Palmira ci commuove più delle stragi in Siria? [di Marco Del Corona]
Il Corriere della sera 23 maggio 2015. Improvvisamente, Palmira. Prima ci sono state Ninive e Mosul: reperti mesopotamici e antiche chiese annichilite. Ma è con Palmira, presa dall’Isis nel deserto della Siria, che il mondo si è scoperto spaventato all’idea che un tesoro storico e archeologico di incommensurabile valore possa essere saccheggiato e devastato a colpi di esplosivo e di mazza. È successo anche a noi, ammettiamolo: siamo in ansia per Palmira, anche se non abbiamo mai visto da vicino quello splendore. Non occorreva che ce lo ricordasse l’Unesco, per un attimo ci siamo sentiti come se a rischio fossero Roma, Venezia, gli Uffizi. Dopo il sussulto, però, occorre fermarsi. Della Siria è Palmira che ci emoziona, che ci commuove? Non le stragi di civili, di bambini, ormai inosservate? Non gli stupri delle donne yazide (così come non ci commuoveva la repressione di Assad quando l’Isis era ancora di là da venire)? E se è così — perché viene il sospetto che sia davvero così — perché? Volendo trovare una spiegazione, che sa però di mezza autoassoluzione, ci si può chiedere se non è perché quelle rovine parlano di noi e a noi più di quanto facciano anonimi volti arabi o curdi. Un altro dubbio, allora: se i nazisti avessero raso al suolo il Partenone, il mondo avrebbe magari colto prima che cosa stava succedendo ad Auschwitz? E se i Khmer rossi avessero distrutto i monumenti di Angkor, il genocidio in Cambogia sarebbe stato un po’ meno rimosso da tutti noi? Le colonne nel deserto, i capitelli così familiari ci richiamano a ciò che siamo, alle nostre radici. E allora si può sperare che il turbamento per Palmira funzioni da sveglia etica, con l’arte — con la bellezza — che esercita la sua funzione: toccarci. Toccare il senso morale altrimenti intorpidito, colpevolmente atrofizzato. In Palmira vediamo noi stessi: se Palmira riuscirà a farci vedere i massacri, Palmira sarà comunque viva, e noi con lei. |
Che cosa può toccare di più nel profondo l’orrore della violenza sugli uomini o quello sul danno al patrimonio dell’umanità?
Io penso che non tutti gli uomini sono uguali e non mi colpevolizzerei se vedo prima Palmira e poi la strage, so che partecipo dell’una e dell’altra con la stessa indignazione, perché pur mettendo prima di tutto la vita delle persone, non nego di provare anche il dispiacere per la perdita di un patrimonio dell’umanità. Sono convinta che in altri tempi, anche per i mezzi di comunicazione meno efficienti, la distruzione del Partenone, non avrebbe avuto la stessa risonanza di oggi e forse il mondo si sarebbe accorto ancor meno di Auschwitz