Falso in bilancio reato penalmente perseguibile? Ennesimo annuncio renziano [di Anna Maria Busia]

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Ecco l’ennesimo miracolo renziano; raccontare di aver cambiato un sistema, lasciando tutto intatto. Finalmente il falso in bilancio torna ad essere un reato penalmente perseguibile, annuncia! Come se la norma, articolo 2621 Codice civile, appena modificata (in melius) non prevedesse già la fattispecie come reato contravvenzionale e la pena dell’arresto fino a due anni. Ma è fatto noto che per scrivere e/o modificare norme di diritto penale non sia necessario aver studiato diritto penale.

In questo caso poi c’è l’inganno ulteriore determinato dal fatto che la fattispecie penalistica recepisce integralmente il contenuto di una prescrizione civilistica. Un po’ per questa un po’ per altre ragioni, sulle quali ora è inutile soffermarsi, possiamo sicuramente affermare che, i grandi annunci a seguito dell’approvazione del ddl anticorruzione sono inversamente proporzionali alle novità legislative contenute nel decreto.

La modifica dell’art. 2621 e dell’art. 2622 del Codice civile che regolamentano le false comunicazioni sociali, non solo lascia intatte tutte le criticità lamentate a seguito della riforma berlusconiana del 2002, ma da un certo punto di vista, aumenta le contraddizioni della disciplina.

Due (apparentemente) innocui avverbi ”consapevolmente” e “concretamente” (aggiunti ad arte in entrambe le norme) che avrebbero avuto senso se introdotti nella precedente formulazione della norma, diventano in quella attuale sovrabbondanti, ma soprattutto restringono ulteriormente la fattispecie rendendo ancora più diabolica la prova della condotta –consapevolmente e concretamente – (sic!) ingannatrice.

Occorrerà in buona sostanza non solo che l’agente sia mosso dalla precisa e consapevole volontà di fornire false informazioni (o di occultare informazioni veritiere), ma che tale volontà sia anche concretamente idonea ad indurre altri in errore .

Non solo. L’ introduzione delle disposizioni contenute negli gli articoli 2621 bis e 2621 ter c.c., non soltanto mantiene le cause di non punibilità che erano state introdotte nel 2002, ma anzi le rafforza, le amplia aumentando la differenza tra la qualità di tutela riconosciuta alle grandi imprese e quella (sostanzialmente) inesistente riconosciuta alle piccole società.

Ecco perché la montagna ha partorito il topolino; il grande limite della riforma berlusconiana era stato il concepire una tutela privatistica in tema di false comunicazioni sociali, allontanando sempre di più questa fattispecie dal concreto ruolo che essa dovrebbe avere in un sistema moderno e in linea con le indicazioni che da tempo la Corte di Giustizia europea ha dato.

Questa impostazione non solo non è stata modificata, ma viene ribadita un’ impostazione che esclude l’incriminazione della condotta falsificatrice di per sé sola sufficiente ad integrare il reato e che non garantisce la veridicità e la trasparenza dell’informazione societaria.

 

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