El Caballero De Gregory e la Sardegna nazione [di Raffaele Deidda]

c_sardegna

Per gli esperti di storia sarda il nome del Cavaliere Gaspare De Gregory dice molto. Poco per i non addetti ai lavori, che vedono la loro curiosità stimolata nell’apprendere che fu autore di una “Storia dell’Isola di Sardegna”, tradotta in castigliano nel 1840 da “Una sociedad literaria” di Barcellona. Curiosità che cresce nel rilevare come l’anno di pubblicazione della traduzione sia antecedente di sette anni alla versione italiana del 1847, curata dell’editore Antonelli di Venezia.

L’opera in spagnolo è stata digitalizzata e resa fruibile per un accordo fra la Real Academia Hispano Americana de Cencias, Artes y Letras e la Joseph P. Healey Library at the University of Massachusetts Boston. La versione italiana è reperibile nella http://www.sardegnadigitallibrary.it, da cui si apprende che Gaspare De Gregory è stato presidente onorario della Corte Regia di Aix in Provenza, membro delle Accademie di Archeologia di Roma e di Treja, delle Scienze di Torino e Chambery, delle Società di Agricoltura di Roma, Parigi e Torino.

La versione italiana è la traduzione di A. Falconetti dallo spagnolo oppure dal francese, viste le origini piemontesi di De Gregory e le onorificienze conferitegli in Francia? Agli storici la risposta. Le fonti da cui De Gregory dichiara di aver attinto per descrivere “quest’isola fertile e notabile per la sua civiltà come per la fierezza dei costumi dei suoi abitanti” sono il “presidente” Azuni, il cavaliere Mimaut console di Francia, il barone Manno direttore “degli affari della sua nazione a Torino” e Alberto Ferrero della Marmora. Articolata in capitoli storico-socio- geografici contiene alcune lusinghiere considerazioni nei confronti dei sardi.

Il popolo sardo, per la singolarità dei suoi costumi, per l’indipendenza dell’animo, per l’alta opinione di se medesimo, per la sua ospitalità generosa e cordiale, forma da sè solo una nazione distinta che fa parte della grande famiglia europea, la cui esistenza si confonde nelle nubi delle prime età del mondo”. E ancora: “Mentre l’inghilterra era in preda alla guerra civile, segnalata da rose bianche e rose rosse una regina magnanima, la celebre Eleonora d’Arborea, pubblicò, sotto il nome di Carta Costituzionale, una legislazione civile e criminale che fece onore alla nazione. Carta ancora oggi in vigore”.

Citando Giovanni Carbonazzi, direttore della “grande strada regia”, De Gregory demolisce la nomea del sardo pigro e infingardo (alcuni viaggiatori avevano attribuito lo stigma ai sardi per il clima…). Coloro che avevano lavorato alla realizzazione dell’attuale superstrada 131 erano, per Carbonazzi, dotati di gran vivacità di spirito, di voglia di apprendere e di “un’eccessiva attività nell’opra”.

Presente l’elogio dei Savoia e in particolare di Carlo Emmanuele, che salito al trono nel 1730, favorì lo sviluppo delle scienze, delle lettere e delle arti, fondò i magazzini di prestito del grano, avvio il servizio postale prima inesistente nell’isola e “incoraggiò il matrimonio delle povere zitelle, lor concedendo una dote di 200 lire”! De Gregory attribuisce poi grande sapienza legislativa a Carlo Alberto che, con l’editto del 26 febbraio 1839, tentò di correggere le storture dell’Editto delle chiudende del 1820 “non volendo turbare ogni individuo che avesse già coltivato un terreno comunale o demaniale dissodandolo e fertilizzandolo” e disponendo che potessero avere diritto alla divisione dei beni comunali solo gli abitanti e i possidenti del “medesimo comune”.

Quello che resta impresso nel lettore è che nel 1840 un uomo di cultura piemontese vedeva nel popolo sardo quello che “forma da sè solo una nazione distinta che fa parte della grande famiglia europea” se si pensa che oggi ad essere messa in discussione dal governo della nazione italiana é l’autonomia della Sardegna con le ipotesi di riforma del Titolo V della Costituzione miranti ad accentuare il centralismo statale con potere di controllo su ambiente, territorio, energia e infrastrutture. Altro che nazione distinta!

E’ davvero così improponibile immaginare per la Sardegna un futuro di nazione d’Europa? Dotata di una propria lingua, di tradizione democratica e solidale. Una nazione istruita che non lascia scappare altrove i propri giovani ad alta scolarità, che altrove manifestano ingegno, volontà e capacità di fare. La Sardegna è piccola, i sardi sono pochi? L’esempio di Malta fa giustizia di queste motivazioni. L’essere nazione, il sentirsi nazione, fa capo alla coscienza del popolo stesso. Non alle multas e locas appartenenze ideologiche e talvolta opportunistiche che spaziano dall’essere statalisti, autonomisti, federalisti, sovranisti o indipendentisti.

Lascia un commento