Il concetto di transizione nella storia del secondo dopoguerra [di Gianluca Scroccu]

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L‘intervento è l’abstract della Relazione tenuta nel corso del IV appuntamento del Progetto “Alla ricerca della storia perduta” organizzato a Cagliari dal Fai Sardegna il 19 giugno 2015 per la presentazione del volume “Il Museo coloniale di Roma” di Franca Gandolfo.

La figura di Gennaro Pesce è certamente importante non solo per il suo straordinario valore di studioso del mondo antico, ma anche perché ci permette di riflettere su una categoria storiografica molto importante e attuale come quella di “transizione”. Uomo transitato dal fascismo alla democrazia come tanti altri della sua generazione, Pesce è un esempio di come un cambio di regime, in questo caso segnato da una radicalità estrema, da un totalitarismo ad una repubblica, debba sempre porsi quello della classe dirigente che deve gestire il passaggio e guidarlo nella sua evoluzione.

Questo vale per gli aspetti burocratici istituzionali, come ci hanno insegnato, solo per citare alcuni nomi, Claudio Pavone, Sabino Cassese e Guido Melis, ma anche per quelli culturali e sociali. Azzerare tecnici e dirigenti, attivi dentro il regime dittatoriale ma non per questo organici, significa infatti aumentare i rischi di gestire male le transizioni e di creare instabilità e difficoltà. Si pensi, solo per fare casi recenti, all’esempio dell’Iraq dopo la sconfitta di Saddam o ad alcuni stati nordafricani come la Libia e lo stesso Egitto dopo le discusse vicende delle cosiddette “primavere arabe”.

Da questo punto di vista, la storia risulta essere sempre una buona consigliera, anche se non sempre i politici contemporanei ne conoscono in pieno la nazione. Se si guarda al patrimonio culturale e a quanto sta succedendo a Palmira o appunto nel Nord Africa si vede bene come le transizioni gestite male rischino di provocare danni irreparabili anche al patrimonio culturale.

Quando invece si ha maggiore consapevolezza del fatto che occorra comunque coinvolgere nell’amministrazione anche le persone che erano presenti prima del cambiamento istituzionale, le transizioni sono gestite meglio. E’ il caso in un certo qual modo dell’Italia dopo il 1945, ma anche di un altro paese del Mediterraneo come la Spagna nella sua gestione del post franchismo. Evitare le guerre civili, o almeno tentare di superarle, è una buona prassi di una classe dirigente che sa dimostrarsi all’altezza dei tempi.

La storia presenta molti esempi significativi in tal senso, specie nel secolo scorso. Spiace che in questo primo scorcio di XXI secolo i principali attori nel campo internazionale difficilmente siano riusciti a mettere in pratica questo obiettivo. E ancora più grave è che proprio l’Europa unita, sempre più involuta nelle sue logiche economicistiche, abbia faticato a dire la sua su questo tema. I mali dei nostri giorni, specie per quanto riguarda la questione del terrorismo globale, nascono anche da queste mancanze.

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