne il 19 gennaio 2007 quando il giornalista armeno Hrant Dink viene ucciso davanti all’ingresso del suo giornale pubblicato in turco e in armeno. Non fu possibile minimizzare, ai funerali intervenne quasi un milione di persone. Da allora si incominciò a parlare, senza conseguenze penali, delle violenze sugli Armeni ma non di genocidio. Il termine recentemente utilizzato proprio per gli Armeni da papa Francesco ha provocato le rimostranze del Presidente Erdogan e dei principali organi di informazione turchi. Il governo italiano dal canto suo ha fatto pressione sugli organizzatori, insegnanti dell’Università La Sapienza di Roma, di un convegno dal titolo “Armenia, a cent’anni dal genocidio (1915-2015)” perché il termine genocidio venisse eliminato “per opportunità diplomatica”, minacciando di far mancare il suo patrocinio e di non concedere la sede. Altrettanto non è successo a Cagliari dove nei giorni scorsi il Dipartimento di filologia, Letteratura e Linguistica e il Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell’Università hanno organizzato un interessante incontro: Giornata della memoria del genocidio armeno. Questa sera veniamo da voi, cantando la speranza, / per il sentiero del campo, / o fienili, fienili; / tra le vostre buie pareti / lasciate che risplenda il nuovo sole, / sui tetti verdeggianti / lasciate che la luna setacci la farina. Scriveva così nel suo poema “Il canto del pane” il poeta armeno Daniel Varujan prima di essere arrestato insieme ad altri intellettuali armeni a Costantinopoli nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 ed essere ucciso a colpi di pugnale nel corso della lunga marcia nel deserto durante la deportazione di migliaia di uomini ma soprattutto donne e bambini. Aveva 31 anni, era l’inizio del Metz Yeghern, il genocidio armeno.
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