La sindrome della vittoria degli sconfitti [di Carlo Melis]

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I paesi che si affacciano nello stesso nostro mare sono coinvolti in una guerra continua e nel più grande esodo che la storia conosca in epoca moderna. L’isola precipita nella peggiore crisi di sempre. L’emigrazione di diplomati e laureati è diventata virale dopo l’illusione della specializzazione all’estero ed il back che avrebbe rifondato istituzioni, imprese, economia della Sardegna.

Nella realtà – tranne qualche caso particolare – all’estero i ragazzi sardi fanno i cuochi e i banconieri. Più colti di quelli che li hanno preceduti con la valigia di cartone ma con più rancore per chi li ha traditi anche se si fanno chiamare chef o giù di lì. Quelli a cui è andata meglio perché il master gli è capitato in un luogo con più possibilità – grazie a famiglie più avvedute – a chi gli propone di ritornare risponde di non pensarci nemmeno. Leggere per credere le interviste di questi emigrati – che rifiutano persino il sostantivo – ai giornali locali e confrontatele con quelle di generazioni precedenti, grondanti di nostalgia e di rimpianto.

In questo quadro desolante la classe dirigente che governa la Sardegna, anche questa la peggiore di sempre ma con cattedra, si balocca tra incontri e forum. Risulta concretamente inconsapevole di cosa sia una vera classe dirigente che si deve assumere la responsabilità del destino altrui invece che del proprio e della propria cerchia. Dopo le amministrative, al netto di autoassoluzioni e slogans simil renziani o della ricerca di colpevoli tra i capibastone locali, le segreterie dei partiti sono la grottesca pantomima di quelle di un tempo.

Quelle avevano reali rapporti con i territori e con le rappresentanze e tutti insieme selezionavano le classi dirigenti da immettere nelle istituzioni. Anche i peggiori ed i mediocri al confronto sembrano dei giganti. Si rimpiange persino chi faceva politica a tempo pieno e non come un passatempo nei fine settimana, una volta liberi dai propri impegni malgrado si campi grazie alla politica come mai prima d’ora.

Chi ha delle cose da dire e soprattutto da fare si tiene alla larga da quest’accozzaglia male assortita ed improvvisata. Un bluff che, non a caso, nelle ultime amministrative è stato scoperto da quegli elettori che hanno superato la voglia di starsene a casa. Un messaggio inequivocabile dalla Sardegna arriva a Renzi nella crudeltà dei numeri. Come si pretende che il presidente prenda sul serio l’attuale classe dirigente sarda è un mistero.

Dei centri importanti il Pd infatti ha perso La Maddalena, Tempio, Porto Torres, Nuoro. I paesi più piccoli si fa finta di non metterli in conto. Ma sono un’enormità. In tempi più attenti al senso politico degli accadimenti elettorali, dopo l’analisi di un fallimento, tutto il gruppo dirigente si sarebbe dimesso. Ma oggi qual è il gruppo dirigente del Pd e delle sigle da prefisso telefonico della maggioranza che gli fa da cortorno? Ed è maggioranza quella in cui più di una sigla gioca con due maglie ed in due squadre differenti? Persino i nani e le ballerine di craxiana memoria sembrano attori shakespeariani. Dopo quella di Quartu si aspetta la messa in scena di Cagliari. Le avvisaglie del tonfo politico ci sono tutte!

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