L’Huffinton Post 06/05/2015. La politica anti-mafia di Renzi: “È in stand-by. C’è molta carne al fuoco, ma ancora non ha prodotto molto“. Come il lavoro anti-corruzione di Raffaele Cantone: “Prezioso, nonostante ci siano delle insufficienze che dipendono dagli strumenti limitati che ha a disposizione“.
Lo stato della lotta al crimine secondo Nicola Gratteri, procuratore anti-ndrangheta di Reggio Calabria, è delicatissimo: “Siamo in un momento in cui si possono fare moltissimi passi in avanti, oppure ingolfarsi“, tutto dipende da quanto di petto saranno prese le questioni chiave: “Sappiamo benissimo – afferma il magistrato sotto scorta dal 1989 – che la ‘ndrangheta ha partecipato alla costruzione di Expo, ma questo non è un buon motivo per boicottare un evento che può dare lustro al paese“.
Raggiungiamo il dottor Gratteri al telefono in Puglia, dove sta per presentare il suo ultimo libro scritto con Antonio Nicaso, Oro Bianco (Mondadori): un documentatissimo lavoro sul traffico della cocaina nel mondo, che dal Sud America arriva in ogni angolo d’Europa per sballare ricchi e poveri e riempire di soldi soprattutto la ‘ndrangheta, l’organizzazione mafiosa più potente del continente.
Dottor Gratteri, dopo molti libri sulla mafia calabrese, uno sulla droga simbolo della nostra era.
Volevamo scrivere di cocaina da diverso tempo. Io faccio questo lavoro da trent’anni, da venticinque mi occupo di contrasto alla ‘ndrangheta e narcotraffico. Una volta al mese sono in Sud America. Conosco perfettamente la realtà criminale dell’America latina. Il professore Nicaso, storico della criminalità organizzata, è esperto di Stati Uniti e Canada. Abbiamo unito le nostre competenze, ma c’è voluto anche altro.
Cosa?
Per scrivere, siamo andati fisicamente nella selva colombiana. Ospiti in un campo d’addestramento della polizia, abbiamo visto e studiato le tecniche di addestramento e di contrasto al narcotraffico. Dalla coltivazione, al prodotto finito: abbiamo seguito tutti i passaggi della lavorazione della cocaina. È impressionante vedere quante sostanze chimiche ci vogliamo per arrivare alla polvere bianca. Nelle vasche dove frullano le foglie di coca viene versato anche cemento in polvere per solidificare l’impasto. E poi la chiamano coca pura…
Sembrano cose lontane da noi, esotiche.
Invece ci riguardano da vicino. La lavorazione è solo l’inizio di un viaggio che porta la cocaina nei privè dei locali esclusivi di Milano e in tasca ai mariuoli napoletani. I soldi li fa la ‘ndrangheta, che è coinvolta direttamente nel traffico. Ci sono ‘ndranghetisti che vivono stabilmente in Bolivia, in Perù, in Uruguay, in Argentina, in Brasile. Fanno i broker. Procacciano quanta più cocaina è possibile. Ne acquistano a tonnellate. Non importa se non la vendono tutta. La comprano per saturare il mercato e riuscire a fare il prezzo.
Ce la fanno?
Spesso sì. La ‘ndrangheta è la mafia più credibile nel panorama internazionale. Tutti quelli che hanno a che fare con gli uomini delle ‘ndrine sanno che nella storia dell’organizzazione quelli che si sono pentiti si contano sulle dita di un mano. Sono criminali seri, su cui puoi contare.
Come arriva in Europa la coca?
Ci sono vari modi. Il piccolo e medio traffico usa corrieri, borsoni a doppio fondo, ovulatori. La ‘ndrangheta la carica sui container. È la padrona del grande traffico. Il fatto nuovo è che la coca parte sempre meno dalla Colombia. I porti preferiti, ora, sono quelli brasiliani, argentini. Ci sono meno controlli. Rotture di scatole pari a zero.
La ‘ndrangheta è monopolista della distribuzione di cocaina in Europa?
È quasi monopolista. Ci sono delle organizzazioni minori che contrattano direttamente con i cartelli sud-americani. Alcune famiglie camorristiche, organizzazioni serbo-montenegrine. Ma parliamo di piccoli traffici. Il grande traffico, in Europa, è in mano alla ‘ndrangheta.
Dunque la camorra compra la cocaina dalla ‘ndrangheta?
Certo, anche Cosa nostra. E il guadagno è stratosferico. In Colombia, un chilo di coca costa 1200 euro. Quando arriva qui, il valore sale a 30-32 mila euro. In un’intercettazione, uno ‘ndranghetista si lamenta: «Sono stanco morto. Abbiamo contato soldi per tutta la notte. E non abbiamo ancora finito!». Tenga conto che avevano a disposizione due macchinette conta-banconote…
I numeri che fornite sono impressionanti. Il 66% del Pil della ‘ndrangheta viene dalla coca: stiamo parlando di 44 miliardi di euro. Che fine fanno questo soldi?
Vengono investiti da Roma in su. In Calabria, la ‘ndrangheta non mette un centesimo. Uno, perché darebbe nell’occhio. Due, perché bisogna tenere i calabresi sempre in uno stato di bisogno, con la mano tesa. Al Nord, invece, la ‘ndrangheta sostiene le imprese in crisi, apre ristoranti, bar, negozi, qualsiasi cosa.
Ma perché?
Per giustificare la ricchezza. Non hanno certo bisogno dell’appalto, per sopravvivere: ma devono far vedere che ci sono, che hanno il potere.
Hanno fatto così anche con l’Expo?
La ‘ndrangheta ha partecipato alla costruzione di Expo. Per i boss, è una forma di ostentazione del potere. Il guadagno è minimo. Si è visto che le imprese mafiose hanno preso piccoli appalti, sotto i cinquecento mila euro. Non è un fatto di soldi. È come piantare una bandierina per dire: “Ci sono”.
Ha visto le proteste dei no Expo? Non parlo dei black bloc. Ma di quelle persone che denunciano le infiltrazioni mafiose, la corruzione.
Sì, le ho viste: ma non sono d’accordo. Io non penso che un’opera non si debba fare perché c’è la ‘ndrangheta: significherebbe piegarsi al suo potere. Le opere si devono portare avanti se si ritiene che siano utili al paese. Se creano occupazione, producono ricchezza, danno prestigio. Noi dobbiamo cambiare le regole del gioco, creare le condizioni per rendere la delinquenza sconveniente: non ritirarci.
Le regole che ci sono non bastano?
No, bisogna fare delle riforme globali. Io sono stato nominato dal presidente del consiglio a capo della commissione di riforma della legislazione antimafia. Il testo che abbiamo scritto è depositato a Palazzo Chigi. Lì dentro ci sono un sacco di misure importanti. Mi auguro che la politica le discuta e le utilizzi per migliorare il sistema.
Scrivete: «Non c’è mafia senza corruzione». Secondo lei, Cantone sta facendo bene a capo dell’ Authority anticorruzione?
Conosco Cantone da diversi anni e lo stimo perché è un magistrato e una persona molto onesta, perbene, con un grande senso dello stato. Le insufficienze che ci sono non dipendono da lui. Per fare meglio, avrebbe bisogno di altri strumenti di lavoro. Per esempio, una legge sugli appalti (su cui ho visto che il governo sta lavorando).
Renzi aveva promesso di portare – durante il semestre italiano di presidenza europea – la questione della lotta alla mafia al centro dell’attenzione dell’Ue. Ha visto dei risultati?
È l’Europa che non ha voluto ascoltare. A Bruxelles, ho partecipato a un convegno in cui c’erano magistrati ed esperti di mezzo mondo. Il ministro della giustizia Orlando ha posto la questione sia del riconoscimento del reato di associazione mafiosa sia del contrasto al traffico di stupefacenti. Si sono voltati tutti dall’altra parte.
Renzi però aveva promesso: «Porterò questi temi anche sui tavoli del semestre europeo, perché la mafia non è più solo un problema italiano».
Non è riuscito a imporre la questione, come non ci sono riusciti gli altri prima di lui.
Rispondendo a un articolo di Roberto Saviano, il presidente del consiglio aveva stilato «cinque punti per fermare la Mafia Spa». A che punto siamo?
Siamo in stand by. C’è molta carne al fuoco, ma ancora non si è prodotto molto. Prima di dare un giudizio, voglio vedere che fine faranno le riforme proposte dalla mia commissione. Per ora, posso solo dire che sono state fatte piccole cose rispetto a quelle che servono. In parlamento ci sono molti progetti di legge. Abbiamo sino a tre o quattro proposte diverse sullo stesso tema. Le camere sono come un lavandino tappato. È un momento in cui si possono fare passi da gigante o ingolfarsi del tutto. Bisogna solo capire se quel tappo lo si vuole togliere o no.
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