Le regioni rosa-pallido: effetto astensione, così si è svuotato il serbatoio dem [di Ilvo Diamanti]

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La Repubblica 08 giugno 2015. Mappe. Le elezioni della scorsa settimana hanno mostrato nuovi segnali di distacco tra il Pd e la sua base elettorale nelle tradizionali roccaforti della sinistra. Va meglio dove la fuga dalle urne è meno marcata

Le “Italie politiche” non sono più quelle di una volta. L’avevamo già osservato negli ultimi anni. In seguito all’affermarsi di due nuovi fenomeni “nazionali“. Il M5S, alle elezioni politiche del 2013, e il Pd di Renzi, il PdR, alle Europee del 2014. Consultazioni molto diverse, per significato e regole. Ma in entrambi i casi avevamo assistito al ridursi delle differenze storiche e territoriali del voto. L’anno scorso, in particolare, il Pd aveva prevalso in quasi tutte le province italiane. Comprese quelle, storicamente ostili, del Nord-Est. Compreso il Lombardo-Veneto, un tempo Demo-Socialista e, in seguito, Forza-Leghista. Questa volta, però, qualcosa è cambiato di nuovo. In modo sensibile. Perché la Zona Bianca (dove nella prima Repubblica aveva dominato la Democrazia Cristiana) è ancora Forza-Leghista.

O meglio, Lega- Forzista. Visto l’exploit della Lega e del governatore uscente, Luca Zaia. Rieletto, con il sostegno di oltre il 50% dei votanti. Ma la Zona Rossa, tradizionale regno del Pci e della sinistra post-comunista, oggi appare meno Rossa. Sempre meno di sinistra. Certo, alle recenti elezioni, in tutte le “regioni rosse” – Toscana, Umbria, Marche e, l’anno scorso, Emilia Romagna – si sono affermati i candidati di Centro-sinistra. Tuttavia, dietro al bilancio misurato con criteri “maggioritari“, si scorge un paesaggio politico profondamente mutato. Anzitutto, conviene rammentarlo, la vittoria in Umbria è apparsa, all’inizio, incerta.

E poi, soprattutto, nelle Regioni (un tempo) rosse dove si è votato nell’ultimo anno, infatti, i candidati del Centrosinistra hanno perduto 8 punti e mezzo, tra i votanti, rispetto alle elezioni del 2010. E 1 milione e 200 mila elettori. Mentre nell’insieme delle Regioni al voto hanno subito un calo molto più limitato: 3 punti e mezzo. E circa due milioni di voti. A sottolineare che l’arretramento, nell’ultimo periodo, è avvenuto soprattutto nelle terre un tempo “amiche”. Attraversate da segni di logoramento, annunciati, con largo anticipo, dai più attenti osservatori di questo territorio politico. (In particolare: Carlo Trigilia, Francesco Ramella e Mario Caciagli. E, in prospettiva diversa, da Antonio Gesualdi.) D’altra parte, le reti associative e comunitarie, costruite e rafforzate nei decenni, intorno all’organizzazione di massa del Pci, appaiono usurate e, talora, lacerate.

L’avvento, nel Pd, di Renzi ha prodotto l’ultimo strappo. Limitato, per un po’, dalla “colla” dell’identità. Che, come si è detto, ha spinto gli elettori di sinistra a votare per il Pd “nonostante” Renzi. Come altrove, in particolare nel Nord, ha indotto gli elettori di Renzi a votare per il PdR “nonostante” il Pd. Ma oggi e da qualche tempo – questa convergenza di elettorati – sempre più lontani, fra loro – non funziona più. E Renzi non riesce a intercettare i diversi flussi del “voto nonostante“.

Nelle Zone Rosse di una volta, in particolare, molti elettori sfogano la loro delusione nel non-voto. Così, nelle 11 Regioni (a statuto ordinario) che si sono recate alle urne nell’ultimo anno, il calo della partecipazione elettorale, rispetto alle elezioni precedenti, appare sensibile: circa 11 punti in meno. Ma senza paragone con quanto è avvenuto nelle cosiddette Zone Rosse, dove l’astensione è cresciuta quasi del doppio. Cioè, di quasi 20 punti. In particolare, di 12-13 punti in Toscana e nelle Marche. E addirittura di 30 in Emilia Romagna, lo scorso novembre. (Quando, peraltro, nell’altra regione al voto, la Calabria, l’astensione risultò inferiore).

Così, se si esamina l’andamento del voto (non solo) nelle zone rosse rispetto alle elezioni precedenti, emerge, con una certa chiarezza, come il Pd e il Centro-sinistra abbiano “tenuto” maggiormente dove la fuga dalle urne è stata meno ampia. Meno profonda. Mentre alcuni settori del voto di Centro-sinistra si sono orientati verso il M5S. Insomma: il Pd e il PdR non sembrano aver trovato integrazione reciproca, al momento del voto, quest’anno. Le tensioni interne alla base elettorale di Centro-sinistra si sono tradotte in fratture. Difficili da riassumere e tanto più da saldare. Così, (come suggeriscono i flussi elettorali stimati dall’Istituto Cattaneo in alcune importanti città) una parte degli elettori del Pd, (non solo) nelle Regioni Rosse, ha preferito non votare, piuttosto che votare per il PdR, il Partito di Renzi. Oppure ha scelto il M5S. Il voto del “disagio“. Della protesta contro “Roma capitale“. Intesa, come il Partito e il governo centrale.

I segnali del distacco degli elettori dai loro riferimenti politici tradizionali, in quest’area, si erano, peraltro, già manifestati, in modo eclatante, in altre recenti elezioni amministrative. Quando, negli ultimi anni, erano già cadute alcune roccaforti storiche della Sinistra. Fra le altre: Livorno, Perugia, Urbino.

Sull’altro versante, nel Centrodestra, è, invece, cresciuta la Lega, come abbiamo già sottolineato. Il Forza-Leghismo si è trasformato in Lega-forzismo. Anche nelle zone rosse. Quel “gran pezzo dell’Emilia“, raffigurato con tanta efficacia da Edmondo Berselli, lo scorso novembre, attribuì al candidato leghista circa il 30% dei voti. Mentre in Toscana, Umbria e nelle Marche, la Lega ha superato, largamente, quel che resta di Fi. D’altra parte, l’insicurezza si è diffusa anche in queste aree. E il “collezionista delle paure“, come Ezio Mauro ha definito Matteo Salvini, ha incontrato un seguito crescente. Anche in quest’isola non più felice.

Così, oggi, la geografia elettorale che ha caratterizzato l’Italia nel dopoguerra – e fino all’inizio di questo decennio – si conferma in profondo mutamento. E, in parte, si distingue e distanzia rispetto a quanto avevamo osservato un anno fa, in occasione delle elezioni europee. Perché, rispetto ad allora, si osserva il riemergere delle aree “verde-azzurro“. In particolare dove, un tempo, c’era la zona bianca. Cioè: in Veneto. Ma, in generale, ritroviamo le radici di Centro-Destra diffuse in tutto il Nord. Nel Lombardo-Veneto, soprattutto. E, (di nuovo) anche in Liguria. Mentre le regioni rosse dell’Italia centrale si sono scolorite. Oggi disegnano e designano, al più, una “zona rosa-pallido”.

Così, diventa difficile capire e pre-vedere le mappe e le gerarchie elettorali future del nostro Paese. L’ho già scritto, ma mi sembra, comunque, utile ripeterlo. Ogni elezione futura, di qualunque tipo, ormai, è un “salto nel voto“. In un Paese, ogni volta, diverso.

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